Il consigliere togato al Csm ospite di CartaBianca su Rai 3
“È stata una giornata importante per la quale dobbiamo ringraziare i Carabinieri e i magistrati della procura di Palermo. Non condivido però certi toni trionfalistici che sono stati adottati da alcuni commentatori. Innanzitutto, perché Matteo Messina Denaro è stato latitante trent’anni. Inoltre, perché è stato catturato a Palermo in una clinica frequentata giornalmente da centinaia di persone e oggi abbiamo appreso che, almeno nell’ultimo anno, ha abitato praticamente a casa sua: Campobello Di Mazara che dista 5km da Castelvetrano”. Ha esordito così il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo intervenuto ieri sera a CartaBianca su Rai3, assieme a Pif e al giornalista Lirio Abbate. “Questo deve farci riflettere perché dimostra come, anche nell’ultimo periodo, Matteo Messina Denaro ha evidentemente goduto di protezioni alte e diffuse - ha aggiunto il magistrato in risposta alle domande di Bianca Berlinguer -. Altrimenti, con uno spiegamento di forze, di uomini, di carabinieri, di poliziotti, di intercettazioni telefoniche e ambientali nel territorio, sarebbe stato impossibile per lui restare latitante. Matteo Messina Denaro è stato trent’anni latitante e come in tutte le latitanze troppo lunghe, com’è stato per Riina e ancor di più per Provenzano (43 anni di latitanza, ndr), non mi stupirei se venissero fuori nel tempo protezioni di alto livello. Così com’è avvenuto ed è stato accertato in ultimo per Bernardo Provenzano”. Successivamente, Di Matteo ha fatto riferimento ad un passaggio della sentenza di Appello del procedimento sulla Trattativa Stato-mafia in cui è scritto che “la latitanza di Bernardo Provenzano, in un certo periodo, fu favorita da uomini dello Stato perché in quel momento ‘indicibili ragioni di interesse nazionale’ consigliavano di lasciare libero Provenzano per favorirne la leadership essendo ritenuto il ‘moderato’ rispetto all’ala stragista di Riina”. “Quei giudici dicono che lo Stato si alleò con un nemico per combattere un nemico ancora più pericoloso - ha spiegato Di Matteo -. Nella storia della mafia, purtroppo, è assodato come ci siano state collusioni e protezioni di alto livello. Anche per indicibili ragioni che però stanno fuori dall’ambito del diritto e dall’applicazione corretta della legge”.
Il consigliere Di Matteo si è poi detto “sorpreso” nell’apprendere che Messina Denaro “stava a casa sua”. Le modalità della latitanza sono “tipiche di chi si sente sicuro e protetto - ha aggiunto -. E questo è particolarmente inquietante se si pensa alla quantità e l’importanza dei segreti che Matteo Messina Denaro conosce e quindi del potenziale ricatto nei confronti dello stato. Matteo Messina Denaro - lo dicono sentenze definitive - conosce il motivo per il quale ad esempio l’omicidio di Giovanni Falcone che doveva essere realizzato a Roma è stato poi realizzato a Palermo con le modalità stragiste”. Conosce, inoltre, la vicenda della “scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Secondo Giuffrè conosce - ha aggiunto Di Matteo -, un altro pentito di livello di Cosa nostra, i documenti che erano custoditi nel covo mai perquisito di Salvatore Riina. Matteo Messina Denaro è un soggetto che ha addirittura suggerito agli altri mafiosi che hanno colpito materialmente le stragi a Roma, Firenze e Milano i bersagli da colpire: ha indicato le chiese e Via dei Georgofili, ad esempio. Rimane da capire se questo fosse frutto soltanto della sua conoscenza o se, come tanti elementi di prova concorrono a ritenere, in quel momento lui si sia interfacciato anche con soggetti esterni a Cosa nostra”. L’ex super latitante di Cosa nostra è un soggetto importante perché “non solo si è macchiato di delitti orribili e terribili, ma perché in relazione a quei delitti è a conoscenza di tutto quello che ancora è rimasto di oscuro. Pensare che trascorreva la latitanza a casa sua è una cosa che fa veramente pensare e anche inquietare. Il trionfo dello Stato sarà nel momento in cui si capiranno due cose. Innanzitutto, con chi ha interagito Matteo Messina Denaro soprattutto nel periodo delle stragi e chi lo ha coperto così a lungo e in maniera così significativa nella sua trentennale latitanza. Latitanza che, per uno Stato normale, è una vergogna. E lo dico da uomo di Stato”.
Infine, in merito alle dichiarazioni di Baiardo, Di Matteo ha suggerito di avere prudenza. “Quando le ho sentite ho notato la precisione di quelle previsioni. Quindi secondo me, e certamente questo accadrà, le procure competenti approfondiranno anche questo aspetto. Dall’altra parte - ha detto - il problema dell’ergastolo ostativo non va visto tanto come un problema dei fratelli Graviano. I mafiosi veri, come lo sono i Graviano, non pensano solo a loro stessi ma all’organizzazione mafiosa. Quando nel ’92 e nel ’93 la mafia fece le stragi, lo dicono adesso anche le sentenze definitive, le fece anche per ricattare lo Stato anche sull’ergastolo. Quindi quando oggi vengono lanciati messaggi strani sull’ergastolo ostativo e di fatto - parlo in maniera asettica - oggi si sono realizzate le condizioni affinché le speranze di Cosa nostra si realizzassero, perché prima c’è stata la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo e poi la sentenza della Corte costituzionale, oggi quelle aspettative sono molto forti. Credo che rispetto alla delusione di quelle aspettative, che mi auguro sia completa, e questo decreto del governo obiettivamente va nel senso della delusione di quelle aspettative, dobbiamo vedere quale sarà la reazione di Cosa nostra. Era ad un passo dalla realizzazione della loro aspettativa, che non è quella di Giuseppe e Filippo Graviano o di un altro mafioso, bensì di Cosa nostra e dei suoi vertici”. Per Nino Di Matteo, dunque, la partita è ancora aperta e non si può ancora cantar vittoria. “Con la tappa di ieri è stata vinta un’importante battaglia sì, ma non la guerra. Cosa nostra come le altre mafie è diventata imprenditrice e capace di condizionare l’economia, il mondo dell’imprenditoria non solo in Sicilia ma in tutta Italia e anche fuori dai confini nazionali”, ha concluso il magistrato.
De Lucia: “Intercettazioni fondamentali per la sua cattura. È possessore di preziose informazioni”
Nel corso della trasmissione è intervenuto anche il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia che, in collegamento, ha sottolineato il profilo criminale dell'ormai ex latitante di Cosa nostra e l'importanza dell'operazione "Tramonto". "La sensazione che io e il mio collega Paolo Guido quando lo abbiamo visto è di un uomo determinato che aveva pensato tante volte a questo momento. Non dico che se lo aspettava ma era pronto a capire che la sua vita libera poteva finire anche attraverso un intervento delle forze di polizia com’è stato", ha detto. In merito, invece, alle opinioni discordanti sulla cattura o la consegna di Matteo Messina Denaro, De Lucia ha risposto: "L’Italia è un grande Paese anche perché ciascuno è libero di pensare ciò che ritiene anche senza conoscere i fatti. È sempre facile teorizzare su cose che accadono. Sono protagonista di questa vicenda assieme ai miei magistrati e decine e decine di carabinieri e uomini della polizia di Stato che ci hanno lavorato per anni. Posso assicurare che quanto si è verificato - e la conferenza stampa era propedeutica a spiegare in maniera trasparente quanto avvenuto - è il risultato di una straordinaria azione di polizia compiuta nel caso specifico dall’arma di Carabinieri. Ripeto, però, che siccome questo è un Paese libero ci sono e ci saranno sempre persone che sosterranno cose diverse e ce ne faremo una ragione". Ad ogni modo, resta di primaria importanza il profilo criminale di Messina Denaro che "non è il capo di Cosa nostra per questioni strutturali che appartengono alle dinamiche dell’organizzazione mafiosa - ha spiegato il procuratore -. Ad ogni modo, però, un uomo di enorme carisma, sicuramente il punto di riferimento di Cosa nostra quanto meno nella provincia di Trapani, una provincia densamente popolata ed economicamente importante. Ed è il possessore di preziosissime informazioni, non solo della vita attuale dell’organizzazione ma soprattutto su quel periodo storico terribile che furono i primi anni ’90 con le azioni straniste di Cosa nostra in Sicilia e in tutta".
Sulla sua successione nei ranghi dell'organizzazione criminale si sta indagando, ha sottolineato De Lucia affermando che "ci sono diversi giovani rampolli di Cosa nostra che sono in condizione secondo le nostre valutazioni, e quelle delle forze di polizia, di assumere un ruolo importante all’interno dell’organizzazione". "Alcuni di questi si sono formati nelle carceri ma rimanendo quello che erano vi entrarono, e questo è secondo me un argomento di riflessione importante perché il mafioso in carcere nelle sue capacità criminali e non cessa di essere mafioso. Alcuni di questi a nostro giudizio sono in condizioni di assumere un ruolo di leadership all’interno dell’organizzazione", ha sottolineato. Di fondamentale importanza per il buon esito dell'operazione sono state le intercettazioni: strumento indispensabile nel contrasto alle organizzazioni mafiose. A supporto di ciò, il procuratore ha fornito "un dato apparentemente satistico ma assolutamente reale" alla Berlinguer. "Nell’ultimo anno i processi istruiti dalla procura di Palermo sono stati tutti fondati con elementi di prova acquisiti attraverso le intercettazioni telefoniche - ha evidenziato -. La mafia è un’organizzazione segreta che la si può permeare solo in due modi. Un modo è grazie ai collaboratori di giustizia, che da dentro l’organizzazione ne escono per rivelarci come funziona; oppure andando noi ad ascoltare i discorsi dei mafiosi e il loro mafiare. Altrimenti non ci sono margini per costruire processi contro questa organizzazione".
Guarda l'intervento dal minuto 46' 33'': raiplay.it
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