È pubblica.
Dopo ritardi e tentativi di manomissione è stata pubblicata la relazione della commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura sulla morte del giovane urologo siciliano Attilio Manca.
Una relazione che fa paura e che potrebbe aprire la strada a ulteriori indagini sulla latitanza di Bernardo Provenzano.
Quella latitanza che la sentenza di Appello del processo trattativa stato - mafia dice essere stata favorita in modo 'soft'.
Tutto avvenne non perché ci fossero collusioni o "patti" (promesse e benefici) da onorare ma perché i carabinieri del Ros ritenevano che la leadership di Provenzano "avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di pulsioni stragiste o di un ritorno alla linea dura di contrapposizione violenta allo Stato".
L'intento era semplice: “Si voleva ‘proteggere’ Provenzano, ossia favorirne la latitanza in modo soft, e cioè limitandosi ad avocare a sé vari filoni d’indagine che potevano portarne alla cattura, ma avendo cura al contempo di non portare fino in fondo le attività investigative quando si fosse troppo vicini all’obbiettivo’’.
Una scelta scandalosa se si tiene conto di ciò che è avvenuto nel 1993 dove le vite umane furono tutt'altro che salvate, o ancora che Cosa Nostra, sotto il regime di Provenzano ha continuato (così come continua ancora oggi) a fare affari, a chiedere il pizzo, a intimidire, minacciare e uccidere.
Nel corso del tempo, tolta l’ultima commissione antimafia, non si è mai voluta approfondire la tesi, supportata da elementi di rilievo, per cui Attilio sarebbe stato ucciso perché avrebbe visitato Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata (prima o dopo il suo intervento in Francia) e soprattutto perché sarebbe stato un testimone scomodo della rete di protezione attorno al boss eretta da una parte dello Stato.
La testimonianza di Attilio Manca sarebbe stata preziosissima in ogni sede giudiziaria, qualora fosse stato chiamato a deporre su ciò che aveva visto ed osservato, mentre visitava l'allora latitante e capo di Cosa Nostra.
Gli investigatori della prima ora avevano puntato immediatamente sulla tesi del suicidio, concentrandosi nel documentare i rapporti tra Attilio Manca e una donna romana con precedenti per droga, tale
Monica Mileti che, nel pomeriggio del 10 febbraio 2004, aveva effettivamente incontrato Manca a Roma.
Secondo la loro tesi la donna aveva ceduto l'eroina che ha ucciso Attilio, ma dopo la condanna in primo grado Monica Mileti è stata assolta "perché il fatto non sussiste" e nelle motivazioni dei giudici si parla di "indizi fragili e equivoci senza elementi concreti".
Un processo assurdo se si pensa che proprio la famiglia Manca non fu ammessa dal giudice come parte civile.
Al di là di questo aspetto ad esser ancor più scandalose sono le prove non considerate, le omissioni, i depistaggi, gli spunti investigativi messi da parte in maniera quantomeno superficiale.
Ciò che dice la relazione è indubbio: non è stato un suicidio, ma un omicidio "frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra".
"Non ci sono più alibi per nessuno" disse il legale della famiglia Manca, Fabio Repici. Ora la parola passa alla procura di Roma diretta dal procuratore Francesco Lo Voi.
Per leggere la relazione: parlamento.it
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- Luca Grossi