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È definitiva la condanna per associazione mafiosa a carico di Rosario Pio Cattafi. La prima sezione penale della Cassazione (Presidente Monica Boni) ha rigettato il ricorso della difesa, confermando la sentenza - emessa in sede di rinvio dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria - di condanna a 6 anni di reclusione, come anche sollecitato in udienza dal sostituto pg della Suprema Corte Assunta Cocomello.
Cattafi era stato arrestato nel 2012 nell'ambito dell'operazione 'Gotha 3' condotta dalla Dda di Messina e dai Carabinieri del Ros, con l'accusa di essere a capo della cosca di Barcellona Pozzo di Gotto.
Condannato a dodici anni di reclusione, per effetto della diminuzione del rito abbreviato, dal gup di Messina il 16 dicembre 2013, aveva ottenuto la riduzione della condanna a sette anni e l'esclusione dell'aggravante di capoclan dalla Corte di appello di Messina il 24 novembre 2015. L'1 marzo 2017 la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, accogliendo il ricorso del difensore di Cattafi, l'avvocato Salvatore Silvestro, aveva annullato la sentenza con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria. La Corte reggina il 6 novembre 2021 aveva confermato la condanna di Cattafi con una motivazione che aveva sottolineato il suo importante ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e il potere legale, rideterminando la pena in sei anni di reclusione.
I giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria avevano scritto nelle motivazioni della sentenza come Rosario Pio Cattafi, "almeno dall’ottobre del 1993 al marzo del 2000, abbia fatto parte della cosca mafiosa barcellonese".
La sentenza venne successivamente impugnata dalla difesa di Cattafi.
Ieri la sentenza definitiva, con la quale Cattafi è stato anche condannato a rifondere le spese sostenute dalle parti civili nel processo. Nel corso dello stesso processo Cattafi era già stato condannato anche per calunnia, commessa ai danni dell'avvocato Fabio Repici e del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Per la calunnia la sua condanna è diventata irrevocabile già l'1 marzo.


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Attilio Manca


"In questi anni non ho mai abbandonato la speranza di arrivare alla verità e stasera, con la condanna di Cattafi, indicato da alcuni pentiti anche come mandante dell'omicidio di Attilio, la mia speranza è ancora più forte. Stasera io e mio marito abbiamo gioito. Grazie alla tenacia, all'ostinazione, alla professionalità dell'avv. Fabio Repici che non si ferma mai, nonostante i numerosi ostacoli, siamo convinti che anche per Attilio stia arrivando il momento della verità!", ha scritto su Facebook Angela Gentile madre di Attilio Manca, l'urologo siciliano trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio 2004.
La richiesta di riapertura delle indagini sulla sua morte è stata presentata dall'avvocato Fabio Repici alla procura di Roma e alla procura nazionale antimafia: elemento fondamentale è stata la relazione della precedente Commissione parlamentare antimafia (approvata all'unanimità, relatrici le deputate Piera Aiello e Stefania Ascari). Per la commissione, l'omicidio di Attilio Manca "non appare essere stato il classico assassinio mafioso, ma il frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra".
Anche il nome di Rosario Cattafi appare a più riprese nella relazione: nello specifico il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico, il 13 ottobre 2015, aveva raccontato alcuni fatti appresi da Salvatore Rugolo, cognato dell’attuale capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti, e figlio dell’ex capomafia barcellonese, Francesco 'Ciccio' Rugolo. "D’Amico - si legge - spiegava come Rugolo avesse accusato Rosario Cattafi di aver avuto un ruolo nella vicenda dell’omicidio dell’urologo Attilio Manca, avendo indicato il medico al latitante Bernardo Provenzano, che necessitava di cure alla prostata".


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L'avvocato Fabio Repici © Imagoeconomica


Le dichiarazioni dell'avvocato Repici
L'avvocato Repici è stato presente nel processo, lo ricordiamo, nella doppia veste di difensore di parte civile ma anche di parte lesa, essendo stato oggetto delle calunnie, ormai accertate anche queste con sentenza definitiva dell'1 marzo 2017, di Saro Cattafi.
Per qualcuno Cattafi aveva stipulato un contratto che prevedeva l’impossibilità di essere condannato definitivamente per mafia. Oggi sappiamo che non era possibile fosse così e Cattafi ha ricevuto il certificato ufficiale di mafiosità. Che è anche il certificato ufficiale di mafiosità per un certo mondo che a Barcellona e nell’intera Nazione per cinquant’anni si è accompagnato a lui" ha commentato il legale a stampalibera.it.
"L’auspicio - ha detto - è che il passaggio in giudicato della condanna per associazione mafiosa a carico di Rosario Cattafi infranga anche le resistenze di certo negazionismo giudiziario e che da quella sentenza possano derivare conseguenze utili per la verità e la giustizia per tante altre vicende barcellonesi e non, a partire dall’omicidio di Beppe Alfano e dall’omicidio di Attilio Manca”.


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Beppe Alfano, giornalista


Le dichiarazioni di Sonia Alfano
Ricordo come fosse ora le minacce che spesso Cattafi rivolgeva alla mia persona nel 2013 davanti al gup di Messina. Ero parte civile e sapeva che l’avv. Fabio Repici ed io eravamo l’ostacolo alla sua libertà, che eravamo gli unici a disturbare il suo ruolo di boss mafioso, e gli unici ad opporsi al tentativo fallimentare di accreditarsi come teste sulla trattativa stato mafia con la Dda di Palermo. Quei tentativi erano plateali, ed io ho sempre risposto a quegli atteggiamenti con la promessa che avrei fatto di tutto per dimostrare le sue responsabilità e per ottenere giustizia. Oggi finalmente la Cassazione sancisce queste responsabilità, e nessuno potrà più negare che Cattafi non solo è un boss mafioso, ma che soprattutto è da sempre l’elemento di collegamento tra gli apparati deviati dello Stato, mafia e politica. Da oggi, chi sta dalla parte di Cattafi, sta con la mafia. Io continuerò a pretendere chiarezza sul suo ruolo nell’ambito dell’omicidio di mio padre e non mi fermerò davanti a nulla" ha detto sempre a stampalibera.it Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano, assassinato da Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto l'8 gennaio 1993, già presidente della Commissione antimafia del parlamento europeo, a poche ore dalla sentenza della Cassazione.


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La figlia del giornalista, Sonia Alfano


Le motivazioni della sentenza d'Appello
"Non ci sono dubbi" sul fatto che Rosario Pio Cattafi, almeno dall'ottobre del 1993 al marzo del 2000, fosse a tutti gli effetti un uomo della cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), non solo come persona di fiducia del boss Pippo Gullotti (di cui era stato testimone di nozze) ma anche, dopo l'arresto di quest'ultimo avvenuto nel febbraio del 1998, come "riferimento di spicco dell'organizzazione" per gli altri affiliati e storici vertici, "assumendo compiti e rapporti con le Istituzioni deviate e i colletti bianchi".  La corte d’Appello di Reggio Calabria, (presieduta da Filippo Leonardo) 6 ottobre 2021 aveva condannato Cattafi a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso. 116 pagine di motivazione di sentenza in cui i giudici reggini mettono luce su quella che sarebbe la vera identità avuta da Pio Cattafi, da lui sempre rinnegata. Uno spaccato inquietante su uno degli uomini più misteriosi di Barcellona Pozzo di Gotto, frutto del contributo dichiarativo di così tanti collaboratori di giustizia, scrive la Corte d’Appello, che “è davvero arduo accreditare la tesi secondo cui l'imputato sarebbe vittima di un ordito complotto ai suoi danni”, come sostengono i suoi legali.
All’esito delle risultanze riportate, si legge nella sentenza, “si può affermare, al netto delle obiezioni riportate e superate, che vi sono fatti precisi, del tutto sintomatici della adesione associativa di costui fino al marzo 2000, dovendosi rilevare che la pluralità delle fonti assunte e la loro strutturale convergenza in ordine all'unico decisivo thema probandum, vale a dire la sua partecipazione al medesimo sodalizio, non lascia spazio a dubbi né a tesi alternative ipotetiche, vagliate e ritenute inidonee a incidere sull’assunto accusatorio, qui sposato”. La Corte infatti - riportando le rispettive dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’Amico, Siracusa, Castro, Bisognano e Mirabile - ritiene “comprovato” che l’imputato “ha partecipato ad una riunione associativa nel 1993” (dich. D’Amico);” “ha partecipato ad un altro convegno di mafia, dopo la sua scarcerazione nel ‘97” (dice. Siracusa); “È stato presentato da Barresi Eugenio come sodale del gruppo nel 2000, tale continua ad essere considerato ancora verso 2000 durante i convegni elettorali (dice Castro)”; “ancora nel 2002 è certamente ritenuto un affiliato al medesimo gruppo” (dich. Bisognano). E infine “nel 2004 Rugolo (Salvatore, medico di base deceduto nel 2008 in un incidente stradale, ndr) continua a ritenerlo certamente associato, considerandolo responsabile, in via morale, della morte del dott. Manca” (dich. Mirabile).


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Il superboss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano


Nel caso Manca la veridicità del dischiarato di D’Amico
E a proposito di Manca, la Corte “valorizza” il dichiarato di Carmelo D’Amico circa l’adesione di Cattafi alla compagine mafiosa barcellonese rifacendosi alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia sulla misteriosa morte dell’urologo 34enne, anch’egli di Barcellona Pozzo di Gotto, avvenuta a Viterbo il 12 febbraio 2004.
A detta di Carmelo D'Amico, ex membro dell'ala militare esecutiva del sodalizio, Cattafi avrebbe accompagnato, su incarico di un generale dei carabinieri, presso il luogo in cui era rifugiato il boss stagista Bernardo Provenzano, al tempo latitante da oltre 40 anni, che aveva bisogno di cure urgenti. "Per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano - scrive la corte d'appello di Reggio Calabria nelle sue motivazioni -, Manca è stato ucciso dai servizi segreti. Da qui il "risentimento", riferito da D'Amico alla corte, del cognato di Gullotti, cioè il medico di base Salvatore Rugolo che considerava Cattafi "moralmente responsabile" della morte di Manca (avvenuta nel 2004) per i rapporti che aveva con le istituzioni deviate. E ancora, D'Amico raccontò che, nel carcere milanese di Opera, il boss palermitano Antonino Rotolo "gli confermò che Provenzano era stato curato in Francia da Manca, poi ucciso dai servizi segreti". Per la corte è importante anche evidenziare, proprio in riferimento alla morte di Manca, che nel 2004 "non c'erano dubbi sull'intranità alla cosca di Barcellona da parte di Cattafi", andando ben oltre il periodo storico (1993-2000) oggetto di contestazione processuale. Concentrandosi poi nuovamente sulla figura di Cattafi, D’Amico, come riportano i giudici di Reggio, sostiene che “aveva il compito di gestire i rapporti, per conto della cosca, con i cosiddetti 'colletti bianchi', pur non essendo lui un colletto bianco, visto che il boss era a tutti gli effetti un uomo d'onore... un associato". D'Amico è stato ritenuto attendibile anche quando ha affermato che "Cattafi era a capo di una potente loggia massonica che, comprendendo uomini politici e personaggi delle Istituzioni e dei servizi segreti, dimostra il livello del personaggio in esame". Questo, al punto che “Cattafi era uno dei pochi sodali a conoscere il luogo dove Nitto Santapaola (capo mafia di Cosa nostra catanese, ndr) trascorreva la sua latitanza". Tanto è vero che, all'indomani della cattura dello stesso Santapaola, D'Amico "venne convocato da Gullotti che, su mandato dei vertici di Cosa Nostra, gli affidò, quale killer esperto e fidato, il compito di uccidere Cattafi, sospettato di aver tradito Santapaola di cui conosceva il rifugio". Incarico poi rientrato perché Cosa Nostra scopri 'il vero responsabile' del tradimento.
Nei 6 anni di reclusione inflitti dai giudici di appello calabresi che erano partiti da 9 (poi ridotti di un terzo per la scelta del rito), va ricordato che è compresa anche la condanna a un anno e mezzo di reclusione in ordine alla calunnia commessa da Cattafi per aver falsamente accusato l'avvocato Fabio Repici (parte civile nel processo) di aver determinato la collaborazione di Carmelo Bisognano, al fine di indurlo a rilasciare nei confronti dello stesso boss alcune dichiarazioni accusatorie. "Tale ultimo delitto - si legge nelle motivazioni - è stato accertato in via definitiva, avendo la Cassazione disposto il rinvio al fine di determinare il trattamento sanzionatorio, dipendente dal giudizio in ordine al delitto associativo".

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