Ma l'intervento di Sebastiano Ardita fa la differenza
"Parlate di mafia". Era questo il titolo scelto per il convegno organizzato da Fratelli d'Italia e andato in scena ieri a Palermo appena due giorni dopo l'anniversario della morte di Paolo Borsellino. Una vera e propria "passerella" in cui molti relatori che si sono succeduti, tra mezze verità e menzogne, hanno messo da parte fatti e misfatti tessendo l'elogio delle azioni di un governo fascista e anti antimafia.
Perché si mente sapendo di mentire quando si afferma che la trattativa non c'è stata, nonostante vi siano sentenze definitive che l'hanno acclarata, al di là del rilievo penale della stessa.
Si mente sapendo di mentire quando c'è chi, come Giovanni Donzelli, afferma che "quando Borsellino era morto da poche ore, alcuni magistrati hanno stralciato e archiviato l’indagine Mafia-appalti".
Un attacco diretto all'ex magistrato e oggi senatore Roberto Scarpinato. Quest'ultimo, che al tempo fu uno dei titolari di quel fascicolo, quando fu sentito al processo sul depistaggio della strage di via d'Amelio ha spiegato, che in realtà l’indagine mafia-appalti non fu affatto archiviata il 13 luglio 1992, come falsamente alcuni fonti continuano a ripetere in palese contrasto con gli atti processuali. “L’archiviazione del luglio 1992 - ha detto più volte Scarpinato - non è l’archiviazione di Mafia-appalti, che continua anche dopo tanto è vero che nel maggio 1993 vengono arrestate 25 persone. Quella archiviazione riguardava solo la posizione di alcuni soggetti per cui non erano stati aggiunti sufficienti elementi”.
Il capitano Ultimo, Sergio De Caprio
L'apologia delle mezze verità è proseguita con l'intervento di Sergio De Caprio, il capitano Ultimo che arrestò Totò Riina e già assessore in Calabria proprio con la destra, che ha omaggiato gli ufficiali dell'Arma assolti nel processo sulla trattativa Stato-mafia, sollevandoli anche da ogni responsabilità morale e istituzionale: “Borsellino parlava della Procura di Palermo come di un nido di vipere. Per vent’anni invece si è fatta la guerra giudiziaria a uomini per bene come Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. Sono felice che abbiano sconfitto chi ingiustamente li aveva accusati”.
Ovviamente i Mori, i Subranni, i De Donno, i De Caprio di turno, quando parlano delle assoluzioni, nelle loro considerazioni tacciono quelle parti di sentenze che evidenziano proprio le gravi criticità delle condotte tenute dai carabinieri. Condotte gravi che si sono ripetute nella mancata perquisizione del covo di Totò Riina in via Bernini, o nel mancato blitz di Mezzojuso, nel 1995, per la cattura di Bernardo Provenzano.
Nel processo che ha riguardato lo stesso De Caprio sulla mancata perquisizione del covo del Capo dei capi gli stessi giudici parlano di "responsabilità disciplinari" (di fronte a certi fatti i protagonisti di tali vicende avrebbero dovuto essere degradati) e di evidenti pecche operative, compiute nella scelta di non perquisire immediatamente lo stabile di via Bernini.
E' noto che la magistratura fu convinta a non effettuare la perquisizione dicendo che avrebbero fatto l'osservazione del covo, ma che le telecamere furono staccate dopo appena poche ore e non informarono le autorità competenti, sottraendosi al controllo di legalità della magistratura.
Così, quando il 2 febbraio venne fatta la perquisizione, gli inquirenti trovarono il rifugio del boss completamente ripulito, con mobili ammassati in una stanza, la cassaforte smurata, le pareti imbiancate e perfino le tappezzerie ed i rivestimenti staccati, per eliminare eventuali tracce di Dna.
Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d'Italia
Anche sulla vicenda di Mezzojuso, nelle motivazioni della sentenza (divenuta definitiva) si legge che: “Le scelte tecnico-investigative adottate dagli imputati (soprattutto quelle di non curare adeguatamente gli spunti investigativi emersi dall'incontro di Mezzojuso), a maggior ragione ove si consideri che esse vennero adottate da esperti Ufficiali di Polizia giudiziaria, inducono più di un dubbio sulla correttezza, quantomeno dal punto di vista professionale, dell'operato dei due e lasciano diverse zone d'ombra che il dibattimento, nonostante lo sforzo profuso dalla Pubblica Accusa, non è riuscito a dipanare".
Questi elementi andrebbero ricordati e invece si cerca non solo di sminuirli, ma persino cancellarli.
Così come si vorrebbe cancellare le valutazioni che hanno riguardato il generale Subranni rispetto ad una vicenda come quella delle anomalie investigative sulla morte di Peppino Impastato, militante di Dp assassinato a Cinisi il 9 maggio 1978. Nell'archiviazione per prescrizione delle indagini con l'accusa di favoreggiamento nei confronti del generale dei carabinieri oggi in pensione, Subranni evidenzia come questi "aprioristicamente, incomprensibilmente, ingiustificatamente e frettolosamente escluse la pista mafiosa".
Un'inchiesta che rafforza le valutazioni della storica relazione della commissione antimafia sull'omicidio Impastato, e sul depistaggio che ne seguì, redatta all'epoca della presidenza di Giuseppe Lumia.
Renato Schifani, governatore della Regione Sicilia
E come non ricordare le parole di Agnese Borsellino (verbale S.I.T del 27 gennaio 2010, Procura di Caltanissetta) quando disse: "Ricordo che mio marito mi disse testualmente che 'c'era un colloquio tra mafia e parti infedeli dello Stato'. (...) Confermo che mi disse che il gen. Subranni era 'punciuto' (cioè punto, in un rito di affiliazione a Cosa nostra, ndr). Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo. Non mi disse chi glielo aveva detto. Mi disse, comunque, che quando glielo avevano detto era stato tanto male da aver avuto conati di vomito”. Forse il “capitano Ultimo” è d'accordo con il generale Subranni che in un'intervista disse che la vedova Borsellino non stava bene di salute a causa dell'Alzheimer?
Quell'accusa ignobile fu smentita con forza dal figlio del giudice, Manfredi Borsellino (Mia madre è la più lucida di tutti noi”). Eppure oggi nessuno ricorda le parole della madre.
Dal convegno in molti cercano di rassicurare che il concorso esterno non verrà toccato, ma si resta perplessi quando a prendere la parola sono stati anche il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il governatore siciliano Renato Schifani, entrambi appoggiati senza troppo mistero dai pregiudicati per mafia, Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro.
Insomma, tutto il contrario di tutto.
Unica relazione che ha messo i "puntini sulle i" sullo stato dell'arte del contrasto alle mafie e ai sistemi criminali è stata quella del procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita. Un intervento che fa la differenza e che riproponiamo ai nostri lettori di seguito in maniera integrale.
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