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Il magistrato a Fanpage.it risponde a vari temi su mafia e giustizia. “Intercettazioni? Devono restare uno strumento fondamentale”

Se c’è una trattativa dietro l’arresto di Messina Denaro? Bisognerà attendere gli esiti delle indagini. Sarà il lavoro della Procura a fare luce su tutti i dubbi, esattamente come è successo in passato sui casi della mancata perquisizione del covo di Totò Riina subito dopo il suo arresto o della latitanza di Bernardo Provenzano. In un primo momento si è pensato fossero il frutto di fantasie”. A dirlo è il magistrato Nino Di Matteo, già consigliere togato del Csm e pm del processo di primo grado sulla Trattativa Stato-mafia. In una larga intervista a Fanpage.it, Di Matteo ha parlato della cattura del superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, del regime di carcere duro, delle stragi di mafia e del sistema delle intercettazioni. Tutti temi di cui le cronache parlano in maniera assidua da quel 16 gennaio, giorno dell’arresto del boss. “Una data che resterà importante”, ha detto Di Matteo. Ma che non deve far dimenticare quella che è stata la trentennale latitanza del boss. Sul punto, Di Matteo ha ricordato il precedente del boss stragista Bernardo Provenzano (deceduto nel 2016).
La sentenza sulla Trattativa ha dimostrato che la latitanza di Provenzano è stata protetta anche da alcuni esponenti delle forze dell'ordine: in quel periodo storico si è ritenuto più utile lasciare Provenzano libero che portarlo in carcere. Perché Provenzano rappresentava una garanzia contro il prevalere dell'ala stragista di Cosa Nostra. Il passato ci insegna a essere più cauti nel dare giudizi affrettati. L'unica cosa che la magistratura deve fare ora è cercare di approfondire tutto. Anche le evidenti anomalie della latitanza di Matteo Messina Denaro”. Di Matteo ha quindi ricordato la caratura criminale dell’ex “primula rossa”. “Matteo Messina Denaro è stato un esponente nevralgico della strategia di Cosa Nostra sia nel periodo stragista sia in quello successivo: il boss ha individuato i bersagli e i luoghi da colpire durante le stragi del '93. Potrebbe dunque rivelare come mai dopo il fallito attentato all'Olimpico a Roma nel gennaio del '94, che allora non era stato scoperto dalle forze dell'ordine e quindi poteva essere ripetuto nelle domeniche successive, non ci furono altri tentativi”. E ancora. “Matteo Messina Denaro era stato incaricato nella primavera del '92 di pedinare il giudice Giovanni Falcone a Roma. Il piano iniziale era quello di ucciderlo a colpi di pistola nella Capitale. Sarebbe stato molto più facile, invece Messina Denaro fu richiamato da Riina a Palermo. Lui potrebbe sapere il perché di questo cambiamento improvviso di piano”.
Secondo il magistrato, se il boss collaborasse in maniera completa “sarebbe molto importante nel contrasto alle mafie”. In quel caso “ci sono leggi chiare” riguardo alla possibilità che esca dal carcere. “Bisogna tenere presente che la legge 45 del 2001 ha alzato paletti in fatto di concessioni per i collaboratori di giustizia a uscire dal carcere. Eventuali premi sono possibili solo molti anni dopo l'inizio della collaborazione e sono difficili per chi è condannato all'ergastolo”.
E sulla possibilità che questo arresto potrebbe avere delle conseguenze sul fronte ergastolo ostativo e 41bis, Di Matteo ha risposto: “Nella vita di un mafioso la detenzione temporanea è quasi considerata una parentesi normale. Non incide sul prestigio del detenuto all'interno di Cosa Nostra, anzi a volte lo rafforza. Quello che i mafiosi non accettano è l'ergastolo, soprattutto quando viene applicato anche il 41 bis.
I vertici di Cosa Nostra hanno sempre agito affinché venisse eliminato l'ergastolo e il 41 bis
”, ha spiegato. “Per conseguire questi obiettivi sono state adottate strategie diverse. Vedremo quello che succederà. La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 2019 e quella della Corte Costituzionale del 2021 hanno aperto dei varchi per l'eliminazione dell'ergastolo ostativo. Il decreto del nuovo governo invece va a mio avviso nella direzione giusta: cerca di arginare le conseguenze di queste sentenze. Le speranze però dei vertici della mafia sono ancora attuali”.
Se esiste ancora un rapporto tra Stato e mafia? Cosa Nostra rispetto a tutte le altre organizzazioni criminali mondiali ha avuto sempre una peculiarità: è nel dna della mafia cercare di avere un rapporto con lo Stato”, ha affermato. “Non è un caso che Cosa Nostra sia l'unica organizzazione criminale che nel tempo ha ucciso esponenti delle forze dell'ordine, magistrati, politici, sacerdoti e giornalisti. L'unica che ha avuto la capacità di infiltrarsi nella politica anche a livello nazionale, tentando di convivere con il potere ufficiale e di esercitare un potere parallelo a quello istituzionale. Non credo che il dna di Cosa Nostra sia cambiato, mi auguro che sia cambiato l'atteggiamento delle istituzioni nei confronti della mafia”. Quindi alla domanda su cosa manca per sconfiggere definitivamente la mafia, Di Matteo ha risposto: “Penso che si continueranno a vincere molte battaglie, ma la guerra sarà completamente vinta se si realizzano tre condizioni. La prima: mantenere la legislazione speciale che è stata adottata dopo le stragi. La seconda: la guerra sarà vinta quando la politica si renderà conto che la mafia minaccia la democrazia, quindi la lotta alla criminalità organizzata dovrebbe essere ai primi posti dell'agenda di qualsiasi governo, qualsiasi colore sia. La terza: è necessario un cambiamento culturale”.
Il magistrato ha poi concluso l’intervista parlando del sistema intercettazioni che il ministro della Giustizia Carlo Nordio vorrebbe ridimensionare.
Le intercettazioni sono e devono restare uno strumento fondamentale, non solo per il contrasto alle mafie ma anche per il contrasto alla criminalità comune e alla criminalità dei cosiddetti colletti bianchi”, ha affermato.
Non è vero che in Italia il numero delle intercettazioni è superiore a quello di altri Paesi”, ha aggiunto. “Intanto in Italia le intercettazioni vengono autorizzate da un giudice. Chi dice che sono troppe dimentica che in altri sistemi, come quello inglese o statunitense, i servizi di sicurezza possono invece intercettare chi vogliono e quando vogliono senza alcuna autorizzazione del giudice. Si dovrebbe ricordare quanta ricchezza illecita è stata sequestrata grazie alle intercettazioni, quanti omicidi sono stati evitati.
Oggi, sulla base anche di quanto sostiene il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sento parlare di ‘distinzione tra intercettazioni utilizzate per contrastare i reati di mafia e quelle per i reati comuni’. E nel secondo caso ‘le intercettazioni sarebbero da evitare’. Per me non ci dovrebbe essere nessuna distinzione
”, ha affermato Di Matteo. “Perché gravi crimini della criminalità organizzata sono stati scoperti grazie alle intercettazioni su casi di reati cosiddetti comuni. Durante le indagini per esempio su casi di bancarotta fraudolenta o rapine sono stati appresi elementi importanti nel contrasto alle mafie. Distinguere ed eliminare parte di queste intercettazioni è rischioso”.

Foto © Imagoeconomica

Dossier Arresto Matteo Messina Denaro

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