I giudici di Bologna che hanno condannato Bellini accertano “l’affiatamento tra l’ex Gran Maestro e Ia giunta militare piduista” a partire dall’ammiraglio Massera
In una delle sue ultime interviste un Licio Gelli spavaldo si lasciava andare ad un’inedita loquacità e a commenti nostalgici sugli anni in cui spadroneggiava dietro le quinte del potere in Italia. Era il 2008 e al Corriere della Sera ricordava così il suo regno occulto al vertice della Propaganda 2. “Tutti i capi dei servizi segreti che si sono succeduti si nominavano noi. Si suggerivano i nomi e dovevano esser quelli”, affermava con la sua inconfondibile cadenza toscana. E così anche “iI capo di Stato maggiore dell’Esercito”, continuava. “Il comandante generale dei carabinieri, il generale della guardia di finanza e il capo della squadra della marina”. Tutti “si nominava noi”. Perché? “Perché Ia P2 doveva avere i migliori di tutti i settori” in modo che “potevamo eventualmente governare bene il paese”. Quelle nomine segrete, quelle tacite alleanze, che dovevano servire al suo “Piano di rinascita democratica”, però, non avvennero solo in Italia, avvelenata dalla peste piduista, ma anche in Latinoamerica. Nello specifico: Cile, Brasile, Uruguay, Paraguay e Argentina. Nel Cono Sud dell’America Latina, e soprattutto in Argentina, il Gran Maestro della P2 era di casa e faceva il bello e il cattivo tempo negli anni terribili del “Plan Condor”, il famoso piano con cui la Cia favorì i colpi di Stato appoggiando le giunte militari che poi si instaurarono nel continente e che per anni sequestrarono, torturano e assassinarono decine di migliaia di oppositori politici. Gelli, al tempo, era "il “burattinaio”. Un termine che, di recente, gli ha attribuito la Corte d’Assise di Bologna nell’ambito del processo contro l’ex primula nera Paolo Bellini, condannato all’ergastolo per la strage del 2 agosto 1980 (85 morti e 200 feriti). La Corte descrive Gelli come il “potente manovratore invisibile delle forze invisibili”. Nelle 1700 pagine di sentenza l’ex Gran Maestro (che non è stato processato perché deceduto) viene citato centinaia di volte. I giudici lo ritengono “coinvolto” in maniera “eclatante” nell’attentato alla stazione di Bologna, il più grande dal dopoguerra. La procura generale è ancora più netta e lo ritiene persino uno dei mandanti. Di fatti, l’ex Gran Maestro fu la mente di quella strage neofascista. Come fu la mente - “il burattinaio” per l’appunto - delle dittature sudamericane.
In realtà del coinvolgimento della P2 e del Gran Maestro in persona nell’Argentina di Videla, nel Cile di Pinochet o nell’Uruguay di Bordaberry si sa da diverso tempo. Ma la Corte d’Assise di Bologna approfondisce questo coinvolgimento e restituisce elementi inediti sul caso che meritano una lettura.
Il dittatore del Cile, Augusto Pinochet © Biblioteca del Congreso Nacional de Chile
Gelli rappresentante delle dittature
Cerchiamo di dare un ordine. Già la Commissione parlamentare sulla P2 presieduta da Tina Anselmi accertava i legami di Gelli con i vertici delle dittature sudamericane. La sentenza Bellini, che riprende le conclusioni della Commissione, parla del “ruolo incredibile” dell’ex n°1 della loggia “nell'ambito delle giunte militari che negli anni '70 prendono il potere in Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay”. “Gelli - si legge - è il principale rappresentante di questi paesi in Italia e costruisce una fortuna personale in tali Stati”. Dei Paesi latinoamericani finiti sotto gli anfibi delle giunte militari, l’Argentina è quello in cui Gelli e la sua loggia hanno sguazzato maggiormente. I giudici di Bologna, che hanno acquisito sentenze sul “Plan Condor”, scrivono che “la P2 è parte comune in quel periodo della vita politica in Argentina, così come in Italia”. Ma quando ci è arrivato Gelli in Argentina? Nella citata commissione Anselmi si afferma che i rapporti di Licio Gelli con le istituzioni argentine “erano già rilevanti nel 1973 quando, il 28 giugno, un mese dopo l’insediamento del presidente Héctor Cámpora, il governo argentino gli concedeva un passaporto diplomatico in quanto ‘Delegato in missione speciale’”. Il venerabile venne anche insignito dell’Ordine del General San Martín, massima onorificenza argentina e nel 1974 ricevette la cittadinanza. Nello stesso anno divenne inoltre consigliere economico dell'ambasciata argentina in Italia.
L’amico Massera e i gerarchi argentini iscritti alla P2
In realtà Gelli, in Argentina, aveva il suo bel da fare già a fine anni ’60 quando conobbe il futuro ammiraglio Emilio Eduardo Massera, ex militare dell’Accademia della Marina, poi divenuto braccio destro del capo della Sin (i servizi segreti della Marina). Alla fine del decennio Massera venne distaccato per un breve periodo presso la base navale di Puerto Belgrano e dopo essere stato decorato Capitano, ottenne l’incarico di guidare la fregata “Libertad” nel suo giro del mondo. E’ In questo lasso di tempo che conobbe Gelli. L’onlus italiana “24 Marzo”, che si occupa dei crimini di lesa umanità commessi durante gli anni del “Condor”, certifica così il rapporto tra i due. “Gelli vedeva nell’ambizioso capitano un cavallo vincente su cui puntare ad occhi chiusi, un cavallo di troia utile a penetrare in maniera definitiva nell’establishment argentino, mentre Massera vedeva nella potente loggia massonica l’appoggio utile a creare le basi economiche ed il network di potere necessario alla propria ascesa politica”. Il resto è storia. La notte del 24 marzo 1976 il Paese cadde sotto la dittatura di Jorge Rafael Videla, che Gelli esaltava.
Da sinistra: Emilio Eduardo Massera e Jorge Rafael Videla
Secondo il magistrato Giuliano Turone, che scopri gli elenchi della P2 a Castiglion Fibocchi, anch’egli citato dai giudici, Gelli avrebbe addirittura “partecipato a una riunione preparatoria del colpo di Stato”. Intanto Massera, già promosso ammiraglio nel ’73, divenne uno dei rappresentanti più illustri e sanguinari della dittatura durante la quale venne insignito della carica di Capo di Stato Maggiore della Marina. Le sue mani sono sporche del sangue di una fetta enorme dei 30mila desaparecidos argentini. Dopo il golpe Gelli stesso, ricordano i giudici di Bologna, “avrebbe scritto a Massera complimentandosi per il buon esito dell'operazione e perché tutto si era svolto ‘secondo i piani prestabiliti’”. Il nome di Massera, segnala ancora la Corte, comparirà negli elenchi della P2 sequestrati dalla procura di Milano. L’ammiraglio, che andò persino a trovare Gelli nel suo stabilimento industriale a Castiglion Fibocchi, si iscrisse alla loggia come già fece (ma in Spagna) il comandante della Triple A (Alleanza Anticomunista Argentina) e poi ex ministro argentino José López Rega (detto “lo stregone”) e il generale Guillermo Suarez Mason (soprannominato “il macellaio dell’Olimpo”), capo dell’ESMA, Scuola della Marina, che venne trasformato in uno dei centri di tortura e sterminio più grandi del Paese. Massera, Rega e Mason furono tra i boia più sanguinari del regime.
Tutti e tre iscritti alla P2, tutti e tre amici di Gelli e tutti e tre finiti alla sbarra per crimini contro l’umanità a Buenos Aires e Roma (solo Rega si salvò dalla condanna perché morì prima). Tutti erano grati a Gelli, soprattutto Massera. La Esma, di cui fu capo, divenne il mezzo utile alla Marina per dimostrarsi efficiente e capace di guidare la Giunta militare, “quanto se non più dell’Esercito”, sostiene “24 marzo onlus”. E una volta saldate le redini del potere sotto Videla, Massera si dedicò ad accrescere il proprio patrimonio personale “rastrellando le case delle famiglie dei dissidenti” ed intavolando “affari più o meno leciti, spesso condotti insieme al suo amico Licio Gelli”. In breve tempo “l’ammiraglio divenne l’uomo più ricco dell’Argentina”.
Licio Gelli nel 1989
La P2 censurava i crimini e i casi di desaparecidos
Riprendendo di nuovo le fitte pagine della sentenza Bellini si segnala che “l’affiatamento tra Gelli e Ia giunta militare piduista si riscontra nell'acquisto attraverso una società facente capo a uomini della P2 di numerose importanti testate giornalistiche argentine”. Non solo. Secondo i giudici, in Italia il Corriere della Sera, che al tempo cominciava ad essere infiltrato da personalità della P2, avrebbe contribuito ad occultare Ia violazione dei diritti umani in Argentina, culminato nell'allontanamento del giornalista che avrebbe voluto scriverne”. Il giornalista era Giangiacomo Foà corrispondente del Corriere da Buenos Aires. Il suo giornale, già all’epoca il più venduto d’Italia, lo assecondava poco. Le sue pubblicazioni su ciò che avveniva in Argentina venivano ostacolate. Gelli, del resto, "aveva l’ossessione dell’informazione", scriveva il professore Nicola Tranfaglia.
“II versante italiano del Sistema P2 - si legge nella sentenza - comincia a dare una mano al suo omologo argentino proprio mettendo il bavaglio al corrispondente da Buenos Aires del Corriere della Sera, Giangiacomo Foà, che a partire dall'autunno 1976 viene invitato a non scrivere più dall'Argentina". Alla fine Foà venne intimidito proprio perché stava testimoniando i casi di sequestri e torture. Le minacce arrivarono al punto da costringere il giornalista a scappare dal Paese e trasferirsi nel vicino Brasile.
Parenti dei desaparecidos manifestano davanti al Palazzo del Governo durante il regime militare di Pinochet © Kena Lorenzini
“Gelli capo dei servizi segreti”
Altro “capitolo delicato” che la corte d’Assise di Bologna affronta rispetto alla galassia gelliana è l’avvicinamento ai vertici dei servizi segreti. La corte, citando l’Avvocatura dello Stato che considera Gelli a capo dei servizi italiani, ricorda che “secondo alcune voci Gelli era addirittura il capo dei servizi segreti argentini”. Queste “voci” su Gelli non provengono da qualche ex terrorista nero e nemmeno da qualche ufficiale dell’esercito argentino ma dall’ex presidente Arturo Ercole Frondizi in persona. Sul punto, la Corte ritiene che Gelli aveva sui servizi segreti argentini e anche cileni “una fondamentale influenza oltre a un ruolo attivo”.
A supporto di ciò i giudici Francesco Caruso, a latere Massimo Cenni, riportano le sentenze acquisite contro gli ex Nar condannati per la strage di Bologna in cui si riporta la testimonianza del Generale Giulio Grassini, il primo direttore del Sisde, resa dinnanzi alla Commissione Anselmi “sulla capacita di Gelli di porre i servizi segreti argentini a disposizione del SISDE”. Una testimonianza che i giudici Caruso e Cenni descrivono “semplicemente incredibile”, così come Ia testimonianza del celebre manager italiano Giancarlo Elia Valori “sullo stupore dell'ex presidente argentino Arturo Ercole Frondizi”, riguardo “l’influenza e il potere di Gelli sui generali sudamericani e soprattutto sui servizi segreti di questi Stati, che lo ricompensano donandogli ville (Ia residenza di Montevideo), appartamenti e altri benefit”. Nello specifico Grassini, che nella sentenza Bellini viene descritto come uno dei commensali di Gelli, alla commissione sulla loggia P2 rivelò un episodio che chiarisce il potere di cui era in possesso l’ex capo della P2. "...Non avevamo nessun rapporto con i Servizi dell'America latina... Sapendo bene che Gelli aveva grandissime possibilità per quanto riguarda !'Argentina, gli chiesi se mi poteva mettere in contatto con gli argentini. Egli aderì a questa richiesta e l'indomani mattina puntualmente - ricordava Grassini - il Capo del Servizio argentino in Italia, all'ambasciata argentina in Italia, si presentò nel mio ufficio dicendosi pronto a collaborare per qualsiasi cosa…”. La vecchia corte bolognese riassumeva così quella testimonianza: “Basta una parola del Gelli e il Capo del Servizio argentino in Italia corre a mettersi a disposizione del Direttore piduista del SISDE, stabilendo rapporti di proficua collaborazione”. “Basterebbe questo - commentavano i giudici - per attestare il potere raggiunto dal Gelli in quello Stato latino-americano. Ma si deve ricordare ancora - aggiungeva la corte - che egli entra in relazione con Peròn (l’ex presidente argentino) e con il suo "entourage", dove spicca un personaggio come Lopez Rega; ha rapporti col Gen. Viola (uomo che depose Videla con un golpe nel 1981, ndr); affilia alla P2 anche Vignes, già ministro degli Esteri, dal quale ottiene Ia nomina a console onorario di Argentina in Roma”. “La ‘penetrazione’ del potere gelliano in Argentina - concludevano i giudici citati in questa sentenza - tende dunque ad assumere le medesime caratteristiche e ad attingere livelli non inferiori a quelli dell'analoga ‘penetrazione' nella realtà italiana".
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