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Il Fatto Quotidiano lancia petizione per chiedere dimissioni del ministro della Giustizia

''Sembra che le intercettazioni siano un capriccio dei pm che giocano a spiare le persone. Veniamo trattati come un'associazione a delinquere''. A dirlo è il procuratore capo di Trapani Gabriele Paci, durante un’intervista pubblicata su La Stampa a cura di Giuseppe Salvaggiuolo, in risposta alle recenti affermazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Parole, quelle del Guardasigilli, che hanno suscitato molte perplessità e dinnanzi alle quali Il Fatto Quotidiano ha lanciato una petizione (che ANTIMAFIADuemila condivide) per chiedere al capo dello Stato e al presidente del Consiglio di portare alle dimissioni il ministro perché “ha mentito più volte alle Camere, ha polemizzato con i pm che hanno arrestato Messina Denaro e ha minacciato riforme incostituzionali”.
Tornando alle parole del procuratore Gabriele Paci, è bene ricordare chi sia e quale sia il suo spessore all’interno della magistratura. Già procuratore aggiunto a Caltanissetta e prima ancora sostituto procuratore presso la procura di Trapani, Paci ha una lunga carriera in magistratura. Da sostituto procuratore a Trapani si era occupato del processo "Omega" sulla mafia trapanese e sulle faide di Alcamo e Partanna volute proprio dall’allora superlatitante Matteo Messina Denaro e dai fedeli a Totò Riina. Paci ha inoltre prestato servizio da sostituto procuratore della Dda di Palermo e dal 2002 al 2009 alla procura di Perugia. Poi il rientro in Sicilia, alla Dda di Caltanissetta, in cui successivamente è stato nominato procuratore aggiunto. Sono state molte le inchieste e processi svolti in questi anni: il blitz contro i boss Rinzivillo, sulla ex magistrata Silvana Saguto, già presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, e sull'ex "paladino della legalità"' Antonello Montante, allora capo di Confindustria siciliana che, scalando il mondo dell'antimafia, aveva creato un network del malaffare. Paci, tra le altre cose, ha inoltre presieduto il processo “Borsellino quater” e istruito il “Pizzolungo Quater”, che si è concluso con la condanna a 30 anni del capo mafia palermitano Vincenzo Galatolo. Infine, Gabriele Paci ha coordinato - assieme al procuratore Amedeo Bertone, l’aggiunto Lia Sava e il sostituto Stefano Luciani - le indagini per l’attentato ai danni del magistrato Nino Di Matteo dietro il quale vi era proprio Matteo Messina Denaro. Un soggetto di alto profilo all’interno della magistratura che dialogando con Giuseppe Salvaggiulo disamina la figura della primula rossa di Cosa nostra non si stupendosi della rete di complicità che vi orbita attorno. ''Questa è Trapani. Una roccaforte, se la definizione non risultasse ormai perfino patetica. Questo era un paradiso fiscale per i corleonesi. Banche, finanziarie e prestanome come in Lussemburgo. Riina passava le estati tra Mazara e Castelvetrano, investiva in terreni e immobili. Si appoggiò ai trapanesi per vincere la guerra di mafia contro i palermitani, incoronando il fedelissimo padre di Messina Denaro, don Ciccio, come capo provinciale''. Quanto all'oggi ''l'immagine della città è cambiata, il sostrato sociale e criminale no''. Tornando sulle intercettazioni, sottolinea il procuratore di Trapani, ''sono imprescindibili per corruzione e reati economici''. Il ministro denuncia abusi. ''Quali? Quanti? Si è violata la legge? Ha gli strumenti per accertarlo e, nel caso, intervenire''. Quanto alla scarsa sensibilità sulla privacy per Paci ''è una questione di preparazione, di cultura. Ma attenzione a non buttare il bimbo con l'acqua sporca''. Senza intercettazioni non si possono fare le indagini? ''Per reati come la corruzione, le possibilità sono nulle. Se la politica vuole elevare la privacy a valore assoluto, a scapito di ogni esigenza di sicurezza collettiva, lo dica. La privacy è più importante della corruzione? Ne prenderemo atto. Ma sia chiaro che significa chiudere gli occhi di fronte a una radicata realtà criminale''. In questi anni “abbiamo non solo neutralizzato la cupola stragista, ma chiuso le scuole di formazione dei nuovi quadri. Impedendo che un nuovo Messina Denaro crescesse ‘sulle mie ginocchia’, come diceva Riina. Per farlo, abbiamo tagliato l'erba ogni giorno, con la legislazione antimafia. Ora per qualcuno il tagliaerba non serve più”.

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