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L'autrice del saggio: “La strage alla questura di Milano è un ‘modellino’ della strategia della tensione”

Il 17 maggio 1973 un sedicente anarchico lanciò una granata davanti alla Questura di Milano in via Fatebenefratelli con l'intento di uccidere l'allora ministro dell'interno democristiano Mariano Rumor mentre si stava celebrando la giornata di commemorazione per il commissario Luigi Calabresi, assassinato l'anno prima.

L'esito è una tragedia: 4 persone persero la vita e 52 rimasero ferite.

Il movente è politico: secondo la destra eversiva pro golpe l'esponente democristiano doveva essere punito, per aver avuto paura di dichiarare lo stato di emergenza all’indomani della strage di piazza Fontana.

Gianfranco Bertoli, l'attentatore, verrà arrestato sul posto e nella sua prima versione disse di essere un anarchico che ha agito da solo per vendicare la morte di Giuseppe Pinelli, fermato dagli inquirenti nell’ambito delle indagini per la strage del 12 dicembre 1969.

Sono anni in cui la violenza politica è all'ordine del giorno: il 12 aprile, per esempio, proprio a Milano, venne ucciso da una bomba a mano, lanciata da alcuni manifestanti di estrema destra, l’agente di polizia Antonio Marino.


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Bertoli finì a processo e venne condannato all’ergastolo nel 1975 e da allora per la giustizia italiana è rimasto l'unico colpevole.

Ma molti dubbi ancora rimandano: non è chiaro se vi siano delle complicità. Chi ha armato l’attentatore? Perché tante bugie?

Nel capoluogo lombardo Bertoli arrivò il giorno prima della strage per poi recarsi a una pensione in via Vitruvio. Disse di non aver incontrato nessuno né a Marsiglia né a Milano, dove il giorno prima dell’attentato trascorse il pomeriggio (dalle 16:00 alle 20:00) cambiando il denaro, andando in piazza Duomo e girovagando. Tutto questo con una bomba in tasca, che sarebbe stata rubata nel kibbutz (una sorta di comunità israeliana), con la quale avrebbe attraversato tre Paesi senza incappare in nessun controllo.

"La mattina del 17 – riporta la prima sentenza di condanna – esce di buon’ora (alle 7:30 secondo il teste Benzoni), compra il Corriere della Sera, dove apprende che ci sarà la manifestazione in Questura alle 10:30, prende il metrò per piazza Duomo e a piedi si reca in via Fatebenefratelli; ivi, a suo dire, giunge alle 10:40, avendo intenzione di arrivare a cerimonia già iniziata. Ritiene che la manifestazione durerà ancora parecchio e allora va a prendere un cognac in un bar distante circa 50-100 metri dall’ingresso della Questura. Esce, si accorge che la manifestazione è finita e alcune auto già vanno via. Si avvicina in fretta all’ingresso della Questura e dal marciapiedi opposto lancia la bomba in direzione delle autorità che stanno uscendo; il lancio però riesce corto, l’ordigno rotola lateralmente all’ingresso di 5-6 metri e poi esplode".





Bertoli morirà nel 2000 di cause naturali portando con sé tutti i suoi segreti. E forse anche quelli di qualcun altro.

Il libro 'L'estate del Golpe' (edito da Chiarelettere), scritto dalla giornalista Stefania Limiti ripercorre questa vicenda ormai poco conosciuta con una chiave di lettura più ampia che vede alleati nel segno dell’anticomunismo destra eversiva e neofascisti, servizi segreti, massoneria. Un 'pool' di forze reazionarie che durante la conferenza all'Istituto Pollio del 1967 ha decretato l'attuazione delle stragi come metodo di lotta politica. E le stragi si fecero.

Alla presentazione del libro avvenuta a Roma presso la "Libreria Libraccio" in via Nazionale 254 abbiamo intervistato l'autrice la quale ha detto di aver cercato di "ricostruire la storia dell'attentato alla questura di Milano" e della figura di Bertoli, "uomo del neofascismo", "interno a Ordine Nuovo" e informatore del Sifar (il vecchio sevizio segreto) con il nome in codice “Negro”.

Il terrorista sarebbe stato in forza a Gladio, la struttura parallela di difesa dal comunismo attiva in Italia fin dal 1956. Il suo nome non rientra negli elenchi “ufficiali”, resi noti nel 1990, ma è sempre stato forte il sospetto che ci fosse un elenco mai reso pubblico.

La strage alla questura, ha detto, è "una specie di piccolo modello della destabilizzazione perché da una parte abbiamo la manovalanza fascista, poi abbiamo pezzi dei servizi segreti. Amos Spiazzi di Corte Regia ("uomo di Gladio al Nord Italia) veste la divisa dell'esercito italiano e lui era uno che l'8 dicembre (1970 data del Golpe Borghese) esce dalla caserma perché avrebbe dovuto portare i suoi uomini a reprimere la resistenza che la cintura operaia di Milano ha a Sesto San Giovanni, poi gira i tacchi perché c'è il contrordine".

Amos faceva parte di quel "settore reazionario della politica di cui non ci siamo ancora liberati", di quella Dc che si era mai posta il problema del fascismo, ma che invece se li teneva cari "perché rappresentavano un appiglio a destra" da opporre ai movimenti progressisti di cui Moro era esponente.


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In quegli anni è attiva un'organizzazione paramilitare della quale fanno parte anche uomini dello Stato, tra i quali il colonnello Spiazzi. Sono i Nuclei di difesa dello Stato, ai quali appartengono anche Franco Freda e Giovanni Ventura, gli attentatori di piazza Fontana, riconosciuti responsabili nel 2005, ma non più processabili poiché già assolti nel 1987.

Ma che legame ha il delinquente sedicente anarchico Bertoli con loro?

La strategia della tensione ha visto la destra eversiva spalleggiata da "mafia e massoneria" deviata ma non "solo la P2 di Licio Gelli" ha ribadito Piera Amendola, documentarista della Camera dei deputati e, dal 1981 al 1988, responsabile dell’archivio della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2.

"Il libro di Stefania è fondamentale perché ha fatto luce su molti aspetti non conosciuti". Parole condivise anche dal fondatore de Il Fatto Quotidiano Antonio Padellaro: "È fondamentale per capire, prima di tutto il periodo di cui si occupa quindi la strage della questura di Milano ma per capire quello che viene dopo, cioè gli anni di piombo, il periodo peggiore della nostra storia nazionale". 

“Il potere non soltanto non si fa processare o non si fa condannare, ma non vuole farsi raccontare" ha detto l'ex procuratore generale di Palermo e oggi Senatore Roberto Scarpinato. "Così la retorica che si fa della storia della mafia è quella riduzionistica, banalizzante, una storia che si descrive come felicemente conclusa con gli arresti, mentre i colletti bianchi sono considerati pecore nere in un gregge immacolato di pecore bianche”.

Ma la realtà e anche i processi passati in giudicato raccontano altro: “Da Piazza Fontana a Brescia, fino alla strage di Bologna del 2 agosto 1980, c’è sempre un comune denominatore: i depistaggi, posti in essere da apparati dello Stato. E perché si depista? Perché non si vuole che il livello delle indagini coinvolga i mandanti e complici eccellenti”, ha continuato l’ex procuratore.
 
Scarpinato ha affertmato come le componenti più reazionarie si siano “alleate per sabotare” o “stravolgere la Costituzione, creando una repubblica presidenziale di stampa autoritario”. Un progetto non ancora abbandonato, ma che riaffiora nel tempo con metodologie diverse.



Video e Foto © ACFB

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