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La relazione a prima firma della onorevole Stefania Ascari

Dopo più di quarant'anni non si conosce ancora l'identità di tutti coloro che hanno sparato in via Fani. Di certo non sono stati solo quei quattro brigatisti vestiti da avieri, Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli.
La relazione della commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, a prima firma della onorevole Stefania Ascari, ipotizza che vi erano altri attori: "Identità imbarazzanti, non dicibili e tali da mutare in parte il segno e la matrice dell’intera operazione del 16 marzo". "Si può legittimamente ritenere - si legge - che nell’organizzazione di un’azione che comportava capacità strategiche elevate e una notevole preparazione militare di cui i brigatisti, per loro stessa ammissione, non disponevano, sia stato chiesto ed ottenuto l’apporto, con qualche contropartita, di uno o più soggetti che potevano assicurare la propria esperienza, tanto nell’uso delle armi da fuoco in condizioni difficili, quanto nella gestione dei sequestri di persona".
Nello specifico la commissione "si riferisce non solo alle possibili interferenze di ambienti istituzionali italiani e stranieri nella fase preparatoria ed operativa dell’operazione eseguita il 16 marzo 1978 e poi nella fase della gestione del sequestro e delle trattative per la liberazione di Aldo Moro, ma soprattutto alla possibile presenza di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata sul luogo dell’eccidio di via Fani".
"La compartecipazione di quest’ultimi - si legge - sia nella azione iniziale in Via Fani sia nella collaborazione nello scoprire il luogo ove sequestrato l’onorevole Moro per poter poi favorirne la liberazione, avrebbe potuto apportare loro molteplici giovamenti, quali vantaggi, ricompense e contro-partite in termini, ad esempio, di trattamenti processuali e penitenziari di favore".
Tuttavia le attività di verifica della commissione "è rimasta allo stato embrionale per via della cesura nei lavori di Commissione cagionata dallo scioglimento delle Camere".
"Ringrazio il Giudice Guido Salvini per il contributo fondamentale per la stesura della relazione" ha comunicato Stefania Ascari. "Mi auguro che ciò che è stato illustrato possa illuminare alcuni dei punti meritevoli di approfondimento ed essere di utilità per le indagini ancora aperte presso la Procura e la Procura Generale di Roma".


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© Imagoeconomica


La figura di Giustino De Vuono
Nella relazione si è dato spazio alla figura di Giustino De Vuono, "nato a Scigliano in Calabria nel 1940, arruolatosi giovanissimo nella Legione straniera francese tra il 1958 e il 1963, legato alla criminalità organizzata ("ma non ad una specifica cosca calabrese") e con un vasto curriculum di reati comuni ma anche responsabile del rapimento dell’ingegner Carlo Saronio, maturato nell’ambito dell’Autonomia operaia. De Vuono è stato indicato, sin dalle prime ore successive all’avvenuto sequestro, come implicato nell’operazione del rapimento dell’Onorevole Moro, in veste di elemento di appoggio alle Brigate Rosse. In seguito, De Vuono è stato considerato anche come soggetto eventualmente coinvolto nella tragica conclusione della vicenda".
Nella relazione vengono elencate diverse circostanze che rafforzano "l’ipotesi che Giustino De Vuono, per la sua eccellente abilità come tiratore, le sue capacità nell’eseguire un sequestro di persona e anche i precedenti rapporti con l’area di Autonomia Operaia, potesse essere la persona adatta a dare appoggio al gruppo che doveva operare in via Fani". Secondo i commissari se si "fosse verificato il contributo di De Vuono, potrebbe ipotizzarsi un saldo tramite tra la criminalità organizzata e la criminalità politica".
Tuttavia, si legge, non vi è alcuna "evidenza certa della presenza di Giustino De Vuono in via Fani", vale "però citare una somiglianza tra questi e l’identikit allegato al verbale di sommarie informazioni testimoniali di Lina De Andreis reso al Nucleo Investigativo Carabinieri di Roma in data 24 marzo 1978, che ritrae l’uomo che in via Fani l’aveva minacciata con lo sguardo".

La 'rosa' al cuore di Moro
"Tuttavia - si legge sempre nella relazione - è anche di comune conoscenza nel suo paese di origine (appunto Scigliano) che De Vuono era in grado di esplodere colpi con le armi da fuoco riuscendo a centrare il bersaglio con una rosa di fuoco a raggiera, cosa che frequentemente faceva esercitandosi in paese o in campagna sparando contro i tronchi degli alberi o contro altri bersagli. Egli lasciava così una sorta di firma inconfondibile che deve aver alimentato, peraltro, questa sua fama leggendaria".
"Tali circostanze richiamano immediatamente quanto emerso dall’autopsia del corpo di Aldo Moro che aveva evidenziato come numerosi colpi, all’emitorace sinistro, lo avessero raggiunto, intorno al cuore, lasciando tale organo praticante indenne".
(Prima pubblicazione: 21 Gennaio 2023)

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