Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti parla in un’intervista al ''The Newyorker''
Il Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, fu assassinato davanti gli occhi del mondo intero il 22 novembre 1963. Cinque anni dopo, il sei giugno 1968, fu assassinato il fratello, Robert Francis Kennedy. Quest’ultimo divenne Attorney General (l’equivalente del nostro Guardasigilli) nel governo del Presidente Kennedy. Durante la carica si guadagnò la stima per l’efficace e imparziale amministrazione del dipartimento di Giustizia. Bob Kennedy, infatti, fu l’uomo politico che più di tutti inflisse colpi durissimi alla mafia oltreoceano. Da ministro infatti lanciò una vincente campagna contro il crimine organizzato. Entrambi sono stati protagonisti indiscussi della storia americana, ed entrambi sono stati assassinati in due diversi agguati dallo sfondo mafioso.
Sul nostro giornale ci siamo occupati più volte di questi omicidi di Stato: tanti i documenti analizzati e le interviste realizzate. Tra queste anche a Gianni Bisiach, il giornalista italiano sicuramente più vicino alla famiglia Kennedy (in particolare a Ted), che ha avuto accesso ai segreti di una delle più importanti famiglie americane, proprio per quel rapporto di amicizia instaurato con i tre fratelli. Il primo in assoluto a dire, (come è scritto nel suo libro “Il Presidente”, nel suo film “I due Kennedy”) che John Kennedy era stato ucciso dalla Mafia, in collaborazione con alcuni settori della CIA.
Ad avvalorare quella tesi di rapporti come quello della commissione Stokes, il Select Committee on Assassination of the U.S. House of Representatives, che conferma quelle che fino al 1979 potevano sembrare solo teorie. Non solo. Persino l’ex direttore della Cia William E. Colby, morto in circostanze misteriose, ha ammesso, durante una presentazione del libro di Gianni Bisiach, che la Central Intelligence Agency aveva collaborato con la mafia, pur escludendo categoricamente la sua partecipazione nell’assassinio del Presidente.
I nuovi documenti, desecretati su input di Donald Trump (a cui va dato atto del merito nonostante lo riteniamo ancora oggi inadatto a ricoprire un qualsiasi ruolo istituzionale con la sua politica razzista e di estrema destra) forniscono nuovi elementi che mettono in evidenza come la verità può essere pure ostacolata ma, prima o poi, viene sempre alla luce. E così emerge che ad assassinare il presidente Usa non sarebbe stato Lee Harvey Oswald bensì un agente di polizia, J. D. Tippit.
Robert Kennedy Jr © Imagoeconomica
Un soggetto, quest’ultimo, ucciso il 22 novembre 1963, a colpi di pistola, 45 minuti dopo l’attentato a Kennedy sulla Dealy Plaza di Dallas. Furono 12 i testimoni del delitto Tippit. Otto di loro riconobbero o credettero di riconoscere Oswald nel killer, sia durante i confronti sia con l’ausilio di foto segnaletiche.
Ma se questo dato era noto, la novità emersa è che Oswald e Tippit si fossero incontrati in un night-club di Jack Ruby, giusto una settimana prima dell’assassinio di Kennedy. Ruby, legato alla mafia locale, avrebbe poi ucciso Oswald nei sotterranei della polizia di Dallas. Diventa così più che un’ipotesi il fatto che Ruby sia intervenuto per tappare la bocca allo stesso Oswald ed evitare che lo stesso raccontasse la verità su quanto avvenuto.
Atti che si aggiungono all’inchiesta condotta dal giudice Jim Garrison, in cui si dimostrava che la CIA era stata aiutata da “altri”, come la stessa FBI o, seppur marginalmente, la Mafia. Teorie che verranno anche riprese nel film “JFK” del regista Oliver Stone.
Una mole di prove che smonta del tutto la strampalata versione della Commissione Warren, quella che per intenderci creò la bislacca storia del 'proiettile magico'.
A tal riguardo si è espresso anche il neo candidato alla presidenza Robert Kennedy Jr, figlio di ‘Bob Kennedy’, in una lunga intervista rilasciata sul quotidiano 'The Newyorker': “Non penso che chiunque abbia esaminato seriamente l'omicidio di mio zio creda che la Commissione Warren abbia ragione. Sono un avvocato processuale. Ho affrontato centinaia di casi”. Posso garantire “guardando questo caso, che potrei dimostrare che la morte di mio zio è stata causata dalla C.I.A. Ho abbastanza prove adesso, senza alcun interrogatorio, per dimostrare che la morte di mio zio è stata il risultato di una cospirazione. E che la C.I.A. era coinvolta, non solo nella cospirazione originale, ma nel coprire i fatti per sessant'anni e continua a mantenere il segreto”.
Il motivo, secondo il candidato alla Casa Bianca, risiede nel fatto che John Kennedy “non aveva invaso la Baia dei Porci e fornito copertura aerea agli oppositori cubani di Fidel Castro, cosa che consideravano un tradimento. Avevano addestrato quegli uomini. Quelli uomini stavano morendo sulla spiaggia. A quel punto, credevano che mio zio fosse un traditore degli Stati Uniti. Quando mio zio e mio padre fermarono gli attacchi a Cuba, dopo la crisi dei missili, concordarono con Krusciov durante la crisi dei missili, di fermare gli attacchi da Miami tramite Alpha 66 e gli altri gruppi che stavano andando a Cuba per fermarli”.
Parlando dell'omicidio di suo padre, Kennedy ha fatto riferimento a un secondo tiratore, proiettili vaganti e a un avvocato mafioso il cui corpo è stato successivamente trovato "smembrato in cento pezzi in un bidone di olio". Kennedy, inoltre, ha raccontato di aver visitato in prigione Sirhan Sirhan, condannato per l'omicidio di suo padre: “Ne sostengo la liberazione” ha concluso Robert Kennedy Jr.
Foto di copertina © FDR Presidential Library & Museum
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