L’ex magistrato ha presentato una legge per rimediare ad un altro disastro targato Cartabia
L'ex procuratore generale di Palermo, e oggi senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato, ha presentato una proposta di legge - Fascicolo Iter DDL S. 662 - per ripristinare "l’articolo del codice di procedura penale modificato dalla riforma Cartabia in modo che si torni all’incandidabilità anche per chi ha patteggiato, come prevede giustamente la legge Severino".
Sul 'Fatto Quotidiano', Scarpinato ha ribadito che "la legge Severino ha previsto l’incandidabilità alle elezioni della Camera, Senato e Parlamento europeo, nonché l’impossibilità di ricoprire incarichi di governo, nei casi di condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti contro la Pubblica amministrazione, nonché per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. La legge - ha detto - dispone che l’incandidabilità opera anche nel caso in cui la sentenza definitiva sia emessa a seguito di patteggiamento della pena (art. 444 del c.p.p.). L’articolo 13 dispone, inoltre, che l’incandidabilità sussiste per una durata non inferiore a sei anni anche se con la sentenza di condanna non è stata irrogata la pena accessoria della interdizione temporanea da pubblici uffici. La Corte costituzionale con giurisprudenza costante ha chiarito, infatti, che l’incandidabilità non ha natura di sanzione penale, ma è una misura finalizzata a tutelare l’oggettiva onorabilità e credibilità delle istituzioni".
Tuttavia le cose sono cambiate con l'entrata in vigore della Riforma dell'(in)giustizia targata Cartabia.
"La riforma Cartabia - ha spiegato Scarpinato - ha stabilito, invece, che la candidabilità può essere oggetto di negoziazione tra le parti in sede di patteggiamento della pena (ai sensi dell’art. 444 c.p.p), nel senso che l’imputato può subordinare la sua adesione al patteggiamento alla condizione che non gli sia inflitta la pena accessoria della incandidabilità. Ma poiché anche in assenza di pena accessoria la legge Severino prevede l’incandidabilità, la riforma Cartabia per invogliare i patteggiamenti ha modificato l’art. 445 del c.p.p. stabilendo che la sentenza di patteggiamento produce effetto pure al di fuori dell’ambito penale, abrogando così la norma Severino che prevede comunque l’incandidabilità. Si tratta di un intervento a mio parere indebito perché nello sconfinare dal diritto penale al campo del diritto pubblico svilisce un bene di rilevanza costituzionale – l’incandidabilità a tutela della credibilità e rispettabilità delle istituzioni – a merce di scambio in sede processuale per mere finalità deflattive dei carichi penali. Un altro colpo alla credibilità dello Stato".
Un colpo, secondo l'ex magistrato di Palermo, perfettamente in linea con il "disegno di deregulation dei reati dei colletti bianchi, abuso di ufficio, traffico di influenze, vari reati tributari, mediante la depenalizzazione e la limitazione in questa materia dei poteri di intercettazione dei pm, mediante la recente esclusione dal novero dei reati ostativi ai benefici penitenziari, in assenza di collaborazione, del reato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione".
Le conseguenze della legge Cartabia
Il superamento della legge Severino per chi patteggia non è l’unica conseguenza negativa della riforma Cartabia: infatti vi è ancora sul piatto la faccenda della procedibilità d'ufficio per tutti i reati per i quali sia contestata l’aggravante del metodo mafioso o della finalità del terrorismo.
"L’ex ministra - ha spettato il senatore - ha infatti declassato una lunga serie di reati come il sequestro di persona, le lesioni personali gravi, la violazione di domicilio, a reati perseguibili non più d’ufficio ma solo a querela. Una sorta di strisciante e occulta trasformazione del contrasto alle mafie da affare di Stato a questione personale delle vittime. Ma non è finita" - ha detto - "sino al dicembre del 2022 la legge precludeva per reati gravi, tra i quali i reati di mafia, la possibilità di patteggiare in appello la pena inflitta con la sentenza di primo grado, ottenendo una sua riduzione. La riforma Cartabia ha abolito ogni preclusione. Oggi un mafioso condannato per estorsione a 8 anni può concordare una riduzione a 6 rinunciando ad alcuni motivi di appello, pena che grazie al beneficio della liberazione anticipata si riduce ulteriormente a 4 anni e 6 mesi, che decorrono dall’arresto. Vedere rimessi in libertà, dopo così breve tempo, mafiosi che tornano a spadroneggiare nei quartieri, viene percepito come gravemente demotivante da commercianti e imprenditori che hanno trovato il coraggio di denunciare. Se non vogliamo correre il rischio di un crollo di fiducia da parte di tanti nello Stato, occorre ripristinare la preclusione al concordato in appello per reati di mafia e altri gravi reati".
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Fonte: ilfattoquotidiano.it
Foto © Imagoeconomica
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