Nella puntata andata in onda su Rai3 la latitanza di Matteo Messina Denaro, le coperture e le mancate catture
In questi giorni stanno facendo molto discutere le parole di Salvatore Baiardo, gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni Novanta gestì la latitanza dei fratelli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano.
Ai microfoni di 'Non è l'Arena' aveva enunciato l'arresto di Matteo Messina Denaro: "L'unica speranza per Giuseppe Graviano, sinceramente me lo auguro anche io per loro perché sono giovani, che venga abrogato questo ergastolo ostativo". "C'è anche un nuovo governo e chi lo sa che non arrivi un regalino. E chissà che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso? E così arrestando lui esca qualcuno che c'ha l'ergastolo ostativo senza che ci sia clamore...”.
Le parole di Baiardo erano la previsione di uno scambio?
A rispondere alla domanda di Report, durante la trasmissione 'Lo Stato del latitante' andata in onda lunedì sera, è stato il magistrato Nino Di Matteo: “Attorno all'ergastolo ostativo si è giocato, e forse si gioca ancora, una partita importante, non per Giuseppe e Filippo Graviano, ma per l'organizzazione Cosa Nostra. Se facciamo questa premessa le dichiarazioni di Baiardo diventano ancora più interessanti da indagare e da approfondire, ricordando una cosa, che nel 92-94 quella questione dell'ergastolo fu una delle questioni principali della trattativa portata avanti a suon di bombe. Anche questo lo dicono le sentenze definitive, proprio dai Graviano. A distanza di trent'anni se effettivamente i Graviano avessero auspicato o autorizzato quelle dichiarazioni di Baiardo ci sarebbe da chiedersi qual è il loro scopo”.
Il gelataio di Omegna, "un manutengolo dei fratelli Graviano" come lo ha definito Francesco Messina, Direttore Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, aveva fatto riferimento anche ad una trattativa "come è stata fatta nel '93".
"Oggi una sentenza, che non è più quella di condanna degli alti ufficiali del Ros, ma è quella di assoluzione degli stessi imputati da parte della corte d'Assise d'Appello, afferma che una trattativa ci fu e afferma per scendere più nel concreto, che la latitanza di Provenzano fu protetta in un periodo storico particolare anche da quegli alti ufficiali del Ros”, ha sottolineato il magistrato, ricordando che "per tanti anni noi siamo stati pubblici ministeri di Palermo accusati di avere costruito teoremi e complotti, di avere inventato storie inesistenti".
"Io sono fiducioso - ha continuato - che in ogni caso oggi con l'esperienza di ieri lo Stato non accetterebbe nessun tipo di trattativa. Però non sono certo che da parte delle menti raffinate della mafia non ci sia la volontà di continuarla. In questo senso le dichiarazioni di Baiardo possono essere interpretate o come una attualizzazione e prosecuzione della vecchia trattativa o come una volontà da parte di Cosa Nostra di riprendere un tipo di dialogo con lo Stato”.
Le indagini e la cattura del latitante
Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande capo mafia di Cosa Nostra, condannato per le stragi del 1992 e del 1993 e per una serie infinita di delitti, è stato catturato nel cuore di Palermo, lontano dalla sua Castelvetrano, nella clinica dove si curava. Dopo il suo arresto è stata aperta la caccia ad uno dei suoi covi, individuato poi in una casa a Campobello di Mazara, un paese che, secondo il sindaco Giuseppe Castiglione, "è pieno da trent'anni di telecamere e di cimici".
Un particolare, questo, che non ha impedito a Messina Denaro di nascondersi agli investigatori.
"Abbiamo disseminato di cimici tutta la sua parentela. Tutta la rete dei suoi favoreggiatori. Però su di lui non c'era mai niente. C'era una assoluta accortezza nel non lasciare traccia. Un vero Diabolik" ha detto l'ex procuratore generale di Palermo e ora senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato.
"Era capace di travestirsi. Utilizzava ogni escamotage pur di rimanere assolutamente fuori da tutto. Era veramente un imprendibile" ha aggiunto Teresa Principato, procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia di Palermo dal 2003-2017.
"Come mai in provincia di Trapani sono passati i vertici di Cosa Nostra e non sono mai stati catturati? - ha domandato Massimo Russo, magistrato della direzione distrettuale antimafia di Palermo dal 1994 al 2007 - Riina aveva una casa a Mazara. Lo stesso dicasi per Matteo Messina Denaro, per Bagarella per Brusca, che era a Castellammare. Perché? Probabilmente la rete di protezione lo garantiva".
Dello stesso avviso è stato anche Fabio Bottino, Comandante provinciale Carabinieri di Trapani che ha lavorato alla ricerca di Messina Denaro dal 2008: "Può anche aver goduto di protezioni anche di un certo livello" ha detto. Eppure più di una volta gli inquirenti si sono avvicinati alla sua cattura negli anni passati, "ma le indagini sono state sabotate da chi aveva tradito la divisa che indossava" ha sottolineato Russo.
Nel corso della puntata è stato messo il focus anche sul caso di Leo Sutera, boss agrigentino di Sambuca che undici anni fa avrebbe potuto portare direttamente a Matteo Messina Denaro. Il capo mafia avrebbe dovuto incontrare di persona la ‘primula rossa’ di Castelvetrano: "Abbiamo tutti pensato: 'ci siamo'. - ha detto Teresa Principato - Ed è a quel punto che succede l'incompressibile, perché il procuratore del tempo mi chiama, e comincia ad esprimermi dei dubbi che fino a quel momento non aveva mai espresso: 'Ma tu sei sicura che le intercettazioni che ti portano quelle del Ros siano vere?'".
Pochi giorni dopo, nonostante l'opposizione di Principato e di altri magistrati, l'allora procuratore capo di Palermo Francesco Messineo aveva disposto l'arresto di Leo Sutera nell'ambito di un'altra indagine minore che aveva al centro episodi di estorsione. Così il contatto più prossimo con Messina Denaro era stato fatto uscire di scena.
"Quindi ci toglie e ci stoppa l'indagine - ha continuato l'ex procuratore aggiunto - Per me e per tutti gli altri che ci lavoravano è stato come essere trafitti con un coltello al cuore".
E sulla domanda se le indagini fossero state sabotate, Principato ha risposto di non credere a "letture alternative. Uno che ti stoppa così le indagini su Messina Denaro, ti viene qualche sospetto".
Ai microfoni di Report l'ex procuratore capo di Palermo Francesco Messineo ha respinto tale ricostruzione dicendo di non configurarsi "nella veste del sabotatore" e che "i sabotatori dovrebbero essere indicati nella polizia di stato e certamente mi rifiuto di prefigurare perfino questo tipo di ipotesi".
Il medico di Matteo Messina Denaro
Un nome emerso dalle indagini è quello di Alfonso Tumbarello, 70 anni, il medico che aveva in cura Andrea Bonafede, alias Messina Denaro. Tumbarello è di Campobello di Mazara, nonché appartiene alla loggia 'Valle di Cusa - Giovanni di Gangi' di Campobello di Mazara, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia (dal quale è stato subito “sospeso a tempo indeterminato”). Per decenni è stato medico di base in paese, sino a dicembre scorso, quando è andato in pensione. Ed è stato anche medico del vero Andrea Bonafede fino a qualche mese fa, prescrivendogli ricette mediche a nome dell'assistito.
Le sue vicende si erano intrecciate con quelle di Antonio Vaccarino, l'ex sindaco di Castelvetrano che per conto del Sisde di Mario Mori, aveva tentato di prendere contatti diretti con Matteo Messina Denaro agli inizi degli anni 2000.
"Appena ho sentito il nome del medico ho fatto un balzo sulla sedia perché Tumbarello Alfonso non è un personaggio da poco" ha detto Principato. "Vaccarino ottiene un appuntamento con Salvatore Messina Denaro tramite Alfonso Tumbarello che era l'unico medico condotto di Campobello di Mazara" ha aggiunto.
La latitanza di Messina Denaro e il territorio di Trapani
Certamente l'ex latitante ha avuto atteggiamenti insoliti, per un capo mafia di quella portata, a partire dalle sedute di cura in una clinica così affollata come quella della Maddalena, il possedimento di due telefonini, i messaggi scambiati con le pazienti alle quali aveva dato il proprio numero di telefono o il selfie fatto con un infermiere della clinica, ora finito nei guai. Tanti atteggiamenti che avrebbero potuto facilmente compromettere la sua copertura. Ipotesi amare che però non devono togliere nulla all’enorme successo investigativo, come ha voluto sottolineare l'ex magistrato Scarpinato: "Conosco l'assoluta trasparenza e capacità dei colleghi che hanno fatto le indagini quindi escludo radicalmente che ci possa essere stato qualcosa di ambiguo a questo livello. Devo presupporre che a un livello superiore, rispetto a coloro che hanno fatto le indagini, sia stato detto a Matteo Messina Denaro che era venuto il tempo in cui lui doveva cessare di essere latitante e che quindi probabilmente ha deciso di farsi prendere".
Messina Denaro si è formato nel territorio di Trapani che è una realtà territoriale sui generis in Sicilia: "Trapani è stata la patria della massomafia - ha detto Scarpinato - Cioè della compenetrazione organica tra la parte peggiore della massoneria, quella piduista, e la mafia. La loggia Scontrino era un'articolazione della loggia Scontrino a Trapani, Gelli veniva lì ed erano iscritti il fior fiore della borghesia mafiosa trapanese. E non dimentichiamoci che Trapani era la cellula di una articolazione di Gladio, Scorpio, la cui attività è sempre stata misteriosa e che aveva a disposizione delle piste di atterraggio dove atterravano degli aerei militari e anche delle postazioni dove potevano atterrare aerei che sfuggivano ai controlli e queste attività dei servizi non c’è modo di farle in un territorio come quello di Trapani controllato palmo a palmo dalla mafia se non hai un rapporto di complicità con la mafia".
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