Parole immortali a un anno dalla scomparsa della grande fotografa palermitana
Dove sei, Letizia? Ti cerco nelle fotografie che hai lasciato, negli sguardi di chi hai reso immortale, nella bellezza degli esseri umani che tu cercavi disperatamente. Ma adesso è la tua assenza a diventare l’immagine di un silenzio. Che respiro forte entrando in punta di piedi a casa tua. E’ un film quello che vedo davanti a me. E questa volta sono solo uno spettatore che osserva una scena già vissuta. Sei seduta dietro al tavolo e io sono davanti a te con un piccolo registratore. Stai fumando l’ennesima sigaretta. Pippo è accucciato ai tuoi piedi. Quella nuvola di fumo avvolge tutto. Tempo e spazio perdono i riferimenti umani. Osservo me stesso, mi rivedo mentre tiro fuori un foglio con qualche appunto, consapevole che servirà a poco. Perchè le tue risposte travolgeranno qualsiasi ipotesi di scaletta. E va bene così. Siamo a ridosso del tuo compleanno, “i primi 80 anni” di Letizia Battaglia. Le parole del poeta statunitense Ezra Pound vengono sospinte in alto dal fumo di un’altra sigaretta che si sta spegnendo nel posacenere: “Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie. Quello che veramente ami non ti sarà strappato. Quello che veramente ami è la tua vera eredità. Il mondo a chi appartiene, a me, a loro o a nessuno?”.
Una giovane Letizia Battaglia © Santi Caleca
A chi appartiene, Letizia? A chi sa amare andando oltre se stesso? A chi combatte per un ideale di giustizia? O a chi in mezzo all’oscurità si ostina a cercare la bellezza? “Io la sogno per i miei nipoti - rispondi sicura -, per il ragazzo che è stato ucciso allo Zen. Io continuo a sognare la bellezza. Per me la bellezza è la giustizia. Non c’è bellezza senza giustizia”. La voce è stanca, ma mai vinta. “Sogno che le battaglie intraprese non siano del tutto perdute, che qualcosa verrà… che nasceranno fiori da questi semi che abbiamo buttato nella terra. Sogno di poter vedere un po’ di questa bellezza. Prima di andarmene mi piacerebbe vedere nascere le prime foglioline e siccome 80 anni sono pochi, forse vedrò nascere questi fiorellini, o forse sto vaneggiando perché ancora non è tempo…”. Chissà, forse in questi anni qualche fiorellino lo hai visto nascere, e qualche altro no. “E’ importantissimo che i ragazzi recepiscano l’importanza di vedere fiorire la bellezza. Io vorrei parlare sempre con i ragazzi per dire loro che si può, si può, si può… la vita è meravigliosa, questo mondo è un posto bello dove stare se non ci fossero le guerre, l’ingiustizia, se non ci fosse il sopruso, tutto sarebbe bellissimo. Sarebbe anche facile amministrare con giustizia una terra, senza confini, senza diversità di colori di pelle, senza divisioni tra belli e brutti, nani, storpi… siamo tutte creature di questa terra…”. Una terra senza confini, Letizia; quella che oggi appare sempre più come un’utopia. Ma forse, come diceva il grande scrittore Eduardo Galeano: “L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo serve, per continuare a camminare”. Nel frattempo, però, le divisioni, le guerre e gli sconvolgimenti climatici a causa dell’uomo continuano. E mentre nel mondo la fame avanza sempre di più, tanti governi – tra cui il nostro – continuano a spendere milioni di dollari per mandare armi a paesi in guerra, seguendo direttive d’oltreoceano a dir poco criminali, con il rischio tangibile di una terza guerra mondiale.
Letizia insieme al fotografo Josef Koudelka © Shobha
“Ho sempre amato che le cose fossero giuste, anche da piccola, ricordo che andavo a portare da mangiare a una donna che non aveva casa. Io ho amato l’umanità - aggiungi in un soffio - Amo molto gli animali, li considero meravigliosi, così come dovremmo essere noi. Amo moltissimo la terra da toccare, il mare dove immergersi. Siamo fortunati ad avere questo mondo che io amo… Io vivo a Palermo e qui c’è la mia piccola lotta, ma il termine ‘qui’ vuol dire anche Libia, o Siria. Vorrei realmente che ci sentissimo tutti fratelli, non me ne frega niente se tutto questo può sembrare retorico, io sento questo… sento l’ingiustizia che c’è… ed è tanta… non accetto la violenza, ma capisco cosa può portare una persona a diventare uno spacciatore o un killer quando si è circondati dal degrado più assoluto… alla base c’è tanta ingiustizia. Se ci fosse una società giusta nella quale tutti nascessimo uguali, per poi scegliere il proprio cammino, il mondo sarebbe migliore”. Sì, Letizia, una società più giusta, dove, come diceva Mauro Rostagno, valga la pena trovare un posto. Che non è stato facile da trovare anche per te. “Mio padre non capiva cosa fosse un essere umano donna. Mi trovavo all’interno di una società dove una donna non veniva considerata… ho attraversato tutto questo mentre ancora si doveva lottare… Questa lotta l’ho fatta prettamente da sola, senza percepire che fosse giusta, è stato molto complicato uscirne indenne…”.
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Foto © Archivio Letizia Battaglia
Soprattutto in una città come Palermo. Che Letizia ha amato e odiato all’ennesima potenza. “Detestavo Palermo quando non ero una donna libera, quando non avevo un lavoro, quando ero sposata con una persona che non mi rispettava perché non era in grado di rispettarmi, poi l’ho curato fino all’ultimo giorno della sua malattia, però mi ha fatto tanto male... Io volevo andarmene da Palermo perché era come una prigione dove non c’era possibilità di lotta… A un certo punto diventai fotografa e fotografando capii di più. Per amare devi capire… ed è allora che ho capito di più questa città. Ho capito gli errori che commettevamo, gli orrori che venivano perpetrati nei confronti di questa terra meravigliosa che è la Sicilia. Solo se capisci ami veramente. Ho cominciato ad amarla moltissimo tanto da diventarne schiava. Sono schiava di Palermo nel senso che non posso abbandonarla, non posso lasciarla, è come se sentissi di doverla proteggere… Ho cominciato ad amare Palermo quando ho potuto cominciare a combattere. Se non riesci ad essere utile, ad interagire con la città, sei impotente e se sei impotente non puoi amare”. E per la sua Palermo Letizia ha lottato con tutta se stessa: sono gli anni della “Primavera di Palermo”, è il 1986 e lei diventa assessore comunale alla Vivibilità nella giunta di Leoluca Orlando. “Mi sono sentita così forte, così piena di energia, ero così felice che la gente mi facesse domande e io potessi rispondere. Facevo levare le pietre da una via, la rendevo più bella, la lustravo, facevo togliere la spazzatura… per me questa era una cosa spettacolare, così come poter aiutare qualcuno che era senza casa. In quel periodo ero felice, mi alzavo prestissimo la mattina e andavo assieme agli operai da una parte all’altra della città. La gente lavorava felice con me, io sentivo che in questo modo era possibile costruire una società felice senza sfruttare nessuno, lavorando il giusto, lasciando così segni d’amore”.
Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa insieme a sua moglie Emanuela Setti Carraro © Archivio Letizia Battaglia
Per Letizia quel progetto di vita significava “non dare spazio alle mafie grandi e piccole, ognuno nel suo piccolo lottava per la bellezza, per la giustizia, perché è giusto tenere una città pulita… La prima cosa che ho fatto è stata quella di mettere le panchine davanti al carcere dell’Ucciardone per far sedere le donne che arrivavano cariche di pacchi per i propri congiunti, non volevo che stessero in piedi… poi feci fare un ufficio comunale all’interno dell’Ucciardone affinché i detenuti potessero incontrare gli assistenti sociali”.
Mafia: in una parola c’è tutto l’inferno che Letizia ha visto coi suoi occhi. “Ho fotografato gli orrori della mafia, ho tentato di onorare le donne che soffrivano, non ho mai scattato foto di scandali, nemmeno quando fotografavo gli arrestati volevo che venissero ripresi male, perché alla fine fotografare in un certo modo i mafiosi e i delinquenti è una cosa vile: io fotografo te che hai ammazzato e dimostro solo che sei un delinquente… ma così non ti ho aiutato! E’ come se questo mi avesse portato ad avere un senso di rimorso… E penso che noi abbiamo questo rimorso se la società è piena di mafia: vuol dire che non siamo stati in grado di dare altro e quindi siamo anche noi colpevoli e responsabili”. Rabbia e dolore attraversano questa donna. Che però è capace di sognare la Sicilia senza tutti i martiri della mafia. “L’ho sempre sognato… E’ per questo che tutti noi tentiamo di lottare… come sarebbe questa terra? Sicuramente sarebbe rispettata: non ci sarebbero lavori pubblici indegni, autostrade inutili che finiscono contro una montagna, non ci sarebbe l’obbrobrio di Pizzo Sella, non ci sarebbero le coste contaminate, sarebbe una terra bellissima… Abbiamo tutta la cultura che ci portiamo nei secoli, potremmo averne altrettanta per il futuro, ma in questi anni ne abbiamo prodotta pochissima. Questo nostro tempo è barbaro, penso che non si riesca ad avere progetti e non mi so spiegare il perché…”.
Letizia Battaglia con la sua foto scattata alla vedova Rosaria Costa Schifani
© Shobha
Sì Letizia, questo è un tempo barbaro, che ci ruba l’anima e ci lascia a terra feriti. Spesso la disillusione tenta di avere il sopravvento su di noi, soprattutto quando ci accorgiamo di essere caduti nella trappola del “divide et impera” teso da un sistema di potere. Che, attraverso ignobili restrizioni o imposizioni, ha favorito scontri e divisioni tra gli esseri umani, ma che per questo verrà giudicato dalla storia, prima ancora che dalla giustizia. Nel bel mezzo di questo delirio ci sono, però, le tue bambine, Letizia, quelle nelle quali ti sei rispecchiata. “Quando guardo le bambine che fotografo mi commuovono perché mi rivedo in loro, forse perché io fui spezzata a 10, 11 anni, alla loro età… Mi fa piangere pensare al futuro delle bambine, ma anche a quello dei bambini che oggi non hanno prospettive… tanti studiano, si laureano e poi? Eppure io penso che dobbiamo lottare affinché ci sia un futuro bello per queste creature, ma non so se noi siamo maturi, non lo so…”. Il dubbio che hai è anche mio, specie quando osservo la folle frenesia di una società iperconnessa dove non ci accorgiamo della solitudine che ci attanaglia, dentro e fuori di noi.
Letizia Battaglia insieme a Franco Zecchin © Shobha
“Io considero la perdita importante come la vittoria – affermi con sicurezza –. Anche perdere è importante, perdere, rialzarsi, andare avanti, è questo il nostro compito: cadere, soffrire e poi rialzarsi… un sorriso, una carezza, un pugno e poi ancora ricominciare. Se penso a quello che vive Nino Di Matteo provo tanta sofferenza, quello che fa lo sta facendo per noi… Penso anche al giudice argentino Nisman che è stato ammazzato, pure quello c’entra con noi, è tutto collegato...”. Sì, Letizia, è tutto collegato, e gli attacchi violenti e mirati a magistrati integerrimi come Nino Di Matteo sono lo specchio di un Paese che non vuole la verità sulle stragi di Stato. Basterebbe solo aprire gli occhi e prendere coscienza, senza smettere mai di amare e di lottare.
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“Lottare ha sempre un senso - insisti con forza -. Non bisogna fermarsi mai. Io credo, però, che non si debba lottare con animo ‘guerriero’, non mi interessa quello spirito, penso che la guerra sia diversa dalla lotta. Io non voglio ferire nessuno, né voglio scavalcare nessuno. La lotta è un’altra cosa: lotti per il pane, per la pace, per la bellezza, per il tuo onore, per difendere la tua fragilità. Io me la sento questa bellezza: a 80 anni non mi sono chiusa nel mio egoismo, non so da dove mi arrivi questa forza, ma nonostante i miei problemi fisici sento forte di rimanere a testa alta, senza piegarmi e senza accettare compromessi”. Resti un attimo in silenzio e poi aggiungi con un sospiro: “Io spero fortemente che si nasca per amore. Morire per amore, certo, ma anche morire con amore… con amore…”. Quello stesso amore, totalizzante, di tutti coloro che ti hanno amata, che un anno fa ti ha avvolto come un manto quando te ne sei andata.
L’intervista è finita, rivedo me stesso che mette via il registratore e si prepara per andarsene. Vorrei scuoterlo, obbligarlo a fermarsi ancora e vorrei dirgli di abbracciarti forte, senza un motivo: uno di quegli abbracci muti, infiniti. Ma il finale di quel film non può essere cambiato. Dietro a quella nuvola di fumo ci sei ancora tu, Letizia. Che sorridi sorniona e ci imponi con il tuo esempio di vita di andare avanti, sempre e comunque. Perché niente finisce quando vivi e quando ami davvero.
Foto di copertina © Shobha
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