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Andrea Purgatori: "La strategia stragista di Cosa nostra comincia già con la morte di Rocco Chinnici"

La strategia del terrorismo eversivo con cui Cosa Nostra sfidò lo Stato non comincia con le stragi del 1992 di Capaci e via d’Amelio e nemmeno con le bombe del 1993 in Continente ma almeno dieci anni prima, sempre a Palermo, con una stagione di “talpe, complici e vuoti a perdere” e con tutti i misteri ancora irrisolti. Mercoledì la trasmissione “Atlantide” con uno speciale andato in onda in occasione dei 31 anni dalla morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, ha rimesso le cose in ordine dando una coordinata e un prologo a questa stagione di piombo e tritolo. “Siamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. I ‘viddani’ capeggiati da Riina e Provenzano sono ormai scesi a sfidare la mafia della città a colpi di Kalashnikov, andando a pescare referenti e informatori nelle zone grigie delle complicità istituzionali politiche e industriali”, ha ricordato il conduttore Andrea Purgatori. “Lo Stato dichiara di voler combattere quella mafia di campagna e di città e spedisce in Sicilia i suoi uomini migliori salvo poi abbandonarli un’istante dopo senza strumenti con cui combattere e lasciarli così isolati”.
Le prove generali della strategia stragista, la Cosa Nostra terroristica le comincia il 25 settembre 1979 neutralizzando il consigliere Cesare Terranova all’angolo tra via De Amicis e via Rutelli, un agguato facile per un bersaglio grosso. Un attentato avvenuto appena due mesi dopo l’esecuzione del super poliziotto Boris Giuliano al bar Lux di Palermo. E quindi una sequela di altri delitti eccellenti. Nell’arco di quattro anni cadono figure determinanti della Palermo sana del tempo come Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, e Rocco Chinnici. Personaggi scomodi abbattuti prima che potessero raggiungere determinate posizioni di comando, o fermati con il piombo per le rivoluzioni professionali o investigative di cui sono stati promotori nei loro uffici: che sia nel Palazzo di Giustizia, all’Ars, in Questura o in Caserma. Nemici giurati di Cosa Nostra e dei suoi emissari grigi.


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Il figlio di Rocco Chinnici, Giovanni


Chinnici ucciso perché indagava sul “terzo livello”
Il consigliere istruttore del tribunale di Palermo Rocco Chinnici, infatti, non a caso fu il magistrato che per primo indagò sul “terzo livello” del potere italiano e per questo venne eliminato con un’autobomba, la prima della storia utilizzata contro un pm, il 29 luglio 1983. “Atlantide” ha ricordato la sua storia e le storie delle figure abbattute a cavallo tra la fine degli anni ’70 e inizio anni ’80 prima di addentrarsi negli anni del tritolo del 1992 e del 1993.
Chinnici fu fautore di una vera e propria rivoluzione e fu chi capì che per contrastare un fenomeno complesso come la mafia bisognava approcciarsi in maniera complessa. La singola indagine sul singolo fatto doveva essere sempre collegate ad altri indagini e ad altri fatti”, ha spiegato il magistrato Nino Di Matteo, uno dei tanti intervistati, ricordando a Purgatori che Chinnici fu l’inventore del famoso pool antimafia. “Papà era un grande organizzatore”, ha ricordato Giovanni Chinnici, figlio del giudice. “Era capace di organizzare in modo efficiente una struttura e così fece con ufficio istruzione quando divenne capo organizzò una macchina da guerra contro la mafia, fu il pool antimafia”. Ma Chinnici, oltre ad essere un grande organizzatore fu anche un sofisticato investigatore. E si spinse oltre sfidando il cosiddetto “quarto livello”.Rocco Chinnici indaga sul grappolo di delitti avvenuti a cavallo tra il ’79 e l’82 e si convince di essere in presenza di un disegno eversivo mafioso realizzato con omicidi di tipo politico”, ha spiegato il giornalista e scrittore Saverio Lodato, anche lui uno dei numerosi apparsi su La7. Chinnici indagava anche sui potenti cugini Salvo, esattori di Salemi. “Alcuni pentiti ci spiegarono che la volontà di uccidere Chinnici non maturò all’interno della Cupola di Cosa Nostra ma fu in qualche modo sollecitata a Riina da Nino e Ignazio Salvo, che avevano un ruolo politico molto importante”, ha ricordato Di Matteo che fu pm del processo di primo grado. Chinnici avrebbe voluto arrestarli ma venne ucciso prima. “Quell’arresto avrebbe fatto saltare il tappo e provocato la rottura dei rapporti storici della politica romana con Cosa nostra prima del 1992”, ha spiegato l’ex consigliere del Csm.


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La strategia stragista nelle parole di Scarpinato
Da Chinnici il focus di “Atlantide” si è spostato subito sul cuore della strategia stragista di Cosa Nostra, facendo però prima una ricostruzione attenta degli avvenimenti principali avvenuti negli anni seguenti a quel 1983: dal maxi processo, alla Caduta del muro di Berlino, fino a Tangentopoli, la strage di Falcone, la sconfitta di Giulio Andreotti nella corsa al Quirinale e la strage Borsellino. Sulla strategia stragista Purgatori ha intervistato in studio Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore del Movimento 5 Stelle. Scarpinato fu titolare dell’inchiesta “Sistemi criminali” e a lungo si è occupato di quella stagione drammatica e delle sue pagine più nascoste.
Si tratta di una strategia complessa che viene discussa a lungo nel 1991 tra quattro capi di Cosa Nostra che avevano anche la caratteristica di essere aderenti alla massoneria”, ha esordito Scarpinato. “Ed era un progetto che era stato ideato da Gelli. Quello che i capi mafia discutono è che il sistema della prima Repubblica si sta sfarinando e non riesce più a garantire le protezioni e l’impunità del passato”, ha ricostruito Scarpinato. “E questo problema non riguardava soltanto Cosa Nostra ma riguardava anche altri entità criminali. Gli esponenti della destra eversiva che avevano fatto le stragi ed erano stati coperti da servizi segreti che avevano depistato, logge massoniche come la P2 che era stata il laboratorio della strategia della tensione. Si temeva che questo spazio vuoto che si andava a creare venisse coperto da quello che veniva chiamato ‘la gioiosa macchina da guerra’. Cioè un governo con la sinistra democristiana e l’ex PCI e l’arrivo in posti cardine come il ministero della Giustizia di personaggi come Falcone quale procuratore nazionale antimafia o Borsellino quale procuratore di Palermo. Si temeva una stagione di regolamenti di conti in cui tutti gli scheletri sarebbero usciti dagli armadi e quindi si crea una convergenza di interessi”, ha continuato il senatore.


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Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta assumono il ruolo di braccio armato mentre quelli che hanno fatto la strategia della tensione, eversione e P2, erano il software, conoscono il linguaggio delle bombe. L’idea quindi è di abbattere questo sistema di potere che non riesce più a dare protezione per fare spazio a un nuovo soggetto politico che in quel momento era una lega meridionale che sommando i suoi voti alla Lega Nord balcanizza l’Italia, crea tre macro regioni, una al nord, una al centro e una al sud e il sud diventa il regno delle mafie”. Fu il boss Giuseppe Graviano intercettato in carcere con Umberto Adinolfi a spiegare questo progetto. “Parte la strategia che viene anticipata, Elio Ciolini, uomo collegato ai servizi segreti, prima ancora che venga ucciso Salvo Lima il 4 marzo 1992, dice da marzo a luglio ci saranno delle stragi, e così fu, ci sarà l’omicidio di un importante uomo politico e infatti viene ucciso Lima, poi uno del PSI, e infatti si doveva eliminare Martelli. E poi sarà creato un pericolo ancora più grande per distrarre l’attenzione dalla mafia e quindi si comincia in Sicilia eliminando un uomo come Giovanni Falcone che stava per diventare procuratore Nazionale antimafia e quindi aveva tutte le chiavi di lettura per comprendere quello che stava accadendo. Dopodiché - ha concluso Scarpinato - per creare la destabilizzazione non bastava fare le stragi in Sicilia, bisognava portarle al nord nei temi e nei luoghi che vengono indicati agli uomini di Cosa Nostra”.


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Le stragi del 1993 e l’ombra delle entità esterne
Quindi si è affrontato il tema degli attentati del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Tutte effettuate ai danni del patrimonio artistico e culturale italiano. “Per la prima volta la mafia mette nel mirino beni artistici e simboli della cristianità di cui con ogni probabilità non conosceva nemmeno l’esistenza”, ha commentato Saverio Lodato. “Si parla di alcuni mafiosi che andarono a fare alcuni sopralluoghi soprattutto a Firenze e a Roma con la cartina geografica in mano”. “E’ accertato che Cosa nostra in quella primavera del 1993 non agì da sola”, ha ricordato Purgatori che ha poi intervistato il magistrato Gianfranco Donadio, procuratore di Lagonegro, la giornalista Stefania Limiti, e l’avvocato dei famigliari delle vittime della strage di Georgofili Danillo Ammannato.


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Queste sono stragi mafiose perché le ha fatte la mafia ma sono stragi politiche per finalità di eversione dell’ordine democratico”, ha commentato Ammannato. Di fatti l’ex presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi parlò di clima da colpo di Stato, ne fu prova l’isolamento delle linee telefoniche di Palazzo Chigi la notte della bomba a San Giorgio al Velabro o l’autobomba priva di disinnesco piazzata contro di lui a Roma.
Lo scontro è sul piano delle reazioni dello Stato dopo le stragi del ’92, in particolare il carcere duro imposto a centinaia di capi mafia e allora inizia questo dialogo a suon di bombe”, ha ricordato ancora Ammannato. Bombe che provocarono quell’anno dieci morti, tra cui due bambine, e decine di feriti. A rivendicarle fu una sigla misteriosa che si macchiò anche di delitti come quello dell’educatore carcerario Umberto Mormile: la Falange Armata. “La Falange Armata la conosciamo come la sigla responsabile di tutte le stragi di quel biennio”, ha spiegato Stefania Limiti. “L’ex capo della Polizia Vincenzo Parisi disse che la Falange Armata è uno strumento costruito in laboratorio”, ha ricordato la scrittrice. “Esiste una crisi politica gravissima ed è evidente che non è solo Cosa nostra ad avere l’interesse di colpire lo Stato. E la DIA sulla base di questo ipotizzò subito che Cosa Nostra stesse agendo insieme ad altri soggetti”, ha detto ancora Limiti.


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I misteri della bomba di via dei Georgofili
Quindi si è parlato della strage di Via dei Georgofili, di cui a giorni verrà ricordato il 30° anniversario, avvenuta a Firenze nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Per parlare dell’argomento Andrea Purgatori ha intervistato il magistrato Donadio, che indagò a lungo su quel Fiat Fiorino deflagrato sotto la Torre dei Fulci.
Il pentito Gaspare Spatuzza racconta che i mafiosi avevano riposto in via dei Georgofili all’incirca 140 kg di tritolo. Ma ad angolo di via dei Georgofili venne posizionato il fiorino carico con oltre 250kg di esplosivo che deflagra con conseguenze inimmaginabili ed era esplosivo ad altissimo potenziale”, ha ricordato Donadio. “Stiamo parlando cioè di un esplosivo diverso da quello che i quattro mafiosi partiti per Firenze su ordine di Matteo Messina Denaro avevano a disposizione. Grazie ad indagini estremamente moderne per l’epoca vennero ricercate possibili tracce di sostanze esplosive nelle due automobili a disposizione dei mafiosi giunti a Prato”, ha spiegato il procuratore di Lagonegro. “In entrambi questi veicoli sono state trovate tracce di questo esplosivo ma non di tipo militare. Vuol dire che il percorso di quest’altro tipo di esplosivo di altissimo potenziale è stato diverso e non è passato dalle mani dei mafiosi”. Diversi sono ancora i misteri irrisolti sulla strage come l’identità della donna intravista nella fase di trasporto del borsone con il tritolo. Una presenza che confermerebbe l’ipotesi che insieme a Cosa Nostra c’erano altre entità esterne visto che per la mafia non è previsto assolutamente l’impiego di donne in azioni esecutive. E poi c’è l’altro capitolo dell’uomo visto scendere dal Fiorino e la cui descrizione non corrisponderebbe a quella del boss Cosimo Lo Nigro, condannato per aver collocato l’autobomba sotto la Torre. “L’unico testimone oculare di quella sera racconta che scese dal Fiorino un uomo alto 1.85m. Noi ritroviamo questo dato nell’atto di corrispondenza della Digos - ha rammentato Donadio - e troviamo riferimenti chiarissimi a un uomo alto 1.85m. Cosimo Lo Nigro, coautore materiale della strage, invece era poco più basso di un 1.70m”, ha detto Donadio.
Nella strage di Georgofili c’è tutto l’armamentario della guerra del terrore”, ha riassunto Stefania Limiti. “C’è l’idea di un attacco allo Stato. L’idea di un attacco alla folla. E’ un momento estremamente politico, non più vendicativo. Quelle modalità di puro terrorismo erano lontane dalle modalità mafiose. Tutti in quel momento  ci siamo sentiti vittima di una forza criminale che non capivamo di che pasta fosse fatta”.


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Il caso Ilardo
La trasmissione si conclude con il caso di Luigi Ilardo, pentito di Cosa nostra morto ammazzato il 10 maggio 1996 prima che si ufficializzasse la sua collaborazione con la giustizia. “Atlantide” ha intervistato Luana Ilardo che ha ricordato le responsabilità istituzionali in quello che descrive un omicidio di Stato. Poi ha intervistato sul punto Lirio Abbate, giornalista di Repubblica. “Ilardo è stato la stele di rosetta per quella mafia corleonese e provenzaniana dal fallito attentato dell’Addaura in poi, che ha spiegato a un investigatore (il colonnello Michele Riccio, ndr) che cosa c’era dietro certe azioni che sembravano mafia ma che mafia non era ed atri conflitti tra uomini di mafia e uomini delle istituzioni che erano traditori”.
Ilardo è stato fondamentale”, ha spiegato Abbate. “Riccio presenta Ilardo ai magistrati di Palermo e Caltanissetta e fa una prefazione di quelle che sarebbero state le sue dichiarazioni poi nel corridoio mentre va nella stanza con i magistrati che lo aspettando incontra il colonnello Mori al quale fa una battuta. Ci sono tante circostanze che avrebbero dovuto mettere istantaneamente Ilardo sotto protezione dello Stato e invece così non fu e venne ammazzato. Era già condannato a morte. Oggi se sappiamo alcune cose è perché Ilardo ce le ha dette. Se fosse rimasto vivo - ha concluso - sapremmo molto di più”.


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