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Il sit-in del collettivo davanti alla Corte di Cassazione in attesa della sentenza sul processo Trattativa

È un'antimafia nuova quella che si è vista oggi a Roma: davanti alla sede della Cassazione giornalisti e giovani attivisti del movimento culturale artistico internazionale Our Voice hanno raccontato le verità indicibili in merito al periodo stragista che ha insanguinato l'Italia nel biennio '92-'94.
Gli sguardi rivolti verso il Palazzaccio dove si è svolta l'ultima parte del processo trattativa Stato - Mafia (la sentenza è attesa per il 27 aprile); uno striscione mai visto in quella piazza; una voce che si scaglia contro quelle sale istituzionali da sempre distanti dalla disperazione che ha segnato la città di Palermo e non solo.
Il processo Trattativa, indipendentemente da cosa si deciderà il 27, rimarrà nella storia anche per gli attacchi, le delegittimazioni e le censure che hanno dovuto subire i rappresentanti della pubblica accusa: i pm Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Di Matteo, ha ricordato l'attivista Karim El Sadi, "è stato minacciato di morte da Salvatore Riina". Un processo di attentato che, come scrivono gli inquirenti, è ancora in corso.
Perché?
Perché colpevole di aver portato alla luce quella verità indicibile: lo Stato si era piegato al "ricatto e ai voleri di Cosa nostra. Chiediamo che vengano accertati anche le responsabilità dei vertici del Ros, quindi Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni" ha detto l'attivista.
"Noi abbiamo già la certezza al di là delle decisione della Cassazione che trattativa ci fu", ha detto.


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Mentre il paese cadeva sotto le bombe i carabinieri, si legge nella sentenza di Appello si mossero "nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra, che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi, e, nel sollecitare tale dialogo, furono mossi, piuttosto, da fini solidaristici (la salvaguardia dell'incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale - e fondamentale - dello Stato".
Ma se vi era un interesse di Stato è chiaro che i carabinieri non avrebbero potuto agire di loro semplice iniziativa o che comunque avrebbero ricevuto delle indicazioni o delle direttive da seguire. Da chi, non è dato sapere e la sentenza non lo spiega.
Si scrive direttamente che l'intento del Ros sarebbe stato quello di tessere "un'ibrida alleanza" con la cosiddetta "componente moderata e sempre più insofferente della linea dura imposta da Riina".
Ovvero quella silenziosa e più dedita agli affari capeggiata da Bernardo Provenzano.
Ma intanto molti valorosi caddero sotto i colpi di Cosa nostra: "Questo è il paese che ha visto cadere giornalisti, magistrati, uomini delle forze dell'ordine, preti e membri della società civile".
"Questo è il Paese dove un ex presidente del consiglio
(Silvio Berlusconi ndr) ha pagato la mafia come dicono le sentenze".
Noi qui e oggi "decidiamo di essere partigiani. Qui oggi prendiamo parte davanti a questo Palazzo".


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Alle sue parole si sono aggiunte anche quelle di Irene Nespeca, un'attivista del Our Voice: "Se oggi sono qui è perché ho a cuore il mio e il nostro diritto di non accontentarmi di fronte alle piccole 'spiegazioni' di fatti che hanno determinato la storia della nostra Repubblica e prima ancora del nostro Paese. In Italia, i giovani vengono tenuti all’oscuro di processi come quello che si terrà oggi in Corte di Cassazione, che vede imputate figure istituzionali del Ros dei Carabinieri che trattarono volutamente con Cosa nostra, per cosiddetti 'fini solidaristici di interesse nazionale'".
"Da giovane, non posso accettare che fatti importanti come questi, che dovrebbero tenere il Paese appeso a un filo, vengano nascosti, infangati, censurati e passati in secondo piano dai mezzi di stampa mainstream.
Da studentessa, non posso accettare che fatti come questi vengano celati dal silenzio e che nelle scuole non se ne parli. Non posso accettare che tutto questo non faccia rumore nelle aule, nei discorsi di docenti, nelle menti di ragazzi e ragazze che sono il futuro e non sanno nemmeno cosa voglia dire 'Antimafia
'".
"Noi giovani, cittadini e cittadine, studenti e studentesse non possiamo più rimanere impassibili di fronte a situazioni e personaggi che hanno condizionato e continuano a condizionare la vita politica, sociale, economica dell’Italia e le sorti di tutti coloro che vivono in questo Stato" ha continuato.


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"Non ci fermeremo finché non sarà fatta giustizia e finché l’Italia non avrà saldato il debito che ha con tutte le vittime che hanno perso la loro vita combattendo.
Ci preoccupa e ci indigna questo silenzio istituzionale, che spinge sempre di più per far cadere tutto nell’oblio; lo stesso silenzio che isola figure istituzionali che lottano ogni giorno, come Nino Di Matteo, a costo di rischiare la loro vita, contro le ingiustizie che viviamo ogni giorno e che ricevono in cambio minacce di morte e delegittimazioni.
Non possiamo abituarci a sentir parlare di Mafia, non possiamo arrenderci o rassegnarci di fronte all’evidente ed enorme ingiustizia che stiamo vivendo nell’essere tenuti all’oscuro di verità deviate da depistaggi e distruzione di prove, appartenenti al biennio stragista del ’92 e ’93, che comprendono le stragi di Via D’Amelio e di Capaci, le stragi di Roma, Firenze e Milano nelle quali morirono innocenti, tra cui giovani e bambini, alla quale è stata strappata la vita senza alcuno scrupolo.
Tutti devono indignarsi e scendere in piazza a chiedere con forza, a gran voce che vengano condannate anche le responsabilità istituzionali, oltre che a quelle di stampo mafioso".
(Prima pubblicazione: 14-04-2023)

Foto © ACFB

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