Nella Capitale arrivati afrodiscendenti da tutta Italia, a Napoli azienda di autobus rifiuta di portarne un centinaio “perché migranti”
A distanza di poco più di due mesi dal “naufragio” avvenuto davanti alle coste di Cutro non si sono fermate le proteste della società civile. Connotate da rabbia, dolore e delusione nei confronti di uno Stato che quotidianamente continua attraverso i decreti e le sue politiche a schiacciare i più deboli ed a metterli in situazioni ancora più precarie di quelle in cui già vivono.
“Fascismo, razzismo e sfruttamento. Non sulla nostra pelle” è ciò che si legge sullo striscione di testa del corteo che ha sfilato per le strade di Roma nel pomeriggio del 28 aprile, guidate dal movimento migranti e rifugiati di Napoli. Un corteo composto da oltre duemila partecipanti che partendo da piazza Esquilino sono arrivati a piazza Venezia.
“Diritti per tutti” e “Basta propaganda sulla nostra pelle” sono solo alcuni degli slogan gridati a gran voce dalle migliaia di persone che, nel pomeriggio di venerd hanno sfilato per contrastare il “decreto Cutro” meglio conosciuto come "decreto Piantedosi" del Governo guidato dalla premier, Giorgia Meloni.
Un decreto emanato in risposta al naufragio che nel 26 febbraio causò 90 morti e che fece scendere tutta la società civile in decine di piazze in tutta Italia, che è stato approvato alla camera del Senato lo scorso 20 aprile ed è ora in attesa di essere discusso alla camera dei Deputati entro il prossimo 10 maggio.
Un decreto che come hanno ribadito i manifestanti ieri pesa "sulla pelle dei migranti". Proprio per questo la manifestazione organizzata dal movimento migranti e rifugiati di Napoli è stata partecipata ed ha reso protagonista quella parte della società su cui il decreto ricade, una cosa che non accadeva dal lontano 2018, anno in cui vennero emanati i cosiddetti "decreti Salvini". "Con questo decreto si rischia di rendere le persone più ricattabili”, ha spiegato uno dei portavoce Moussa Diakite.
È vero infatti che tra le tante cose questo decreto include un cambiamento di parametri nella protezione speciale, grazie alla quale migliaia di persone riescono ad ottenere il permesso di soggiorno e divenire così regolari all'interno del territorio Italiano, avendo così una maggiore possibilità di essere assunti con contratti regolari, diminuendo di conseguenza i lavori "in nero" e il caporalato.
Come ha infatti gridato dal microfono l'attivista di Our Voice Thierno Mbengue: “Perché la realtà è che la forza lavoro di questo paese è composta in gran parte da noi migranti, perché a Campobello di Mazara in Sicilia dove vivo io, le olive che finiscono sui tavoli e nelle cucine di tutta Italia le raccogliamo noi: i cosiddetti negri di merda o ragazzi di colore. Noi che siamo le stesse persone che questo decreto colpisce con così tanto odio, quelle che questo stesso governo lascia che vengano sfruttate nei campi di lavoro dalle mafie, le stesse che finiscono nelle mani del caporalato gestito da Cosa Nostra, Ndrangheta e Mafia Nigeriana. Ma questo non ci stupisce - ha continuato l'attivista di seconda generazione proveniente dal Senegal - perché c’è una parte di questo Stato che è corrotta e che permette e guadagna dalla violazione di diritti fondamentali ed è lo specchio di una Cassazione che ieri, con la sentenza sulla trattativa Stato-mafia, ha assolto funzionari di Stato, come Mori, De Donno e Subranni, negando verità e giustizia a tutta l'Italia.
Viviamo in un paese in cui i tribunali legittimano i dialoghi tra Stato e Mafia, in cui si assolve totalmente chi va a cercare Cosa Nostra per trattare, mentre chi arriva su un barcone, dopo aver sofferto torture e violenze si ritrova nei migliori dei casi a lavorare in condizioni deplorevoli e nei peggiori incarcerato come scafista, o rinchiuso in un centro di permanenza per il rimpatrio.
Un paese in cui il nostro ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha come uomo di fiducia per le operazioni volte a fermare le partenze dalla Libia Imad Al Trabelsi, schedato dalle Nazioni Unite come uno dei più potenti trafficanti, a capo della milizia di Zintan, e fermato un mese fa all'aeroporto Charles De Gaulle mentre rientrava dall'Italia con mezzo milione di dollari in contanti di cui non sapeva dare nessuna spiegazione.
Per questo siamo qui oggi, perché le persone che governano l'Italia, sono le stesse che provocano la nostra morte in territori come la Libia, attraverso finanziamenti di un governo criminale, il cui ministro degli interni è petroliere e trafficante."
Intervento quello dell'attivista a cui si sono susseguiti gli slogan dell'intero serpentone e numerosi discorsi di molti altri partecipanti, differenti ma con la stessa rabbia e le stesse richieste: lavoro e diritti per tutti, regolarizzazione e dignità.
Ogni richiesta incentrata sull'immigrazione e portata avanti dai protagonisti e dalle protagoniste della piazza organizzata dal movimento di Napoli, che quotidianamente vivono sulla propria pelle il razzismo di un'Italia che non ha mai smesso di odiare i diversi.
La piazza infatti come ha detto una delle organizzatrice Mariema Faye è stata ostacolata a meno di 24 ore dall'inizio da una compagnia di autobus (di cui non è noto il nome) che ha pensato bene di rifiutarsi il giorno prima della manifestazione di prestare il servizio di trasporti che aveva garantito perché non intenzionata a trasportarli in quanto migranti. "Non porto migranti sui miei pullman”, ha detto l telefono uno dei titolari di una ditta alla quale si era rivolto il Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli per raggiungere Roma. "Se fossero stati lavoratori bianchi li avrei portati", ha continuato l'uomo.
Nonostante questo episodio razzista e deplorevole, i partecipanti sono riusciti a giungere a Roma da Napoli con 12 bus riempiti dai manifestanti migranti e dalla società civile, riuscendo a garantire un trasporto a tutti. Autobus ai quali si sono aggiunti quelli di Milano, Bologna e Torino, che assieme alle altre persone provenienti da Genova, Palermo e Verona sono giunti nella capitale per gridare "non sulla nostra pelle".
Foto © Our Voice
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