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I collettivi uniti contro la mafia, il patriarcato e il razzismo. Davanti alla facoltà di Giurisprudenza la denuncia contro l'ipocrisia dell’ateneo

A Palermo continua ad affermarsi un’antimafia nuova, naïf, scevra da logiche correntizie, senza penombre e lontana da dinamiche commemorative di comodo. E’ un’antimafia coraggiosa, intraprendente, che abbraccia molte delle cause sociali che affliggono la Sicilia e l’intera penisola. Si chiama “antimafia intersezionale” e a condurla sono giovani studenti e studentesse dei collettivi della città. Questa mattina, nel cuore di Palermo, l’antimafia intersezionale è tornata a farsi sentire con un corteo coloratissimo e partecipato che da piazza Verdi è arrivato fino ai piedi della Cattedrale. “Lo Stato del silenzio”, lo hanno intitolato gli organizzatori: le associazioni “Attivamente”, “Our Voice” e i ragazzi del Coordinamento "Studenti Pmo”. “Tutt’oggi - dicono - sono troppe le zone d’ombra che avvolgono tanti dei fatti significativi della storia di questo Paese. L’80% dei familiari di vittime di mafia sono senza verità e giustizia”. Per questo sono scesi in piazza. L’ingiustizia è tanta e altrettanta è la voglia di questi studenti di farsi sentire. “E’ tanto il nostro bisogno di manifestare la volontà di una generazione spesso ritenuta incapace di organizzarsi e impegnarsi”, affermano. Le nuove generazioni vengono bollate come distratte e indifferenti al contesto in cui vivono, al Paese. Il corteo di oggi è la dimostrazione che non è così. Cori, striscioni, interventi al microfono, e poi tanta, tantissima musica di resistenza hanno rotto questo stereotipo infelice. Un centinaio di studenti del liceo psico-pedagogico Regina Margherita, il liceo Scientifico Benedetto Croce e il tecnico Mario Rutelli, hanno passeggiato per le strade del centro intonando gli stessi slogan che venivano intonati negli anni delle stragi di Palermo.





Quelli del post-stragi, dei “lenzuoli bianchi”. “Fuori la mafia dallo Stato”, gridano. “La mafia è una montagna di merda”. E ancora “Dell’Utri, Cuffaro, noi non li vogliamo”. Un durissimo attacco ai due politici, entrambi condannati per fatti di mafia (il primo per concorso esterno, il secondo per favoreggiamento), ed entrambi ritornati a influenzare la politica siciliana e nazionale una volta usciti dalle patrie galere. E’ anche grazie al loro appoggio se Roberto Lagalla ha stravinto, addirittura al primo turno, le elezioni di giugno 2022. Il sindaco ha ricevuto diversi “endorsement” dai due, ma solo a fine campagna elettorale, quando ormai non poteva far più finta di nulla, si è smarcato (timidamente per giunta). Il corteo di questa mattina non ha dimenticato, ed ecco voci di protesta e fischi contro il primo cittadino.
A quasi un anno dall’elezione Lagalla non ha ancora preso veramente le distanze da Cuffaro e Dell’Utri, E questo - dice Attivamente -, nella città di Chinnici, Cassarà, e Terranova ci fa indignare profondamente”.
Intanto, in via Maqueda, ai lati del serpentone turisti e negozianti hanno osservato sorpresi il passaggio dei ragazzi. Gli sguardi in alto rivolti verso le caratteristiche bandiere sventolate dalla folla. Bandiere mai viste a Palermo, realizzate da Attivamente e Our Voice, e raffiguranti i simboli della lotta transfemminista e quella antirazzista legate a slogan antimafia. Cause in apparenza distanti ma in realtà tremendamente connesse tra loro. “La mafia si è inserita nella vita di ognuno di noi”, dice Marta Napoli, studentessa membra del sindacato Regina Margherita. “Parlare di mafia nell’ottica giovanile intersezionale significa considerare la mafia come male perenne. Parlare di mafia significa parlare di corruzione, di patriarcato, di razzismo e di omofobia”.


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Basta silenzi di Stato sulle stragi
Insieme alle bandiere, a colorare il corteo c’era il maxi-striscione di apertura, sorretto dagli studenti e dalle studentesse. “Basta silenzi di Stato”, recita. Al microfono, Andrea La Torre, referente di Attivamente ha spiegato il perché dello striscione, che prende spunto dal titolo dell’iniziativa. “Silenzio di Stato. Silenzio mediatico. Perché tutto deve essere dimenticato. L’impegno, la determinazione, la voglia di sapere devono affievolirsi. Noi siamo qui per dire che continueremo a lottare e saremo sempre di più, ogni giorno di più”, ha affermato. A dimostrazione di questa resistenza continua è la scelta della data, 31 marzo. Una data qualunque, lontana dalle passerelle politiche a cui si assiste ogni 23 maggio o 19 luglio, anniversari delle stragi di Capaci e via d’Amelio. “Siamo stanchi dell’ipocrisia”, affermano. Lo spirito dell’antimafia intersezionale è la genuinità, quindi il ripudio di quella pseudo “antimafia” ormai corrosa da vecchi ingranaggi politico-istituzionali. Via l’opportunismo, l’omertà, la retorica delle facce di bronzo dell’antimafia di comodo. Questo è il messaggio che traspare dagli sguardi di questi ragazzi.





Siamo qua. Siamo in lotta. Perché il silenzio di Stato ci fa schifo. Perché vogliamo verità e giustizia per le tante vittime di mafia a cui la vita è stata strappata dai proiettili mafiosi e dalle bombe. Per i loro familiari che la attendono anche da decenni. Per tutta quella parte di Paese che non si arrende nel volerne”, ha aggiunto. Il corteo è stato organizzato a qualche settimana di distanza dall’anniversario delle stragi commesse da Cosa Nostra in Continente a Firenze, Roma e Milano. Bombe che rientravano nella strategia stragista di Cosa nostra, come leva sulla quale i corleonesi avevano fatto forza per ricattare lo Stato ed ottenerne - con successo - benefici.
Dalle bombe del 1993 quest’anno trascorreranno trent’anni. E ancora non sappiamo tutta la verità. “Non sappiamo chi furono i mandanti politici” di quell’azione terroristico-eversiva, denuncia La Torre, audente dell’istituto Rutelli. Come non sappiamo - ha detto ancora - la verità completa sulla trattativa Stato-mafia. “Fra il 1992 e il 1993 uomini delle istituzioni decisero di avviare una trattativa con Totò Riina. Decisero di ascoltare la mafia, elevarla a interlocutrice”, ha denunciato. “Lo Stato che non rinuncia al ‘puzzo del compromesso morale’ di cui parlava Borsellino. Lo stato che tratta, che viene mandato a processo ma che viene assolto. Assolti da un tribunale forse, ma non dalla storia”, ha detto ricordando la controversa sentenza d’appello del processo Trattativa di Palermo. “Perché quella trattativa portò la mafia a continuare a mettere bombe, a mietere vittime, uccidere bambini innocenti come le sorelline Nadia e Caterina Nencioni”.


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La voce che scuote i corridoi della facoltà
Da via Maqueda il corteo è proseguito per i Quattro Canti dove è stato dato spazio ad altri interventi e poi è ripreso in direzione piazza Bellini, davanti alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Qui Marta Capaccioni e Thierno Mbengue, entrambi membri di Our Voice ed entrambi studenti della facoltà, hanno preso il microfono, precisando di parlare a nome personale, per denunciare i taciti assensi e le ipocrisie sulla lotta alla mafia dell’Università di Palermo. Università dalla quale, hanno ricordato Mbengue e Capaccioni, sono usciti Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici e tanti altri.
Io sono studentessa di questa Facoltà e oggi parlerò a titolo personale e a nome del Movimento di cui faccio parte, Our Voice. Ma spero di farlo anche per tutti gli studenti e le studentesse che non hanno voce o che si sentono rappresentati nelle parole che dirò”, ha esordito.
Quasi un anno fa, il 23 maggio di anno scorso, avevamo organizzato un corteo che è partito proprio in questo punto, davanti alla porta principale della Facoltà di Giurisprudenza. Oggi è il 31 marzo, un giorno qualsiasi, non “simbolico” e come studenti e studentesse abbiamo scelto di fare tappa qui davanti per denunciare il silenzio, le censure, le commemorazioni vuote e false che vengono portate avanti anche all’interno di questo Dipartimento e che sono una vergogna di fronte ai nomi dei martiri che hanno studiato tra queste mura”. Marta Capaccioni ha quindi ricordato di professori ed ex professori di diritto che hanno dichiarato che la trattativa Stato-mafia, per cui sono morte decine di persone innocenti, sia stata solo uno “story telling multimediale fatto di talk show e film” o “che sia stata una invenzione di magistrati politicizzati”.
Con quale coraggio si può dire che questo processo, in cui per la prima volta è stato portato a processo lo Stato e per cui magistrati hanno subito minacce di morte e progetti di attentato, sia stato solo ‘tempo perso’ e che abbia provocato ‘danno d’immagine all’Arma dei Carabinieri’ (che di fatti trattarono con Cosa Nostra “ma a fini solidaristici” secondo la corte d’appello di Palermo, ndr)”.





Con quale coraggio - si è chiesta ancora la giovane rivolgendosi verso l’atrio della facoltà - si possono dire queste parole quando sono stati pezzi appartenenti al nostro Stato a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Quando sono stati pezzi di Stato, mentre c’erano le stragi, ad andare a cercare Totò Riina per trattare e scendere a patti con i vertici di Cosa Nostra”. La denuncia di Marta Capaccioni è stata accolta dagli applausi dei presenti. “I magistrati che hanno portato avanti il processo, come Nino Di Matteo, oggi come trent’anni fa, sono stati delegittimati, isolati e attaccati dall’interno delle istituzioni, prima di tutto dall’interno di queste mura”, ha ricordato. Di Matteo, infatti, come ha poi ricordato Thierno Mbengue poco dopo, era stato invitato qualche settimana fa da un’associazione universitaria per parlare di mafia. “Dopo questo evento, Di Matteo è stato oggetto di attacchi da quelli che nella facoltà si arrogano il diritto di gestire questi spazi che dovrebbero essere dedicati alla comunità studentesca e cittadina”, ha ricordato Thierno Mbengue. “Le università e le scuole devono rispondere prima di tutto alle richieste e alle esigenze di noi studenti e non a quelle di baroni, di potentati, di intellettuali né tantomeno di professori che si arrogano il diritto di gestire il potere in spazi che sono nostri. E di nessun altro”, ha detto poi Capaccioni rivolgendosi ad alcuni studenti della facoltà affacciatisi dallo scalone e andati via dopo poco.
Perché l’università è il luogo dove noi ci formiamo, è casa nostra e siamo noi che decidiamo quali idee far vivere qui dentro. Senza rispondere ai diktat di nessuno!”. Una denuncia, quella dei due manifestanti, che ha scosso i corridoi e le aule della facoltà dove erano in corso le lezioni. “A noi Di Matteo aveva lasciato un messaggio”, ha ricordato Thierno riprendendo l’episodio della conferenza. “Ci aveva lasciato un consiglio che ho deciso di fare mio: ‘Al muro di gomma del silenzio contrapponete il chiasso del dibattito’. Ed è per questo che oggi vorrei dire a questo dipartimento, dove porto avanti i miei studi, che non mi sento rappresentato perché come studente ho la pretesa che gli istituti che frequentiamo ci insegnino a poterci indignare rispetto a determinati fatti e a schierarci in difesa degli onesti e contro ogni ingiustizia”.


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Antimafia popolare e intersezionale
Il corteo, dopo la pausa a piazza Bellini, è ripartito su via Vittorio Emanuele, in direzione Piazza Indipendenza. Ad accompagnare i giovani la musica riprodotta dalle quattro casse installate su un carretto ad hoc, trainato da una bicicletta. “Cento Passi” dei Modena City Ramblers, “Pensa”, di Fabrizio Moro. Queste e tante altre, le canzoni riprodotte. Di nuovo ai Quattro Canti il corteo si è fermato nuovamente per dare spazio alla denuncia. Noemi La Spada, studentessa del Benedetto croce, attivista di Attivamente, ha preso il microfono ribadendo le denunce dei suoi compagni ma aggiungendo anche il contesto sociale, i disagi, in cui riversa la città di Palermo. Dall’emergenza abitativa alla disoccupazione giovanile. A Palermo, infatti, ci sono 2500 famiglie senza una casa. E sempre a Palermo il tasso di disoccupazione degli under 24 è calcolata al 26%, tra le percentuali più alte in Europa. “Peppino Impastato riteneva che per sconfiggere la mafia tutti necessitiamo di un'educazione alla bellezza”, ha ricordato Noemi La Spada. “La bellezza che molte persone non hanno mai conosciuto, molti esempi li troviamo nei quartieri più disagiati, abbandonati, nei quali il tasso di mortalità e criminalità organizzata è altissimo, dovuto a rifiuti, incendi, disastri ecologici, che portano tantissime persone a problemi cardiaci, respiratori e tumori. Siamo stanchi di essere trattati come dei burattini, siamo stanchi di vivere in quartieri nei quali allo stato fa comodo che ci siano disagi”, ha aggiunto la giovane riportando i temi di un’antimafia che deve essere popolare, di strada.





Siamo stanchi di uno Stato che dice di voler investire sui giovani e che poi ci lascia istruire in delle strutture che cadono a pezzi e in condizioni di puro disagio, abbiamo bisogno di uno stato che al posto di lasciare i ragazzi in mezzo alla strada, crei dei campi di gioco, che sensibilizzi i ragazzi su temi delicati e che riguardano la nostra società, di un governo presente per i giovani, che ci dà la possibilità di renderci cittadini pensanti, di renderci cittadini ragionevoli e non ragazzi abbandonati a loro stessi, in quartieri abbandonati dallo stato. Anche in questa città, molti ragazzi, a volte anche bambini diventano trafficanti di droga e come abbiamo assistito negli ultimi mesi, il crack sta uccidendo tantissime persone, giovani”, ha concluso. E a proposito di crack, a prendere il microfono dopo di lei, avviandosi il corteo verso la sua conclusione, è stato Lorenzo Capretta, counselor e membro di Our Voice che da due anni vive a Palermo e lavora come volontario nei quartieri del centro della città come Ballarò. Lorenzo assiste i tossicodipendenti, conduce progetti ludici per minori, di cui molti aventi genitori reclusi in carcere. “La mafia non è fatta solo da chi spaccia crack, eroina e droghe sintetiche. Ma è chi lo permette, chi ha presupposti per generare sofferenze e li alimenta. Mafiosi non sono solo coloro che danno due lire ai ‘picciotti’ per fare da palo, corriere o svolgere mansioni. Mafiosi sono anche coloro che non rispettano il 1° articolo della Costituzione. Mafiosi non sono solo gli uomini che con la loro violenza controllano interi quartieri ma anche quei politici che anno dopo anno disinvestono sull’istruzione, non creando i presupposti per far sì che i bambini e i giovani possano educarsi, scoprirsi e scoprire, sogni e qualità. La mafia è abbandonare la collettività in una povertà totalizzante”, ha denunciato il giovane volontario.


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La mafia - ha aggiunto - è non avere ancora i livelli minimi di assistenza sanitaria, permettere l’assenza di varie norme e leggi, non avere ancora comunità terapeutiche di doppia diagnosi per minori per riuscire a finire servizi funzionali a chi vive dinamiche legate alla tossicodipendenza. La mafia è permettere ai ragazzi e alle ragazze di trovare la morte come soluzione per gestire la sofferenza figlia della rabbia e della solitudine. Tutte le parti dello Stato che permettono tutto questo sono mafiose, sono assassine”, ha detto seguito da un lungo applauso. Arrivati all’ultima tappa del corteo, i manifestanti, nello specifico Marta Capaccioni e il redattore di ANTIMAFIADuemila Jamil El Sadi, hanno rivolto ringraziamenti ad alcuni dei parenti di vittime di mafia presenti questa mattina: Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, e Nino Morana, nipote del poliziotto Nino Agostino ucciso assieme alla moglie Ida Castelluccio nel 1989. “Da familiare di vittima di mafia affermo che il silenzio dello Stato uccide ogni giorno mio zio e mia zia”, ha affermato. “Il silenzio è molto più forte dei proiettili o delle autobombe, lo sa mio nonno Vincenzo che da 34 anni combatte contro il silenzio assordante presente sull’omicidio di suo figlio e mia nonna che è morta di dolore senza sapere la verità. Questo silenzio sta distruggendo anche me. Nel 2023 non possiamo più parlare di uno Stato del silenzio, di uno Stato che non prende in considerazione la voce di noi giovani”. Quindi il microfono è passato a Sonia Bongiovanni, direttrice di Our Voice. “La parola antimafia è stata utilizzata molto spesso da figure istituzionali che hanno sporcato il suo significato ai fini delle loro passerelle politiche. Non ci sentiamo rappresentati da questa classe dirigente dello Stato mafia oggi siamo qui per rappresentare un’altra antimafia. Un’antimafia che parta dal basso, quella degli studenti e delle studentesse. L’antimafia che sceglie di esistere soltanto alla condizione di essere unita a tutte le altre lotte. Sappiamo bene che la mafia rientra nella stessa rete di dominio del sistema capitalista, razzista, fascista, omobilesbotransfobico e patriarcale. L’antimafia antipatriarcale annienta il sistema di potere mafioso, è l’unica capace di non rimanere soffermata sulla superficie. Ce l’hanno insegnato Lea Garofalo, Franca Viola e Rita Atria. Donne che non si sono piegate al sistema mafioso e patriarcale. L’antimafia - ha concluso - sarà internazionale o non sarà. La rivoluzione parte da qui, dalla generazione queer, meticcia e dissidente”.





Foto © Pietro Calligaris

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