La moglie del fondatore di Wikileaks ospite a Montecitorio: “Mio marito in carcere per aver rivelato crimini di guerra”
“Quello di Julian è un caso politico, non giuridico, che definisce il nostro tempo. Le sue condizioni di vita peggiorano ogni giorno. Ormai si trova in un carcere di sicurezza da quasi 4 anni. È una punizione”. A parlare è Stella Moris Assange, moglie di Julian Assange, editore australiano nonché fondatore di Wikileaks, intervenuta lo scorso martedì 7 marzo al convegno “Il caso Assange e il diritto alla verità”, promosso a Montecitorio dall’europarlamentare M5s Sabrina Pignedoli, al quale hanno partecipato anche l’attivista Alessandro Di Battista; la vicedirettrice del Fatto Quotidiano, Maddalena Oliva; la deputata M5S Stefania Ascari; e il Presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli. La Moris ha parlato di persecuzione giudiziaria e politica, perché “quello che ha fatto Julian è stato soltanto svelare crimini commessi dagli Stati, mostrare le uccisioni di civili e ogni dettaglio di guerre illegali”. E come darle torto.
Da sinistra: Sabrina Pignedoli, Stella Moris, Alessandro Di Battista e Stefania Ascari
Assange, dopo anni di vita reclusa nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra perché perseguitato da un mandato di estradizione in Usa, da 4 anni si trova recluso nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. E la richiesta di “Zio Sam” è più che mai vicina ad esaudirsi. Assange ha contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan. Su di lui pendono 17 capi d’accusa, per un totale di 175 anni di prigione circa, per aver rivelato – tra le altre cose -, i crimini contro l’umanità commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq durante le cosiddette “guerre al terrore” “made in Usa”.
L’editore australiano si trova in prigione “dopo essersi battuto per difendere le regole e i principi, questo è un mondo alla rovescia – ha detto Stella Moris -. C’è stato un abuso del processo legale per fare di lui un caso e mandare un segnale a chi vorrebbe fare le stesse cose: ossia denunciare i crimini di guerra più terribili e l’impunità di chi li ha commessi”. “Julian aveva deciso di venire in Europa quando decise di pubblicare tutti quei documenti, perché qui era nata la democrazia. E contava di essere tutelato perché non aveva violato alcuna legge”, ha spiegato ai numerosi studenti universitari che hanno riempito la platea della “Sala dei gruppi” di Montecitorio. L’Europa, però, in particolare il Regno Unito, dal 2010 “facilita la detenzione arbitraria” di Assange e dal “2019 lo ha trasferito in un carcere di massima durezza”. Motivo per il quale, ora, l’appello della comunità internazionale e dell'opinione pubblica che solidarizza con il fondatore di Wikileaks è rivolto all’Unione Europea: “Il dovere dell’Europa – ha denunciato Stella Assange – è mobilitarsi in sua difesa, se c’è un posto in cui bisogna battersi per la difesa dei diritti, quel posto è qui. Questo caso è un attacco alla libertà di stampa”.
Un’opinione condivisa anche dall’attivista Alessandro Di Battista il quale ha sottolineato come “la questione Assange non riguarda più soltanto lui, perché gli anni persi nessuno glieli restituirà. La questione riguarda il futuro della libertà di stampa perché in futuro ai giornalisti che ricevono informazioni importanti su crimini e delitti potrà essere impedito loro di pubblicarli. È il classico schema con cui si colpisce un uomo per educarne cento”. “Se Assange dovesse morire – ha aggiunto -, tra i responsabili ci sarebbero anche i giornalisti che oggi stanno zitti per salvaguardare il proprio conto in banca, le proprie carriere, i propri spazi mediatici, trasformandosi in biechi sostenitori delle verità comode”.
È stata poi la volta di Maddalena Oliva (in foto), vicedirettrice de Il Fatto Quotidiano, la quale ha evidenziato come “la questione Assange riguarda anche il nostro quotidiano. Siamo in un clima di costante anestetizzazione. Veniamo da due inchieste, quella sul Covid e quella della strage di migranti di Cutro, che hanno ricordato a chi fa il nostro mestiere che porsi una domanda in più è fondamentale. Veniamo da un’epoca in cui c'è un campo di battaglia che non riguarda solo gli eserciti ma anche l’informazione, il diritto di noi cittadini di essere informati”. La libera informazione “può salvare delle vite e, attraverso la consapevolezza, permette all’opinione pubblica di incidere sui processi di liberazione che hanno la possibilità di salvare vite. Se non ci fossero state le pubblicazioni di Wikileaks molte morti non si sarebbero potute evitare”. E quando si parla di Wikileaks, ha ricordato la vicedirettrice, “si è di fronte all’esempio supremo di alto giornalismo: un editore che ha possibilità di pubblicare documenti ufficiali di governi, che viene ingiustamente perseguitato sulla base di una legge, l’Espionage Act”.
Da sinistra: la giornalista Stefania Maurizi e l'attrice Laura Morante
Insomma, un evento unico quello che ha avuto luogo presso la “Sala dei gruppi” di Montecitorio. “Il caso Assange - ha evidenziato l’europarlamentare M5S Sabrina Pignedoli - è entrato nel Parlamento Ue soltanto dopo la nomina al premio Sacharov, ma come nel caso Aleksej Naval’nyj, quando venne la figlia, anche questa volta a parlare è venuta Stella Moris. Ma noi non siamo la Russia, non vogliamo essere come la Russia e dobbiamo essere differenti. L‘Ue deve chiedere la liberazione di Assange agli Stati Uniti”. Infine, il presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli, ha annunciato che a Julian Assange verrà consegnata una tessera d’onore da giornalista. “Siamo qui per difendere non solo la causa di un uomo incarcerato ingiustamente ma anche per difendere un principio che è quello della libertà dell’informazione”.
Da sinistra: Sabrina Pignedoli e Carlo Bartoli insieme a Stella Moris
Foto © Imagoeconomica
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