L’analisi del consigliere togato al Csm sull’arresto di Messina Denaro e sul futuro di Cosa nostra
“Sarei molto prudente sul fatto che si sia chiusa la stagione delle stragi. Le mafie cambiano la loro strategia a seconda degli uomini e delle contingenze esterne anche di natura politica. E mi sembra azzardato escludere un attacco frontale alle istituzioni. Affermazioni troppo nette possono anche inconsapevolmente indurre tutti ad abbassare pericolosamente la guardia”. A dirlo è il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo che, dialogando con la giornalista Alessandra Ziniti (La Repubblica), ha commentato la cattura di Matteo Messina Denaro e la reazione della politica e della società civile. Ora “la partita decisiva tra Stato e mafia si giocherà attorno all’ergastolo ostativo”, ha sottolineato Di Matteo, ormai prossimo a lasciare Palazzo dei Marescialli per ritornare alla Direzione nazionale antimafia. “Non solo i Graviano, ma direi centinaia di mafiosi, un’intera generazione tra i 50 e i 65 anni, coltiva ancora la speranza di potere uscire dal carcere - ha detto -. Sono gli arrestati nel periodo immediatamente successivo alle stragi quando le indagini hanno potuto contare sulla grande spinta delle collaborazioni e importantissimi processi hanno portato a centinaia di ergastoli. Moltissimi di loro hanno trascorso in cella più o meno 30 anni e dunque potrebbero godere di alcuni benefici. Sono certo che questi irriducibili non si rassegnano all’idea di morire in carcere”. In tal senso, il decreto varato dal Governo Meloni “va nella direzione giusta, alzando paletti importanti, ma lascia aperti alcuni varchi” e, quindi, spazi di manovra. Di Matteo non ha nascosto di intravedere dei rischi e potenziali “contromosse e reazioni” che potrebbero essere “di segno opposto”: “O quella tragica della ripresa dell’attacco frontale allo Stato o quella, che naturalmente tutti ci auguriamo, di una ripresa quantitativa e qualitativa delle collaborazioni”. D’altra parte, ha sottolineato il consigliere togato “basta ripercorrere alcuni capisaldi della storia più o meno recente di Cosa nostra per avere la controprova di quanto, nella vita di un mafioso, la detenzione è un tempo previsto, direi normale, che non incide sull’autorevolezza e non spezza i vincoli con l’organizzazione”.
Alla Ziniti, Di Matteo ha poi ricordato le parole del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi quando nel 1993 disse che Salvatore Riina soleva ripetere: “Noi 8-10 anni di carcere per associazione, pure legati alla branda, ce li possiamo fare, ma mi sto giocando i denti per evitare gli ergastoli”. “A dimostrazione di come, anche in quel preciso momento, pur non aspettandosi che la Corte di Cassazione potesse annullare le condanne (del Maxiprocesso, ndr), i boss si giocavano tutto sul disconoscimento del cosiddetto teorema Buscetta, quello che poi di fatto ha portato agli ergastoli per tutti i componenti della Cupola mafiosa perchè ritenuti i responsabili di tutti i delitti commessi”, ha detto Di Matteo. E uno degli obiettivi politici di Cosa nostra continua ad essere l’abolizione dell’ergastolo. “Anche la stagione delle bombe del '92-'94, la vera strategia della tensione della quale anche la mafia fu protagonista, aveva come obiettivo l’abolizione dell’ergastolo e del 41-bis - ha evidenziato il magistrato palermitano -. E negli anni successivi, con benefici e sconti di pena per i dissociati, la mafia ha continuato a coltivare la speranza dell’abolizione dell’ergastolo. Cito una conversazione intercettata in carcere nel 2016 quando Giuseppe Graviano dice al suo compagno di cella: ‘Non intendo collaborare con la giustizia anche perché sull’ergastolo bisogna aspettare buone notizie dall’Europa’”. Risposte che, come ha sottolineato Alessandra Ziniti, in qualche modo sono arrivate. “Infatti, tra il 2019 e il 2021, prima la Corte europea dei diritti dell’uomo e poi la nostra Corte costituzionale hanno aperto il varco a benefici anche per gli ergastolani. Proprio per questo dico che è attorno all’ergastolo ostativo che si giocherà la prossima partita tra Stato e mafia”, ha detto il magistrato. Di Matteo ha poi concluso sottolineando come “Cosa nostra non ha mai smesso quella che è una sua peculiarità: cioè quella di cercare di condizionare l’attività legislativa e politica, non credo abbia mai dismesso questa velleità”. E lo Stato in passato “ha dato quantomeno la sensazione di avere accettato il piano dell’interlocuzione. Diciamo che oggi sarebbe molto importante evitare anche solo di dare l’impressione di essere disponibili a trattare quello che è e deve rimanere esclusivo del potere legislativo e politico”. Ecco perché non può escludersi l’ipotesi di una nuova trattativa Stato-mafia in corso.
(Prima pubblicazione: 24 gennaio 2023)
Foto © Deb Photo
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