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Presentato il libro di Stefano Baudino "La mafia non è una cosa da adulti" alla sala stampa della Camera dei deputati

Questo è il Paese dove ci fu il "massacro di Stato di Portella della Ginestra"; dove gli stessi politici "non salvarono su 'ordini' atlantici Aldo Moro"; "dove per anni uomini come Pio La Torre e Piersanti Mattarella avranno come unici assassini villani mafiosi"; "dove il generale Carlo Alberto dalla Chiesa" venne "depotenziato e lasciato solo a combattere la mafia a Palermo"; dove Leonardo Vitale venne "imprigionato in un manicomio psichiatrico quando iniziò a raccontare da primo collaboratore di giustizia le sue verità". Questo è il Paese in cui Tommaso Buscetta venne screditato appena cominciò a parlare dei collegamenti della mafia con la politica; "dove un ex magistrato come il dottore Roberto Scarpinato, continua a denunciare anche dall’interno del Parlamento, dove oggi siede, tutte le collusioni tra mafiosi, politici, servizi segreti deviati, massonerie, senza raccogliere, non solo nessun sentimento di stupore per chi lo ascolta, ma neanche nessun applauso di consenso ne dalle destre ne dalle sinistre"; dove non sono bastati trent'anni per avere piena verità "riguardo le stragi e i suoi mandanti"; "dove Luigi Ilardo e tanti altri Luigi Ilardo hanno perso la vita e soprattutto ben compreso che chiunque tocca i fili dell’alta tensione finisce morto oltre ogni ragionevole dubbio".

Così Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, collaboratore della giustizia e confidente del colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, durante la conferenza in cui si è presentato il libro "La mafia non è una cosa da adulti" (edito da Aliberti) redatto dallo scrittore e giornalista Stefano Baudino alla sala Stampa della Camera dei Deputati.

Presenti anche la onorevole Stefania Ascari, già membro della precedente commissione parlamentare antimafia, e Alessandro Di Battista, co-fondatore ed ex leader del M5S, oltre che ex deputato. Le pagine che Luana Ilardo sfoglia ripercorrono la tragica storia del nostro Paese, così come quella del padre e della sua determinazione e della sventura. La sventura di un boss che ha avuto il coraggio di abbandonare un’organizzazione che si lascia solo con la morte, denunciarla e raccontare tutto ciò di quanto di segretissimo è venuto a conoscenza negli anni della militanza, affidandosi però a uno Stato che lo ha prima tradito e poi fatto uccidere.

Trame occulte, nascoste, indicibili, figlie di un sistema criminale integrato che tiene sotto scacco interi stati, in primis l’Italia.

Mafia, politica e istituzioni?

Nel corso degli anni, poco importa quali siano stati i governi, l’attenzione in merito alle inchieste che hanno riguardato questo scellerato connubio è drasticamente calata.


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Il giornalista e autore del libro, Stefano Baudino


D'altronde anche questo ultimo governo ha voluto occuparsi del problema mafia in modo assai peculiare e ambiguo: "Meloni - ha detto Stefano Baudino - ha fatto un gesto significativo sull'ergastolo ostativo, trasformando in decreto la legge che era uscito dal parlamento (sebbene contenga alcune criticità) per cercare di ‘salvarlo’ dalla mannaia della Corte Costituzionale che si è pronunciata a novembre. Ma allora, se il suo intento è davvero quello di rappresentare una destra legalitaria di borselliniana memoria, ci si chiede per quale motivo abbia premuto per piegare la Casellati, candidata di Berlusconi, per favorire Nordio, che sulle posizioni in tema di mafia e giustizia è più berlusconiano di Berlusconi. Nordio è infatti favorevole alla abolizione della legge Severino che prevede l'incandidabilità dopo le condanne, all'inappellabilità delle sentenze di assoluzione, all'eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale”. Inoltre ha sostenuto che l'ergastolo ostativo è una “Eresia contraria alla Costituzione”.

“Sul processo in merito alla trattativa Stato-mafia, che ha messo alla sbarra per lo stesso reato importanti uomini dello Stato e i vertici di Cosa Nostra”, ha detto Carlo Nordio, ‘sono state create sofferenze indicibili e costi onerosi a servitori dello Stato incolpati di un delitto senza senso, è un processo che non si sarebbe mai dovuto nemmeno ipotizzare. Fa parte dei compiti dello Stato trattare con discrezione (attenzione alle parole) con organizzazioni criminali nel superiore interesse della collettività. Mi auguro che la Corte non annulli la sentenza ordinando un nuovo processo, perché questo calvario per gli imputati e per la stessa immagine dell'Italia dura da dieci anni, e riguarda fatti assertitamente avvenuti oltre un quarto di secolo fa. Cerchiamo di non coprirci di ridicolo’. Insomma” per Nordio “il calvario per l'immagine dell'Italia non lo provoca il dato, accertato, che lo Stato intavolò un dialogo coi vertici di Cosa Nostra, ma il fatto che si sia istituito un processo per accertare le eventuali responsabilità penali degli imputati”.

L’ex pm della laguna ne ha avute da dire anche sul caso di Bruno Contrada, l'ex numero tre del Sisde che, ha ricordato Baudino, è stato “condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, anche se poi la Cedu ha annullato gli effetti penali della condanna affermando che quando Contrada mise in atto quelle condotte (che sono pienamente confermate) il fatto non era previsto come reato.

Nordio aveva detto che la sua condanna e la sua radianzione "fanno inorridire" ma cosa pensare del ritorno di alcuni personaggi pregiudicati sulla scena politica nazionale? Come l’ex premier Silvio Berlusconi, tornato al Senato “nonostante una condanna in via definitiva per frode fiscale" e "nonostante, appunto, sentenze che hanno dimostrato i suoi comportamenti immorali rispetto appunto a Cosa Nostra”. Pagando "la mafia non so con quanti denari" ha ribadito Alessandro Di Battista ha rafforzato la stessa organizzazione, “che poi probabilmente anche grazie al rafforzamento dovuto ai denari di Berlusconi e al rafforzamento dovuto a tanti altri denari o magari all'attività politica di altri personaggi, si è rafforzata a tal punto da condurre una guerra senza quartiere contro la parte buona dello Stato, insieme alla parte marcia dello Stato”.


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Luana Ilardo


“È quindi fondamentalmente anche grazie ai denari che sono stati elargiti da Berlusconi a Cosa Nostra
" che quest'ultima "è riuscita a compiere gli omicidi che conosciamo, a danno di giudici per bene o di personaggi così importanti come il papà di Luana".

"Luigi Ilardo non era più un mafioso - ha ribadito Luana - era un uomo che aveva per intero pagato il suo debito con la Giustizia non dovendo necessitare di sconti pena o benefici vari, che maturò la scelta verso lo Stato, solo per una prepotente voglia di riscatto di una vita nuova per se, e soprattutto per noi figli, maturata da un profondo senso di disgusto (come lascerà scritto in alcune sue intime lettere di sfogo) per la macchina infernale di morte che cosa nostra, in quel periodo più che mai, dopo le stragi di innocenti, era diventata. Luigi Ilardo fu quell’uomo che in epoche non sospette, quando nessuno sapeva o poteva mai pensare ad un processo trattativa Stato mafia svelò nel lontano 93/94  questi accordi posti in essere tra mafiosi, criminalità organizzate, fazioni politiche, falsi esponenti istituzionali, servizi segreti, strutture eversive, e logge massoniche" deviate.

Infatti, finiti i nomi dei mafiosi fece i nomi, e soprattutto, i cognomi, di questi soggetti, 'colletti bianchi' intoccabili, per questo fu necessario chiudergli velocemente la bocca prima di entrare in regime di protezione e poter raccontare tutte le scabrose verità di cui era a conoscenza".

Lotta alla mafia: anno zero
La ricerca delle verità sulle stragi, così come la stessa sconfitta della mafia, sono traguardi che la sola magistratura non potrà mai raggiungere se non viene aiutata, sostenuta e stimolata dalla politica.

Quest'ultima, al contrario, ha più volte posto degli ostacoli che potevano essere evitati. Ostacoli che si traducono con l’isolamento istituzionale, la diffidenza, il sospetto, la presa di distanza da parte di alcuni settori della stessa magistratura. Si giunge così all’amara conclusione che la lotta alla mafia non è più prioritaria.

Il libro di Stefano Baudino è uno strumento che si prefigge di "stimolare le istituzioni a tornare sul binario dell'antimafia dei fatti, non soltanto di quella di facciata", in cui la retorica la fa da padrona. "Da questo punto di vista, il trentennale delle stragi di Capaci e Via D'Amelio è stata una grande occasione persa" ha detto Stefano, "l'ultima relazione della Dia ci dice che la mafia ha radici molto solide, oltre che nei territori a tradizionale presenza mafiosa, in quasi tutte le regioni del nord e del centro Italia. Paradigma imprenditoriale e utilizzo della violenza solo nei casi di extrema ratio sono un combinato disposto virtuoso: più si è silenziosi, maggiori possibilità si hanno per fuggire alle sanzioni penali e contribuire alla ‘normalizzazione’ culturale e politica del fenomeno mafioso tramite la strategia della ‘sommersione’ di provenzaniana memoria. La mafia non spara, ergo, la mafia non esiste, secondo qualcuno".


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Alessandro Di Battista e Stefania Ascari


Molti illustri magistrati, come il procuratore della repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, hanno spiegato più volte l'importanza della lotta ai colletti bianchi, ha ricordato Di Battista.

Ma di queste cose i ministri della giustizia di turno - Cartabia e Nordio - preferiscono non parlare.

Così com'è meglio non parlare del processo trattativa Stato - Mafia ora fermo a una sentenza di Appello ma in attesa di una pronuncia della Cassazione.

In primo grado i carabinieri del Ros e Marcello Dell'Utri sono stati condannati insieme ai vertici di Cosa Nostra per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”.

"Dalla stampa - ha sottolineato il giornalista Stefano Baudino - tolte rarissime eccezioni, mutismo assoluto. Poi in Appello gli uomini dello Stato sono stati assolti, e il processo trattativa all'improvviso è tornato in prima pagina" assieme al "lavacro purificatore" dei 'giornalini'.

"Poi, purtroppo per gli imputati e i loro cantori che negavano addirittura l'esistenza della trattativa, sono uscite le motivazioni:

Il Ros 'fece leva sulle tensioni e i contrasti che covavano dietro l’apparente monolitismo dell’egemonia corleonese, per sovvertire gli assetti di potere interni all’organizzazione criminale, assicurando alle patrie galere i boss più pericolosi e favorendo indirettamente lo schieramento che, per quanto sempre criminale, appariva tuttavia, ed era, meno pericoloso per la sicurezza dello Stato e l’incolumità della collettività rispetto a quello artefice della linea stragista'. Gli interlocutori del 'possibile negoziato' non erano 'già i vertici mafiosi genericamente intesi, o addirittura Salvatore Riina, bensì i capi di quella componente dell’organizzazione mafiosa che fosse disponibile e interessata a defenestrarlo, per insediare al suo posto una leadership per sua vocazione e convinzione propensa a cercare il dialogo per potersi dedicare proficuamente allo sviluppo dei propri affari, piuttosto che attaccare frontalmente lo Stato in tutte le sue articolazioni'. Qualcuno di voi ricorderà l'episodio della mancata perquisizione e sorveglianza del covo di Totò Riina del 15 gennaio '93, che vide come protagonisti proprio gli uomini del Ros, che furono assolti. I giudici affermano che tramite quella mancata perquisizione si intese ‘lanciare un segnale di buona volontà, un segnale cioè della disponibilità a mantenere o riprendere il filo del dialogo che era stato avviato per giungere al superamento di quella contrapposizione di Cosa Nostra con lo Stato che era già culminata nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio'. Il significato di tale gesto 'era soprattutto simbolico, dovendo esso servire a lanciare il segnale di buona volontà e di disponibilità a proseguire sulla via del dialogo'. Su questa scia, il Ros decise dunque di ‘proteggere’ Bernardo Provenzano, favorendone ‘in modo soft’ la latitanza, 'limitandosi ad avocare a sé vari filoni d’indagine che potevano portarne alla cattura, ma avendo cura al contempo di non portare fino in fondo le attività investigative quando si fosse troppo vicini all’obbiettivo’, dal momento che ‘la caduta di Provenzano che avrebbe inevitabilmente fatto seguito ad un suo arresto, avrebbe favorito il riemergere delle pulsioni stragiste mai del tutto sopite in Cosa Nostra'".


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Foto © Imagoeconomica

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