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La madre del medico siciliano: “La verità era sotto gli occhi di tutti ma uno Stato disattento, miope, a volte colluso, non ha fatto nulla per cercarla"

"Finalmente è arrivato il momento che aspettiamo da 19 anni. La riapertura di un processo per omicidio. Stavolta non potranno negarcelo. Attendiamo con fiducia". Così la madre di Attilio Manca, Angela Gentile, alla notizia della riapertura delle indagini sulla morte del figlio.
La richiesta è stata fatta ufficialmente alla procura di Roma, con una denuncia "circostanziata" dall'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia del giovane urologo siciliano che fu ritrovato cadavere nella sua abitazione a Viterbo il 12 febbraio 2004. La nuova denuncia, secondo quanto si apprende, si basa oltre che sulle risultanze della relazione della precedente Commissione parlamentare antimafia (approvata all'unanimità, relatrici le deputate Piera Aiello e Stefania Ascari), su ulteriori elementi di prova acquisiti nel corso delle indagini difensive svolte negli ultimi anni.
Per la commissione, l'omicidio di Attilio Manca "non appare essere stato il classico assassinio mafioso, ma il frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra".
La denuncia è stata indirizzata, oltre che alla procura distrettuale antimafia di Roma, anche alla procura nazionale antimafia, per il necessario coordinamento di indagine con le procure di Messina e di Palermo, che hanno trattato in anni recenti procedimenti su personaggi e delitti collegati all'omicidio del giovane medico siciliano.
Gli elementi raccolti all'interno della relazione della Commissione Antimafia sul caso "se guardati nel loro insieme con onestà intellettuale" conducono alla logica conclusione che "Attilio Manca sia stato ucciso" e che la sua morte (questa è una "certezza") sia stata "una conseguenza dei contatti avuti" con Bernardo Provenzano. Un "omicidio di mafia" quindi. Inoltre, viene evidenziato "che l'associazione mafiosa che ne ha preso parte (non è chiaro se nel ruolo di mandante o organizzatrice o esecutrice) è da individuarsi in quella facente capo alla famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto".
Le indagini, in caso di riapertura, potrebbero portare a galla  ulteriori elementi sulla latitanza di Bernardo Provenzano.


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Angelina e Gino Manca © Giorgio Barbagallo


Quella latitanza che la sentenza di Appello del processo trattativa stato - mafia dice essere stata favorita in modo 'soft'.
Tutto avvenne non perché ci fossero collusioni o "patti" (promesse e benefici) da onorare ma perché i carabinieri del Ros ritenevano che la leadership di Provenzano "avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di pulsioni stragiste o di un ritorno alla linea dura di contrapposizione violenta allo Stato".
L'intento era semplice: “Si voleva ‘proteggere’ Provenzano, ossia favorirne la latitanza in modo soft, e cioè limitandosi ad avocare a sé vari filoni d’indagine che potevano portarne alla cattura, ma avendo cura al contempo di non portare fino in fondo le attività investigative quando si fosse troppo vicini all’obbiettivo’’.
Una scelta scandalosa se si tiene conto di ciò che è avvenuto nel 1993 dove le vite umane furono tutt'altro che salvate, o ancora che Cosa Nostra, sotto il regime di Provenzano ha continuato (così come continua ancora oggi) a fare affari, a chiedere il pizzo, a intimidire, minacciare e uccidere.
Ora la richiesta della riapertura delle indagini.
"Ci sono voluti 19 lunghi anni perché finalmente la Commissione parlamentare antimafia sancisse che quello di Attilio è stato un omicidio. Eppure la verità era sotto gli occhi di tutti, bastava solo volerla vedere, ma uno Stato disattento, miope, a volte colluso, non ha fatto nulla per cercarla" ha detto all'Agi la signora Angela Manca, madre di Attilio, sulla richiesta di riapertura delle indagini depositata oggi alla procura di Roma.
Gli inquirenti di Viterbo, si legge nella relazione della Commissione. Antimafia, hanno svolto le indagini "in maniera superficiale" e agito con atteggiamento "precostituito" a confermare la "tossicodipendenza – e quindi del suicidio – della vittima, più che alla ricerca, scevra da pregiudizi, della verità su quanto accaduto".
Secondo la commissione, la procura avrebbe omesso molti accertamenti "indispensabili per un'inchiesta che si voglia definire quantomeno decente, tra cui gli esami dattiloscopici per identificare i proprietari delle impronte trovate sulla scena del crimine, gli accertamenti genetici sulle cicche di sigarette repertate, la ricerca di impronte sulle due siringhe usate per iniettarsi la dose letale di eroina".


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Il legale della famiglia Manca, Fabio Repici © Imagoeconomica


"Dal lontano 20 Febbraio 2005, giorno in cui la Gazzetta del Sud riportò le intercettazioni di Francesco Pastoia, in cui il boss poi suicidatosi parlava di un medico che aveva visitato Provenzano nel suo rifugio - afferma la signora Manca - si poteva arrivare alla verità. Bastava cercare i migliori specialisti che nel 2003 operavano il tumore alla prostata per via laparoscopica. Sicuramente avrebbero saputo che Attilio era stato il primo in Italia il 14 marzo 2001 ad eseguire in Italia la prostatectomia laparoscopica, a soli 32 anni. E che aveva acquisito quelle competenze in Francia. Ma nessuno allora ha provato interesse ad indagare. Come non riesco a comprendere chi ha avuto interesse a nascondere quell'intercettazione dell'autunno 2003, dove dei fedelissimi di Provenzano hanno ripetuto per diverse volte 'dobbiamo fare la doccia al dottore'. Nel frattempo anche Monica Mileti, accusata di aver ceduto la droga ad Attilio, è stata assolta perché il fatto non sussiste. Noi in questi anni - ha spiegato amaramente la madre dell'urologo ucciso - siamo stati lasciati soli, abbandonati da quello stesso Stato che dovrebbe proteggere tutti i cittadini. Abbiamo dovuto lottare con tutte le nostre forze per difendere e proteggere la memoria di Attilio. Un ringraziamento speciale lo devo fare solo ai carabinieri di Barcellona che sono sempre stati al nostro fianco in tutti i momenti, e sono stati tanti, in cui abbiamo subito soprusi, minacce, violenze verbali, atti vandalici. Adesso che si è stabilito che quello di Attilio è stato un omicidio, sono fiduciosa che la Procura di Roma farà degli accertamenti seri approfonditi per arrivare alla verità anche in sede giudiziaria. Ci teniamo a ringraziare pubblicamente il nostro legale, Fabio Repici, per l'immane lavoro svolto, con meticolosità e con tenacia, non trascurando neanche i più piccoli particolari. Con l'apertura di un processo noi genitori potremo avere un po' di serenità e almeno morire - ha concluso Angela Manca - con la speranza che gli assassini e soprattutto i mandanti vengano consegnati alla giustizia".

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