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Il procuratore aggiunto a Catania risponde alle domande del Fatto analizzando la riforma Cartabia e le future riforme Nordio

L’assassinio di Giulia Tramontano, oltre a poter godere di benefici, potrebbe chiedere subito un percorso di giustizia riparativa. È l’effetto Cartabia, la riforma della giustizia tanto discussa nella scorsa Legislatura che - tra le tante cose - ha introdotto l’improcedibilità per alcuni procedimenti. A tornare sulla vicenda Tramonti questa mattina è Sebastiano Ardita, ex membro togato del Csm nonché procuratore aggiunto a Catania, con un’intervista rilasciata a Antonella Mascali sulle pagine de Il Fatto Quotidiano. “La riforma (Cartabia, ndr) prevede che sin dal primo atto l’indagato deve essere informato della facoltà di accedere a percorsi di giustizia riparativa. Dal momento che la giustizia riparativa è una cosa seria e presupporrebbe una elaborazione della propria condotta, oltreché la certezza della responsabilità penale, ritengo che sia improponibile che immediatamente dopo l’arresto si possano avviare questi percorsi, anche per rispetto delle vittime dei reati. È offensivo, oltreché pericoloso, che un indagato per violenza sessuale o per omicidio, possa chiedere di incontrare la vittima o i parenti prima ancora del processo”, ha detto il magistrato.

Quanto all’assassino della giovane Giulia Tramontano, Ardita ha sottolineato che “se sarà condannato e avrà attenuanti per la confessione o il beneficio per il percorso della giustizia riparativa, fra liberazione anticipata e misure alternative o libertà condizionale, potrebbe uscire dal carcere dopo una decina di anni, come è già accaduto ad altri”. Ardita è stato uno dei primi a criticare in punta di diritto la riforma dell’ex Ministro. “Nella gran parte dei casi la procedibilità a querela (introdotta dalla riforma, ndr) andrà a danno dei più deboli tra le vittime dei reati. La minaccia e la violenza potrebbero servire a scoraggiare anche la testimonianza o la denuncia dei semplici cittadini”.

Durante l’intervista si è poi passato da un Guardasigilli all’altro. È cronaca recente il dibattito in parlamento circa le riforme dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze fortemente volute dal ministro Nordio. “Il reato di abuso non ha dato grande prova di sé in termini di condanne, ma può essere un reato-spia di corruzione e di altre fattispecie gravi - ha precisato Ardita -. Il traffico di influenze contrasta un malcostume che rende a volte difficile ai cittadini accedere a ciò che loro spetta senza passare dal clientelismo e dal malaffare amministrativo. In generale, mi sembra impensabile tenere fuori dal contrasto penale il perseguimento di interesse privato da parte di chi svolge una funzione pubblica”. “Nell’interesse dello Stato, chi ha commesso gravi infedeltà nello svolgimento di funzioni istituzionali dovrebbe rimanere fuori per sempre da qualsiasi ruolo pubblico - ha detto Ardita commentando i tentativi di mettere mano alla legge Severino -. Questa dovrebbe essere intesa come una norma di sicurezza generale a tutela della collettività, e non come una sanzione per il singolo”.

Foto © Deb Photo

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