L’ex estremista intercettato: “Ho sopportato 40 anni di fango perché avevo fatto un giuramento”
Da lunghissimo tempo l’ex primula nera Paolo Bellini viene tirato in ballo da capi mafia, collaboratori di giustizia, ex terroristi e criminali comuni. Figure che, molto spesso, non hanno mai avuto rapporti tra loro. Eppure tutte indicano da cinquant’anni l’ex trafficante d’opere d’arte e killer di ‘Ndrangheta come figura cardine in alcuni dei misteri più grandi della storia recente d’Italia. Non a caso, nel corso di decenni, il suo nome è rimbalzato in molte delle scrivanie delle procure che indagano sulle stragi e sui delitti eccellenti della prima Repubblica. Alcuni descrivono l’ex leader di Avanguardia Nazionale come agente segreto, altri come braccio armato di determinati sistemi di potere occulti, azionato per seguire o eseguire determinati fatti di sangue. E’ dal lontano 1983, infatti, che Bellini viene inserito in contesti stragisti, nello specifico nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Per quell’eccidio Bellini venne indagato, poi prosciolto, poi di nuovo indagato a distanza di 40 anni e quindi condannato (in primo grado) solo un anno fa come quinto membro del commando composto dai Nar. Ora una nuova inchiesta potrebbe vedere coinvolto il terrorista emiliano in episodi stragisti. E’ notizia di ieri, infatti, l’iscrizione nel registro degli indagati di Bellini nell’inchiesta della Dda di Firenze sulle stragi di via dei Georgofili a Firenze, di via Palestro a Milano e di via Fauro a Roma. L’ex di Avanguardia Nazionale è indagato anche nell’inchiesta della procura di Caltanissetta riguardante la strage di Capaci. La novità emerge dalle carte che ieri hanno portato all’arresto dell’ex Primula nera. Alla procura generale di Bologna, infatti, sono arrivate le intercettazioni compiute dalla Dia e dal Ros dei carabinieri su ordine delle procure di Caltanissetta e Firenze. Le cimici piazzate in casa di Bellini, dove era recluso dal giorno della sentenza della corte d’Assise di Bologna, hanno registrato le sue minacce nei confronti dell’ex moglie Maurizia Bonini, la supertestimone che riconoscendolo in un filmato dell’epoca lo ha fatto condannare all’ergastolo per la strage alla stazione, ma pure di Francesco Maria Caruso, il presidente della corte d’Assise di Bologna che ha emesso la sentenza. Quelle intercettazioni sono state girate alla procura generale di Bologna, che ha chiesto e ottenuto l’arresto dell’ex killer di ‘Ndrangheta con un passato da trafficante di opere d’arte. Prima di essere portato al carcere di Spoleto, Bellini era stato convocato il 27 giugno dai pm nisseni e fiorenti, riporta Il Fatto Quotidiano. Ai magistrati, però, ha negato ogni addebito. Bellini era già stato indagato per le stragi del ’93 dai magistrati di Firenze, ma anche in questo caso (come avvenne in un primo periodo per la strage di Bologna), la scampò con un'archiviazione nel 2005.
Giovanni Falcone © Shobha
Diverso è il caso della strage di Capaci per cui Bellini non finì mai indagato. La procura di Caltanissetta, infatti, vuole chiarire i retroscena legati alla presenza dell’ex primula nera in Sicilia nei mesi precedenti all’eliminazione di Giovanni Falcone, nello specifico riguardo ai suoi legami con il boss Antonino Gioè, membro del commando della strage di Capaci e ritenuto vicino ai servizi segreti. I due si conobbero in carcere a Sciacca. Poi, una volta in libertà, si rividero in Sicilia dove Bellini doveva recuperare alcuni crediti e dove, nel frattempo, era andato per recuperare anche opere d’arte per conto di un Ufficiale di Polizia di Reggio Emilia. Un’attività che rilanciò più avanti contattando il maresciallo Roberto Tempesta del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico al quale si propose di recuperare quadri preziosi in cambio dell’adeguamento delle detenzioni di alcuni boss. Una trattativa Stato-mafia ante litteram finita in un nulla di fatto.
Tornando a Gioè, al processo di Caltanissetta contro Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92, Bellini disse di essersi visto con il boss in una villa ad Altofonte nei primi giorni di dicembre del 1991. La notte prima del loro incontro, però, Bellini avrebbe soggiornato ad Enna. Era il 6 dicembre, lo stesso periodo in cui Totò Riina delineò al gotha della mafia, nella famosa “riunione di Enna”, la linea stragista che avrebbe assunto Cosa Nostra e l’utilizzo della “Falange Armata” come sigla per rivendicare gli eccidi. Una novità assoluta per l’organizzazione mafiosa, come novità assoluta furono gli obiettivi designati per quella campagna stragista: basiliche e patrimoni artistici. Un po’ la tipologia di obiettivi che Bellini, raccontano alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe suggerito a Gioè nei suoi incontri. La primula nera, sul punto, incalzato dall’allora pm Gabriele Paci al processo Messina Denaro, negò ogni circostanza (il pentito Gioacchino La Barbera affermò che Bellini consigliò alla mafia di colpire la Torre di Pisa). Anche Giovanni Brusca disse di aver sentito Bellini suggerire a Gioè di colpire la Torre. “Cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?”, avrebbe detto. In aula, però, Bellini si è difeso dicendo che a pronunciare quelle parole fu Gioè e non lui. Oggi il boss di Altofonte non può confermare, né negare quella circostanza perché morto in circostanze poco chiare (da un anno è tornata ad indagare la procura di Roma) la notte del 28 luglio 1993, la stessa notte in cui, caso vuole, scoppiarono le bombe a Roma e Milano, una davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, l'altra a San Giorgio al Velabro. Gioè, che si ritiene stesse per collaborare con la giustizia, venne ritrovato impiccato con i lacci delle scarpe in carcere a Rebibbia. Nella cella venne trovata una lettera d’addio in cui, misteriosamente, il boss nominava proprio Paolo Bellini e lo indicava addirittura come un infiltrato. La procura di Caltanissetta vuole vederci meglio su questo ed altri aspetti poco chiari. Lo stesso vuole fare la procura di Firenze sui fatti afferenti le stragi del 1993.
Paolo Bellini
Le intercettazioni e quel giuramento-bavaglio
Intanto spaventano le intercettazioni contenute nell’ordinanza d’arresto dell’ex primula nera pubblicate dal Fatto Quotidiano. Paolo Bellini, dalla casa in cui è recluso ai domiciliari, ha parlato diverse volte, lamentandosi, delle inchieste e dei processi a suo carico con la moglie e il cognato. Parlava per sfogarsi e parlava assai. Tra le carte si riportano le parole dell’estremista nero rispetto a un giuramento che gli impediva di difendersi come avrebbe voluto da quelle che lui definisce "infamità". Un giuramento per cui, si intende, Bellini non ha proferito parola dei segreti di cui è probabilmente custode. E di segreti ne potrebbe conoscere. Del resto è Bellini stesso a riconoscere di essere stato tirato dentro in “cinquant’anni di storie d’Italia” anche se accusa essere “tutto un sistema nei miei confronti”. “Un sistema che dura dal 1970…”. “Io sono stato dentro un po' di qua, un po' là, un po' di su, un po' giù, hanno usato delle cose degli atti di processi dove sono stato archiviato”, ha chiosato sostenendo, in buona sostanza, di esserne estraneo. “E li hanno riesumati e li han fatti diventare come se fossero veri, non parlando e non dicendo che quelli erano atti già archiviati”. Nelle intercettazioni ambientali più volte l’ex primula nera è indiavolata per la condanna subita a Bologna. E’ furioso col giudice Francesco Maria Caruso che l’ha condannato, con l’ex moglie che l’ha riconosciuto e gli ha distrutto l’alibi che l’ha sempre scagionato per cui la mattina dell’attentato era a Rimini e con l’avvocato di parte civile. Ma pure con soggetti imprecisati. La mattina del 27 dicembre, riporta Il Fatto Quotidiano, la Dia annota che Bellini sembra parlare da solo, rivolgendosi a un fantomatico interlocutore: “Questi stanno a spigne (spingere, ndr). Adesso non dico niente io e se mettermi latitante un’altra volta … mah, a me non interessa ma dove eravate prima? Quando la Procura Generale si muoveva, faceva … Oh si, s’è mossa bene! Come no, si son comportati bene perbacco! Allora come si fa a mandarlo e come si fa a mandarlo”. L’ex primula nera si riferisce al momento in cui la procura generale di Bologna ha avocato a sé l’inchiesta, che stava per finire lettera morta, sui mandanti della strage (i piduisti Umberto Ortolani, Federico Umberto d’Amato, Mario Gotti Tedeschi e il gran maestro Licio Gelli). A chi si riferiva in quello sfogo? Un altro passaggio oscuro viene captato quando Bellini legge le motivazioni della sua condanna, depositate il 5 aprile del 2023 in cui, tra le altre cose, si parla dei suoi rapporti con i servizi segreti: “Sono emersi nel processo elementi di prova diretta o anche soltanto indiziaria capaci di evidenziare l’esistenza di una relazione stretta ed anche reiterata nel tempo di Paolo Bellini con servizi segreti". Le microspie registrano l’imputato mentre commenta: “Io coi servizi non c’ho mai avuto a che fare… e non ci voglio avere a che fare”. Concetto che ha sempre ribadito anche in aula. Gli inquirenti sottolineano che Bellini usa il presente: “Non ci voglio (adesso) avere a che fare”, segnala Il Fatto Quotidiano.
Tornado ai suoi sfoghi ai familiari, Paolo Bellini, come detto, parlava di un “giuramento” e menava fendenti in aria: “Io ho sopportato quarant’anni a stare zitto, tutto il fango che mi hanno buttato addosso per quarant’anni, quel gruppo specializzato. Infamità nei miei confronti e nei confronti di una classe politica particolare, va bene?”. “Non potevo contrastarli perché c’era di mezzo un giuramento, va bene? Ecco, adesso basta, hanno superato tutti i limiti”. Secondo la Corte d’Assise d’Appello questo fantomatico “giuramento” rilancia la questione dei rapporti di Bellini con “alcune istituzioni", che presenta tutt’ora “punti oscuri“. In questo senso i giudici evidenziano come si tratta di uno sfogo "inquietante, dato il contesto nel quale l’imputato si è sempre mosso".
Foto di copertina © Shobha
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