Il collaboratore di giustizia sentito nuovamente al Processo ‘Ndrangheta stragista
“Mio padre e Teodoro Crea mi dissero che la ‘Ndrangheta ebbe un ruolo nel rapimento di Aldo Moro”. “E’ il rapimento di un personaggio di spessore e ricordo anche che davano una responsabilità agli americani. Mio padre e Teodoro Crea dicevano che anche gli americani avevano avuto un ruolo determinante. In quel momento c’era il crollo della Dc, che non piaceva più alla politica. E questi erano i ragionamenti che si facevano”. Sono queste le parole del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, figlio di Domenico Bruzzese (esponente di primo piano della cosca Crea di Rizziconi) sentito in videocollegamento nel processo d’appello ‘Ndrangheta stragista. L’audizione del pentito si è resa nuovamente necessaria dopo che quest’ultimo aveva inviato a dicembre una missiva dove approfondiva ulteriormente alcuni degli argomenti di cui aveva parlato in aula lo scorso dicembre.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo (che rappresenta l’accusa anche in appello), ha spiegato che “il giorno in cui sono stato sentito nel processo non ero al cento per cento della condizione fisica. In quelle condizioni non sono riuscito a contestualizzare bene i ricordi. Sono stato male, sono intervenuti anche i medici. Ho un certificato ed anche la scorta può testimoniarlo”.
Oggi ha affermato che dopo il rapimento Moro “qualcuno della politica, ma non ricordo il soggetto, chiedeva un intervento della ‘Ndrangheta affinché si adoperasse alla sua liberazione”.
I due mazzi di carte
Non solo. Bruzzese ha affermato che a questi fini fu contattata la famiglia Piromalli, in particolare Peppe Piromalli. “Lui aveva un ruolo di vertice come suo fratello Mommo. Era amico di tale Carmelo Cortese che, per come mi dissero mio padre e Teodoro Crea, era un amico di Gelli. Per come ragionavano loro Peppe Piromalli era uno che giocava con due mazzi di carte”. Il motivo? Semplice: “Da un lato voleva apparire come se si interessava alla liberazione di Moro, mentre lui stesso aveva avuto un ruolo specifico nel rapimento. E per questo lo criticavano”. A detta di Bruzzese, dunque, “c’era un gioco a scala bilaterale con due fasce politiche che si muovevano: una che si era adoperata per il rapimento e l’altra per la liberazione”.
Il pubblico ministero, Giuseppe Lombardo
Alla contestazione sul perché, nel 2004, non riferì che la ‘Ndrangheta ha avuto un ruolo nel rapimento ha risposto di aver sentito “l’enorme mole di responsabilità sull’argomento” che era accompagnato da una serie di fatti che avevano riguardato lui e la sua famiglia che veniva colpita (“Nei riguardi della famiglia Bruzzese è stata attuata una sorta di vendetta trasversale e quindi mi trattenni nel riferire il nome di Berlusconi. Poi lo riferì, ma se non è stato verbalizzato io non lo so”).
Sempre in merito al rapimento Moro, Bruzzese ha confermato, così come aveva spiegato nella missiva, che il fermo avvenuto nel 1976/1977 a Roma, presso il ristorante Il Fungo dell’Eur, dei soggetti Giuseppe Piromalli, Paolo De Stefano, Pasquale Condello, Mammoliti Saverio e l’esponente della banda della Magliana, era “un preliminare atto al rapimento Moro” e che all’interno delle famiglie di ‘Ndrangheta c’era una certa preoccupazione quando proprio Saverio Mammoliti aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia e si “temeva che potesse essere coinvolto anche Nino Mammoliti, che aveva collegamenti con i servizi e la politica”.
L’incontro con Craxi e Berlusconi
Quindi ha chiarito definitivamente che la datazione del famoso incontro che si sarebbe tenuto in un agrumeto tra i boss, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, è successiva alla morte di Moro e prima delle elezioni politiche del 1979. “Era una domenica”, ha detto oggi il collaboratore. Una certezza acquisita dal ricordo che l’uomo che lo avrebbe accompagnato lavorava come autista di camion. “Lui poteva solo quel giorno della settimana, gli altri giorni lavorava”. Bruzzese ancora una volta ha preferito non fare il nome di questo soggetto “per garantire l’incolumità”. Rispetto alla natura di quell’incontro ha ribadito che “l’oggetto centrale era il centro siderurgico, che poi non si è realizzato; il Porto di Gioia Tauro, con la spartizione delle ditte che dovevano lavorare; il discorso delle antenne delle tv di Berlusconi da installare nel territorio reggino, cosentino e siciliano; la creazione di un nuovo soggetto politico individuato al tempo, dopo il fatto di Moro, nel partito socialista di Craxi. Quell’incontro, da come mi raccontarono, era per avere un sostegno politico affinché vi fosse l’appoggio della mafia e della ‘Ndrangheta”.
Il tema della "doppia affiliazione"
Altro argomento approfondito è stato quello della doppia affiliazione che alcuni esponenti di spicco della ‘Ndrangheta avrebbero avuto anche con Cosa nostra. I nomi coinvolti sono di peso: da Paolo De Stefano a Peppe e Mommo Piromalli, fino a Nino Pesce, Pino Mammoliti, Luigi Mancuso, Pino Piromalli, Nino Molè, Nino Gangemi e qualcuno degli Alvaro. “Questi soggetti - ha raccontato Bruzzese - avevano un ruolo di vertice apicale anche nella mafia. Mommo Piromalli, che al tempo era al vertice di tutta la ‘Ndrangheta reggina, era tenuto molto in considerazione dai palermitani Bontate e Badalamenti. Per questo motivo venivano interpellati quando c’erano da prendere decisioni nodali. Anche nel sostegno della guerra ai corleonesi? Assolutamente sì. E queste cose si facevano non alla presenza di tutti”.
Rispondendo ad una precisa domanda del pg Lombardo sul motivo per cui non nomina soggetti legati alla ’Ndrangheta della Jonica Bruzzese ha detto di non conoscere i nomi specifici, ma che “la ‘Ndrangheta è un corpo unitario” e che “la Jonica è legata alla Tirrenica con i Nirta i Commiso, gli Strangio ed i Morabito che sono vicini ai Piromalli”. Nel corso dell’esame Bruzzese ha poi accennato all’esistenza di un “terzo livello” con l’esigenza di creare una “cosa nuova”. “Queste cose me le disse Cosimo Alvaro che ambiva alla carica di Mammasantissima. Lui era già secondo medaglione, ma voleva arrivare più in alto”.
Le armi a disposizione e il figlio di Filippone
Altro tema di rilievo è quello della disponibilità di armi che la ‘Ndrangheta poteva disporre al tempo.
Armi da guerra, come kalashnikov, pistole e grossi quantitativi di tritolo che erano soprattutto in possesso delle cosche Mancuso e Piromalli. “Il materiale esplodente veniva acquisito ed era nella disponibilità di tutte le famiglie” ha ribadito oggi Bruzzese. “Ricordo che Guerino Avignone disse che questi ne possedevano abbastanza da tirare giù mezza montagna” aveva scritto nella lettera il pentito.
Le armi, secondo Bruzzese, venivano fornite anche tramite il figlio di Rocco Santo Filippone (imputato nel processo con Graviano): “Tonino Crea mi specificò che lui vendeva armi. E più cosche hanno acquistato da lui”.
Le armi, a detta di Bruzzese, giungevano in Calabria grazie ad alcuni collegamenti con la Sacra Corona Unita e dai Balcani.
Graviano parla, ma non troppo
Intanto in aula è tornato a far sentire la propria voce alla corte il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano con delle dichiarazioni spontanee. Non lo ha fatto per commentare la cattura del suo “gemello diverso”, Matteo Messina Denaro (arrestato il 16 gennaio scorso), ma per rappresentare alla corte il problema che si trova ad avere in carcere sull’utilizzo del computer anche per visionare gli atti processuali. “Non ho avuto la possibilità di leggere nulla. I file non sono tutti caricati e non so se funzionano. Non ho avuto nemmeno le trascrizioni. Non ho letto nulla, né dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, né la sentenza di primo grado” si è lamentato il capomafia. Come se non sapesse i motivi che lo hanno portato ad essere condannato all’ergastolo assieme al boss di Melicucco Rocco Santo Filippone.
Alle scorse udienze la Corte aveva disposto che gli fosse consegnato un pc per poter ascoltare gli audio delle intercettazioni che lo avevano riguardato nel 2016, quando era detenuto nel carcere di Ascoli Piceno durante l’ora d’aria con il boss Umberto Adinolfi.
“Prendiamo atto di questa nuova richiesta - ha detto il pm Lombardo - risolveremo anche questo. Non credo che a Graviano siano impediti i diritti garantiti a tutti gli altri imputati in tutta Italia. La richiesta era di accedere ai contenuti vocali, e ad oggi le problematiche tecniche erano solo sugli audio e il pc a sua disposizione è assolutamente idoneo a questo scopo”. Per quanto concerne il controesame del commissario capo della Dia di Reggio Calabria, Michelangelo Di Stefano, lo stesso non si è recò più necessario vista l’acquisizione della nota informativa depositata nelle precedenti udienze. Il processo è stato rinviato al 20 febbraio quando la Corte dovrà decidere sulle ultime richieste di acquisizione presentate dalla Procura generale. Il 23 ed il 27 febbraio, poi, avrà luogo la requisitoria del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
Foto © ACFB
Dossier Processo 'Ndrangheta stragista
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