Tribunale di sorveglianza dichiara estinta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici
Totò Cuffaro, ex governatore siciliano condannato nel 2010 a sette anni di reclusione per favoreggiamento a Cosa nostra (già scontati), potrà candidarsi nel prossimo futuro.
Il Tribunale di Sorveglianza di Palermo ha emesso un’ordinanza che fa cadere l’interdizione dai pubblici uffici oltre ad altre pene accessorie.
Già lo scorso settembre c'era stata la riabilitazione per il Commissario regionale della nuova Dc valutando positivamente la condotta tenuta durante il periodo di detenzione (dal comportamento all'impegno a favore dei carcerati, la laurea e così via) ed anche i comportamenti successivi con attività sociali svolte tanto in Italia quanto in Burundi.
Tuttavia il Tribunale di Sorveglianza aveva mantenuto l’interdizione dai pubblici uffici, rimandando a una nuova valutazione al termine di un periodo di sette anni, in base a quanto previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti.
Una norma che secondo l'ex Governatore, assistito dal legale Marcello Montalbano, non doveva essere applicata.
Oggi l’ordinanza del Tribunale ha messo il punto sulla questione dichiarando "l’estinzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua da pubblici uffici inflitta con la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 23 gennaio 2010”.
La norma, che non era ancora vigente al momento della sentenza e dei fatti di reato contestati a Cuffaro, “non avrebbe dovuto essere applicata nella presente fattispecie, in ossequio ai principi costituzionali di legalità e irretroattività della normativa più sfavorevole al reo”.
Ovviamente in molti stanno brindando, parlando di vittoria dopo anni e anni di “sofferenze”.
Agli smemorati vanno ricordate alcune cose: Totò "vasa vasa" ha semplicemente scontato la propria pena, ma non ha mai veramente ammesso i propri errori.
Altrimenti non avrebbe presentato un ricorso alla Cedu (la Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr) per esaminare il suo caso e non coltiverebbe la speranza di un "processo di revisione" rispetto la propria condanna.
Nelle motivazioni della sentenza di Condanna della Cassazione veniva messo nero su bianco che tra Cuffaro e “vari esponenti” di Cosa Nostra ci furono ripetuti contatti.
I supremi giudici sottolineavano che, "in maniera del tutto corretta, argomentata e riscontrata, i giudici della corte di appello di Palermo – con la sentenza emessa il 23 gennaio 2010, che ha innalzato da cinque a sette anni la condanna con l’accusa di mafia – avevano provato l’esistenza dell’accordo “politico mafioso” tra il capomandamento di Brancaccio Guttadauro Giuseppe e l’uomo politico Cuffaro Salvatore e la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti".
Inoltre la Cassazione aveva anche ribadito che Guttadauro aveva stretto l’accordo con il Cuffaro, mediato dal portavoce Miceli, “proponendo all’uomo politico, che accetta (e inserisce nella lista) la candidatura alle elezioni regionali del Miceli, mobilitando l’intera famiglia mafiosa per le consultazioni, al fine di ottenere il sostegno per un ridimensionamento del regime carcerario del 41 bis, per il controllo dei flussi della spesa pubblica e per il condizionamento delle attività economiche sul territorio, tutti interessi dell’associazione mafiosa che Miceli si era impegnato a realizzare”.
Fatti che non possono essere cancellati e che dovrebbero far riflettere prima di chiedere a gran voce una futura ricandidatura.
Palermo. Salvatore Cuffaro in uno scatto d'archivio © Emanuele Lo Cascio
Povera Italia
Ma forse non possiamo stupirci.
E' anche questa l'Italia. Un Paese dalle lacrime facili e dalla memoria corta. Un Paese in cui nulla fa più scandalo. Un Paese che accetta di avere seduti tra gli scranni del Parlamento pregiudicati, inquisiti o indagati sotto accusa di essere mandanti delle stragi del 1993.
Un Paese dell'ipocrisia che tradisce l'articolo 11 della nostra Costituzione ("L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”) prendendo parte al grande gioco della vendita delle armi, accettando una Guerra che rischia di arrivare al "punto di non ritorno".
Un Paese che nei mesi dell'arresto dell'ex superlatitante Matteo Messina Denaro mette in discussione le leggi partorite dopo le stragi per il contrasto contro le mafie grazie a coloro che sostengono che "l'emergenza mafia è finita dopo l'arresto dell'ultimo capomafia stragista".
No, l'Italia non è un Paese normale e la Sicilia è il laboratorio in cui spesso la politica effettua le proprie alchimie per poi proiettarsi sul piano Nazionale.
Sono vive le immagini aberranti del ritorno di Marcello Dell'Utri (condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa) e Totò Cuffaro nello scenario della politica.
Palermo, 22 maggio 2022. L'arrivo di Roberto Lagalla al Foro Italico alla commemorazione per la strage di Capaci © Paolo Bassani
Due condannati per mafia che si sono spesi in primissima persona per appoggiare la candidatura a sindaco per il centrodestra dell'ex magnifico rettore Roberto Lagalla.
E anche alle Regionali lo scandalo si è ripetuto con l'appoggio e l'elezione, come Presidente della Regione, di Renato Schifani, ancora oggi imputato a Caltanissetta per violazione di segreto nell'ambito del processo Montante e in passato indagato e archiviato per concorso esterno.
Oggi Cuffaro ha affermato che il suo tempo per le candidature è finito, ma resta comunque un punto di riferimento nel partito.
La prova che la politica non ha mai il coraggio di cambiare.
Quel coraggio che chiedeva Paolo Borsellino spiegando quell’equivoco di fondo che da sempre accompagna la politica italiana quando si nasconde dietro lo "schermo" della sentenza prima di prendere provvedimenti "facendo pulizia al proprio interno di tutti coloro che sono raggiunti, ovunque, da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reato”.
Era il 1989 e nel discorso si parlava di quei politici che erano in "odor di mafia" che non venivano poi condannati. Qui le sentenze di condanna ci sono. Ma la politica, come sempre, continua a voltarsi dall'altra parte.
Foto di copertina © Deb Photo
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