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Il procuratore Capo di Palermo: “Indagheremo per capire chi gli ha consentito quel tenore di vita agiato e lavoreremo per ricostruire l’intera latitanza”

La mafia ha sempre avuto rapporti strettissimi con una parte della società che, per semplificare, abbiamo definito borghesia mafiosa. Parlo del mondo delle professioni, dell’imprenditoria, della politica”. A dirlo è Maurizio De Lucia, capo della procura di Palermo che ha coordinato, insieme al procuratore Aggiunto Paolo Guido, le indagini che lunedì hanno portato alla cattura, dopo trent’anni, del boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.
In conferenza stampa, il magistrato aveva chiaramente fatto intendere che le “attenzioni” investigative saranno rivolte ora a illuminare la fitta rete dei fiancheggiatori dell’ex “primula rossa” e, in particolare, le collusioni della cosiddetta borghesia mafiosa. Oggi, al Corriere della Sera, il procuratore spiega di essersi riferito “a una circostanza che viene fuori dalle nostre indagini, ma anche da ricerche e studi storici e sociologici”. “E’ innegabile che Cosa nostra abbia prosperato, si sia consolidata e diffusa così nel profondo nella nostra terra, anche grazie a quella zona grigia, quella terra di mezzo che a volte ha chiuso gli occhi, fingendo di non vedere. E altre ha avuto invece un ruolo di co-protagonista nella storia criminale del Paese. Non dico nulla di nuovo. Parlo di dati consolidati, acquisiti fin dai tempi del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone”.
Secondo De Lucia, per “una latitanza così lunga sono state utili certamente le connivenze di determinati ambiti sociali. Ovviamente Messina Denaro ha goduto di un appoggio molto ampio, non solo di certa borghesia”. Senza scendere in dettagli oggetto di indagine, il procuratore ha affermato che “quello dei favoreggiatori è un capitolo ancora tutto da scrivere”. Diversi gli interrogativi da chiarire: “Come è possibile che uno dei più pericolosi ricercati italiani si sia fatto operare e per mesi si sia sottoposto a visite in una delle cliniche più note della città, senza che, fino al nostro intervento, nessuno si sia accorto di nulla? Qualcuno sapeva e lo ha coperto? Vogliamo una risposta a queste domande. La vogliono i cittadini”.
Tornando al connubio mafia-borghesia, De Lucia ha affermato che “siamo davanti a un rapporto simbiotico, utile per entrambi i partner direi. La borghesia ne ha tratto vantaggio in termini di protezione e anche economici. Cosa nostra è riuscita così a entrare nei salotti buoni dove si discute di affari, finanziamenti, appalti, dove si decidono le politiche pubbliche. E vi è entrata dalla porta principale, parlando con i suoi interlocutori da pari a pari”. Ma i legami delle cosche arrivano anche nel mondo della sanità dove è destinato “oltre la metà del bilancio regionale”. Questo, ha spiegato De Lucia, “dice bene perché l’attenzione di Cosa nostra, da sempre, sia rivolta a quel settore e perché la mafia abbia cercato di stringere relazioni con chi in quel settore ha un ruolo”.
Del resto le principali indagini che hanno riguardato le infiltrazioni dei clan nella sanità e il connubio criminale stretto tra la mafia e professionisti del settore sono state condotte proprio dall’attuale procuratore capo.
Ciò che alcune indagini portate avanti da questa procura hanno evidenziato conferma quanto dicevo. Faccio due esempi, uno peraltro in qualche modo attuale visto il personaggio mafioso coinvolto. Nel procedimento denominato Ghiaccio emerse una figura di primaria importanza in Cosa nostra palermitana: un medico al comando di un mandamento. Alludo a Giuseppe Guttadauro, che con Messina Denaro ha legami familiari. E ancora nell’indagine sulle cosiddette talpe alla direzione distrettuale antimafia di Palermo, che svelò una rete di servitori dello Stato infedeli al servizio della mafia, venne fuori la figura di Michele Aiello. Parliamo di un grossissimo imprenditore della sanità privata che è stato condannato per associazione mafiosa in un processo che ha svelato i rapporti tra coppole e lupare e la politica siciliana”.
Un classico esempio di borghesia mafiosa, che per De Lucia rappresenta “quel mondo amorale al quale appartengono alcuni esponenti delle professioni, della politica e dell’imprenditoria allenati da generazioni a risolvere i problemi attraverso la mediazione di una mafia sempre disponibile”.
L’obiettivo della procura ora è riuscire a ravvolgere il bandolo della matassa per capire chi e come sia riuscito a garantire questa fuga lunghissima al boss trapanese.
Indagheremo per capire chi gli ha consentito il tenore di vita agiato che ha condotto e lavoreremo per ricostruite l’intera sua latitanza, non limitandoci all’ultimo periodo, per comprendere come abbia governato Cosa nostra”, ha concluso.

Foto © Deb Photo

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