La Procura: imprese "compiacenti" recuperavano gli scarti in maniera fittizia
Rifiuti speciali pericolosi smaltiti come se fossero rifiuti normali o usati per produrre materiali edili: è questa l'ipotesi degli inquirenti che emerge dall'inchiesta sul Keu (i fanghi di scarto delle concerie) condotta dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli e dal sostituto Giulio Monferini.
L'indagine ha portato alla perquisizione in otto aziende dedite alla gestione a vario titolo dei rifiuti pericolosi e non pericolosi e in un laboratorio di analisi e ispezioni in tre imprese di gestione rifiuti speciali per verificare il ciclo produttivo, dal campionamento degli scarti e delle materie prime e secondarie ottenute dal loro recupero. I provvedimenti sono stati eseguiti tra martedì e ieri dai carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) di Firenze, coadiuvati dal Noe di Roma e dai colleghi dei comandi territoriali.
La Procura ha spiegato in una nota che tra le aziende perquisite vi è quella di “Badia al Pino”, specializzata nel recupero degli scarti dei metalli preziosi, e il laboratorio di analisi "Lasi".
Secondo quanto appreso risultano indagati per gestione illecita di rifiuti l'amministratore delegato della C.h. L. B., la consigliera delegata Cristina Squarcialupi, comproprietaria del gruppo C.U.A., e due dirigenti dell'azienda.
Il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli
L'ipotesi della Procura
Gli accertamenti svolti dai carabinieri hanno riguardato il conferimento di scarti di lavorazione della C.h. a un impianto nel Viterbese dove C.h. aveva inviato i propri scarti, dal 2012 al 2021, sempre con la classificazione di rifiuti non pericolosi. Invece secondo Noe e Dda di Firenze avrebbero dovuto essere qualificati pure in questo caso come rifiuti pericolosi. Nella sua nota C.h. torna a ribadire: siamo controllati da Arpat e Regione, "l'azienda è fermamente convinta di aver attribuito un corretto codice". La Procura ipotizza un illecito traffico di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi: circa 84.000 tonnellate avviate al recupero e 12.000 tonnellate avviate a smaltimento. Tra il 2012 e il maggio 2023, quegli scarti sarebbero stati declassificati in rifiuti non pericolosi e così sarebbero stati avviati al recupero, fino al novembre 2021, in impianti "compiacenti" anche grazie alla predisposizione di documentazione ad hoc. Non essendo autorizzate alla ricezione di rifiuti pericolosi, le imprese "compiacenti" recuperavano gli scarti in maniera fittizia, secondo la Procura "facendone perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come materie prime e secondarie ad aziende, allo stato terze non indagate, attive nel settore dell'edilizia". Un affare di almeno 21 milioni di euro secondo la Procura, derivante dal "risparmio economico ottenuto avviando il rifiuto al recupero, con codice Eer non corretto, con enormi guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni di euro, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage, si è garantita la ricezione di quei rifiuti, che avrebbero diversamente dovuto essere avviati ad impianti autorizzati".
ARTICOLI CORRELATI
Imprenditoria-mafia e politica, l'affare dei rifiuti tossici in Toscana
Operazione ''Keu'', la 'Ndrangheta in Toscana tra droga, lavori stradali e concerie
'Ndrangheta in Toscana: sequestro 5 mln a imprenditore rifiuti