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L’ex presidente della sezione Gip di Palermo: “Vittoria sul piano militare non risolve questione mafiosa”

Il 23 maggio 2023 scorso a Palermo è stato un giorno di rabbia: "Fuori la mafia dallo Stato!" urlavano i manifestanti (attivisti, giovani e studenti) che avevano preso parte al corteo pacifico per onorare la memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, e per mettere al centro della lotta alla mafia la "questione sociale".
Ma quel giorno si era cercato di impedire a giovani e cittadini di esprimere il proprio dissenso. Per discutibili motivi di ordine pubblico, nonostante accordi presi, prima e durante il percorso, era stato violato il diritto sancito dalla Costituzione di "manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”: C'è chi è stato spinto. Chi è stato preso a manganellate. E negli scontri anche alcuni membri delle forze dell'ordine hanno ricevuto colpi.
Come spiegato dall'ex presidente aggiunto della sezione Gip di Palermo Gioacchino Scaduto (in foto) su 'Repubblica' "è stata con tutta evidenza messa a rischio la sicurezza di tutti i partecipanti, bambini compresi, ma è stato anche gravemente violato il diritto dei cittadini a esprimere liberamente il proprio pensiero e in questo caso il proprio pensiero antimafioso".
Un fatto gravissimo che "non si sa bene se attribuibile a una grave carenza di cultura democratica o a una grave incompetenza o a entrambe le cose".
"Alla luce di quanto avvenuto - ha scritto l'ex magistrato - è ineludibile ripensare il modo e le forme di una manifestazione, che deve cessare di essere rappresentazione esteriore e formale di un impegno istituzionale, che in un Paese civile dovrebbe essere scontato, per tornare a essere una semplice manifestazione della memoria collettiva, il cui costante esercizio è garanzia di progresso civile".
Interpretando il pensiero comune si può certamente affermare che, per quanto riguarda l'antimafia, negli anni si è formato un vero e proprio "corto circuito" istituzionale in cui l'impegno è stato sostituito dalle "passerelle", cioè "la sfilata in bella vista di varie autorità, locali e non solo, non sempre portabandiera di valori antimafiosi".
Nascondendosi dietro al paravento della sconfitta della mafia militare (composta dai vari Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, etc...) la classe dirigente "non ha, infatti, risolto la questione mafiosa che presenta, oltre alla faccia esplicitamente criminale, una faccia più nascosta ma non meno rilevante e devastante per questa terra e per questa società: quella socioeconomica e culturale, fatta di subalternità, sopruso, comportamenti e modi di pensare, categorie valoriali", ha spiegato l'ex giudice ricordando che “la vittoria sul piano militare e repressivo non ha, infatti, risolto la questione mafiosa”.


albero falcone mike palazzotto

© Mike Palazzotto


La mancata risoluzione del fenomeno "coinvolge anche quelle parti della società che dalla povertà economica, sociale e culturale dovrebbero essere uscite e di cui, a torto o a ragione, fanno parte anche gli esponenti partitici e delle istituzioni".
"Esso si manifesta in una passiva accettazione, quando non negazione, del fenomeno mafioso o di alcune sue manifestazioni, in una costante e subdola sottovalutazione dello stesso, cui seguono vuote e ambigue affermazioni di autonomia e indipendenza ma anche di comprensione, nella mancanza di azioni e parole chiaramente incompatibili con quell'accettazione".
Gioacchino Scaduto ha esposto alcuni esempi di tale atteggiamento che ritroviamo espressi anche nei media: "Tizio, condannato per mafia, ha pagato il suo conto con la giustizia, non merita di essere ulteriormente penalizzato"; "Caio è stato condannato per mafia? No? Non proprio? Allora cosa si pretende?". "Sempronio ha fatto affari con un mafioso? Che c'è di strano, gli affari sono affari, se quello è un mafioso questo riguarda solo lui".
È anche questo atteggiamento che rende "insopportabili le passerelle in cui, troppo spesso, si pavoneggiavano soggetti che, finita la guerra e sconfitta quella stragista, mostravano con i loro comportamenti di non essersi pienamente affrancati da quell'altra più subdola mafia".
Chi si è sottratto alla cultura e subcultura mafiosa, come ha scritto Scaduto, non può sottrarsi dall'esprimere il proprio dissenso: può un cittadino sensibile a certi temi accettare che un "sindaco, eletto con l'appoggio, mai rifiutato, di Salvatore (Totò) Cuffaro, condannato per favoreggiamento di Cosa nostra, e di Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, salga sul palco a commemorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta? E non basta certo rifugiarsi dietro l'affermazione del 'dovuto rispetto per le istituzioni'. Le istituzioni non sono, infatti, un'entità astratta ma sono o dovrebbero essere lo specchio dell'anima di un popolo".

Fonte:
palermo.repubblica.it

Foto di copertina © Imagoeconomica

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