L’Archivio Flamigni denuncia: “Un 'buco nero' al ministero dei Trasporti. Impossibile non pensare al dolo”. Critiche alla direttiva Renzi sulle desecretazioni
Diceva Sergio Flamigni: “È bene che i giovani possano costruire il futuro dell’Italia valendosi della memoria e della conoscenza del passato onde evitare le tragedie causate dal fascismo, dalla guerra e dal terrorismo”.
Ma quale futuro possono costruire i giovani se pezzi di un passato - per giunta mai del tutto tramontato - risultano inaccessibili per via dell’assenza della documentazione propria a chiarire le vicende che lo hanno maggiormente caratterizzato? Quale memoria può essere studiata, e quindi giudicata, se molti dei suoi tasselli sono andati perduti nel tempo, o altri sono stati abilmente alterati con depistaggi? E’ la domanda che ci siamo fatti leggendo la prima (sconcertante) relazione del Comitato Consultivo sulle attività di archiviazione che ha segnalato l’assenza copiosa di carte nei vari archivi dello Stato riguardanti le principali stragi e misteri della prima Repubblica.
Secondo la relazione buona parte dei carteggi, verbali, ritagli di giornale, intercettazioni, missive (e via dicendo) sono introvabili in quanto smarriti in “spostamenti” da ufficio a ufficio, da archivio ad archivio. Un danno di elevata portata per la memoria del Paese e soprattutto per la ricerca della verità tutt’oggi non pienamente raggiunta dopo 30-40-50 anni (e oltre) sui fatti che hanno macchiato la storia del nostro Paese. Per capirne di più abbiamo quindi contattato Ilaria Moroni, direttrice dell’“Archivio Flamigni”, dedicato alla memoria dell’ex partigiano e senatore.
Partiamo dall’inizio, cos’è l’Archivio Flamigni e perché nasce?
L’Archivio è un centro di documentazione che nasce intorno alla documentazione conservata e raccolta dal senatore Flamigni, che è stato componente della Commissione Antimafia, poi della Commissione Moro e infine di quella sulla P2. Nel tempo, Flamigni, appassionandosi a queste vicende ha raccolto documentazione che riguardasse i temi che aveva approfondito. Nel 2004 l’archivio viene riconosciuto formalmente dalla sovrintendenza archivistica e si forma un’associazione che lo cura e lo valorizza. All’Archivio Flamigni poi si sono aggregati i fondi documentali di Emilia Lotti, dirigente nazionale dell'Unione donne in Italia e del Pci; Piera Amendola, responsabile dell’archivio della Commissione P2; Aldo Moro, il cui versamento completa e arricchisce il patrimonio archivistico del politico conservato presso l’Archivio centrale dello Stato; Angelo La Bella, partigiano, dirigente del Pci, studioso della strage di Portella della Ginestra; Giuseppe De Lutiis, storico del terrorismo e dei servizi segreti. Negli anni 2021-2022 l'Archivio ha acquisito i fondi documentali di Cosmo Barbato, militante comunista e giornalista di "Vie nuove" e "Paese sera"; di Maurizio Fiasco, sociologo, consulente, che svolge ricerca e formazione su sicurezza pubblica, amministrazione locale e fenomeni socioeconomici; di Sandro Provvisionato, giornalista politico e di cronaca dal 1979; di Vincenzo Vinciguerra, ex membro dei movimenti neo-fascisti Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, in carcere dal 1979 e di Giuseppe Michele Stallone, militante comunista, figlio del partigiano pugliese Pietro Stallone. L’archivio intraprende da anni questa battaglia per la trasparenza.
La direttrice dell'Archivio Flamigni, Ilaria Moroni
Parliamo del 2004-2005, anno della vostra nascita. Da allora sono successe tante cose, un ventennio di lotte per la trasparenza…
Sì, sono passati quasi 20 anni. Già da allora rilevammo lacune nei versamenti delle carte da parte delle amministrazioni dello Stato negli archivi di Stato sul territorio, quindi nelle sedi competenti.
Questo ha portato me e le associazioni dei familiari delle vittime di mafia e terrorismo a fare appelli e raccolte di firme. Nel 2005 ho iniziato un censimento degli archivi privati su fatti di terrorismo, stragismo, violenza politica e criminalità organizzata in quanto la documentazione istituzionale era molto scarsa.. Questo perché da una parte la documentazione giudiziaria era di difficile accesso, visto che molti processi erano ancora in corso e quindi consultare le carte processuali era complicatissimo. Dall’altra, invece, avevamo archivi istituzionali che dovevano versare agli organi deputati, ossia agli archivi di Stato e all’archivio Centrale dello Stato, ma questo non avveniva. E le carte che conservavano, compresi gli archivi parlamentari di Camera e Senato, erano di fatto sottratte alla consultazione. Il censimento ha dato vita al progetto della Rete degli archivi per non dimenticare, un network che riunisci ora più di 60 archivi soprattutto privati e che è diventato anche un portale del ministero della Cultura. Questa è stata l’operazione “politica”, cioè dare uno strumento agli studiosi per cercare di rintracciare la documentazione che potesse essere utile per scrivere la storia.
Già da quegli anni, dunque, era chiaro che una buona parte delle documentazioni su stragi e delitti eccellenti era irreperibile. Poi, però sono arrivate le direttive dei vari governi. La prima è quella di Romano Prodi, di cosa si tratta?
La direttiva Prodi del 2008 cadeva nel trentesimo anniversario del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro e incentivava, nello specifico, il versamento di documenti inerenti il caso Moro nella sede dove sarebbero dovuti già essere versati da tempo: l’archivio Centrale dello Stato e gli archivi di stato sul territorio. In realtà, quindi, quella direttiva, come tutte le altre che seguirono, era uno “sprono” ad eseguire un’attività che per legge dovrebbe essere già obbligatoria. In generale le direttive si rivolgono alle amministrazioni dello Stato. Vale a dire che la presidenza del Consiglio chiede, per esempio, al ministero della Giustizia, al ministero della Difesa o degli Esteri, di rendere pubblica la documentazione. Quindi propriamente, una direttiva si rivolge allo Stato stesso e dice allo Stato di versare agli archivi competenti. In tutto ciò la documentazione non esce mai dalle mani dello Stato, resta sempre al suo interno. In teoria si dovrebbe spostare la documentazione in un contesto, appunto gli archivi di Stato, dove la documentazione deve essere ordinata e messa a disposizione dei cittadini. Questo avverrebbe se si rispettassero le norme. Le direttive hanno lo scopo di riparare a una mancanza dovuta ad una “inerzia”, come viene chiamata da loro, quando in realtà è una vera sottrazione di documenti. Dico questo perché in molti casi ci sono stati dei veri e propri buchi nella conservazione della documentazione.
La strage di Bologna
Arriviamo alla famosa “Direttiva Renzi”. A Pasqua 2014, in un’intervista a Repubblica, l’ex premier annunciò in pompa magna, cogliendo di sorpresa un po' tutti, la decisione di “desecretare gli atti delle stragi dal 1969 a 1984 e di trasferirli all’archivio di Stato”. Si tratta di documenti che partivano, almeno in teoria, dalla strage di piazza Fontana fino a quella del Rapido 904. Nel saggio che hai scritto con Benedetta Tobagi, dal titolo “Direttiva Renzi e le carte sulle stragi”, tu critichi duramente quella direttiva.
Esatto. La “Direttiva Renzi” parte da Matteo Renzi stesso e ha riguardato principalmente Aisi, Aise e Dis, cioè i servizi segreti. La critica è anzitutto dovuta al fatto che quella desecretazione non era stata nemmeno concordata con il ministero della Cultura, che doveva essere il soggetto destinatario delle carte. E nessuna delle associazioni dei familiari venne informata
Cioè avete appreso della direttiva a cose fatte?
Sì, non c’è stato nessun incontro preliminare in cui il presidente del Consiglio Renzi abbia chiesto alle associazioni preposte che cosa pensassero in merito. Ma la cosa ancora più grave è che non è stato coinvolto nemmeno il ministero della Cultura!
Stiamo parlando del ministero che dovrebbe vigilare sulla corretta conservazione delle carte e poi sui versamenti. Quindi non essendo stato coinvolto - e questa fu la denuncia più importante che facemmo - i primi versamenti sono stati incontrollati. E’ stata fatta una selezione ma non c’è stato nessun esperto che valutasse se la documentazione versata fosse completa o comunque se ci fosse materiale non di “scarto”.
Dunque qual è stato il criterio?
Sono iniziati ad arrivare documenti all’archivio Centrale dello Stato con criteri di selezione spesso “autonomi” quando in realtà esistono delle leggi archivistiche che stabiliscono tali criteri.
In parole povere: facciamo conto, si è versato per “strage piazza Fontana” come se su in un fascicolo di un archivio ci fosse scritto “strage piazza Fontana”. Quindi, banalmente, se nel fascicolo successivo c’era scritto qualcosa di diverso quel fascicolo non è stato preso, lo si è estrapolato dal contesto, e il versamento però è stato fatto ugualmente. In questo modo si è distrutto per sempre il contesto in cui quel documento era stato prodotto, perché questa cosa non si può riparare mai più. Infatti la prima richiesta che facemmo fu di versare per serie archivistiche, cioè versare tutta la documentazione che riguardasse quell’anno o quel contesto, perché estrapolare i fascicoli dai contesti significa perdere completamente di vista quello che stava accadendo al tempo. Ad ogni modo c’è un problema di fondo sugli archivi dei servizi segreti.
Ovvero?
Non esiste nessuna amministrazione che ha un controllo sull’archivio dei servizi. Inoltre, incredibilmente, anche il regolamento di formazione dell’archivio del DIS è secretato. Quindi nessuno di noi può sapere come acquisiscono i documenti, come gestiscono l’archivio e come declassificano la documentazione. Ti puoi solo fidare. Loro ti dicono che hanno dato tutto ma noi non abbiamo nessuna possibilità di sapere se questo è vero. E questa è la cosa più inquietante. Una delle richieste che avevamo fatto è almeno avere in chiaro, quindi non classificato, il regolamento che regola l’archivio del DIS, non tanto l’inventario dei documenti che conservano, che non te lo daranno mai. Certo il DIS ha pubblicato un documento che spiega il criterio che hanno adottato per la declassifica dei documenti da loro versati all’archivio Centrale su spinta della direttiva Renzi. L’hanno chiamato “metodo DIS”, ma, ripeto, prima di adottarlo non hanno coinvolto il ministero della Cultura, che è arrivato solo dopo. E comunque neanche un funzionario del ministero della Cultura, che è sempre funzionario di Stato, volendo, può accedere a questo archivio per verificare che tipo di versamenti è stato fatto. In questo modo l’archivio dei servizi rimane terra di nessuno.
L'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi © Imagoeconomica
Questa cosa è pazzesca…
Si è pazzesca! Facciamo un esempio banale: il DIS di un milione di carte ne versa 200mila e può dirti che non c’è altro, ma tu non hai alcun potere di controllare questo versamento. Questa non è trasparenza, la trasparenza è altra cosa. Io posso capire che i servizi svolgono un ruolo istituzionale per il quale tante carte possono essere classificate per tanto tempo. Perché comunque sia in un paese normale è così. Ma il nostro non è un Paese normale. Il nostro è un Paese in cui i servizi segreti sono stati implicati nelle stragi e nei fatti di mafia più importanti che ci sono stati. E i servizi non erano deviati, agivano secondo ordini impartiti, quindi non è da poco il fatto che non si ha nessun controllo sulla documentazione che loro oggi producono. E’ vero che poi lo storico impara anche dai buchi a ricostruire quello che manca. In questo senso noi abbiamo la “fortuna”, se così di può definire, che ci sono stati tantissimi processi perché siamo il paese che nel mondo ha avuto contemporaneamente insieme fatti di terrorismo, mafia, criminalità organizzata di diverso genere. E in questi processi sono stati raccolti innumerevoli documenti. I magistrati negli anni hanno raccolto e spesso sequestrato anche ai servizi documentazione che oggi serve per leggere i buchi che si percepiscono nei versamenti. Questa però è una cosa complicata perché per uno storico che vuole ricostruire questi temi impiega molto tempo a districarsi in una massa documentale così sparsa.
Restando alla direttiva Renzi, la desecretazione ha riguardato anche i vari ministeri, giusto? Avete trovato lacune?
Si, basta entrare nella sezione “direttive” del sito dell’archivio Centrale dello Stato, dove si trova l’elenco dei documenti che sono stati declassificati e versati per le direttive per capire quali ministeri hanno versato e cosa hanno versato. E la quantità documentale fa un po’ sorridere…
Perché?
Beh, ti posso dire che al ministero della Giustizia ma soprattutto al Ministero dei Trasporti ci sono veri buchi. Il ministero dei Trasporti è un buco nero. E questo è grave perché le stragi hanno riguardato i trasporti, cioè le stazioni, i treni, gli aerei. Ma anche se pensiamo all’Achille Lauro o ad altre vicende ancora, il ministero dei trasporti è un po’ il ministero contenitore, dove comunque le informative di quello che accadeva devono essere arrivate. A livello di informazioni e produzione di documenti il ministero dei trasporti doveva essere tra i più ricchi di documenti riguardanti fatti avvenuti.
E invece?
E invece così non è. Il problema è che nei decenni il ministero dei Trasporti è diventato un’altra cosa. Oggigiorno abbiamo l’ENAC, le Ferrovie dello Stato e via dicendo. Tutti enti privati che gravitano intorno a quello che era all’epoca il ministero dei Trasporti. Quindi appunto anche a livello di infrastrutture è tutto molto diverso; mentre gli altri (ministeri, ndr) hanno un assetto costante, questo è quello che si è smembrato. La prima giustificazione che hanno dato è stata che non trovavano l’archivio perché prima erano una cosa e adesso sono un’altra. Ma le carte non si muovono da sole. In un’amministrazione di Stato se tu sposti delle carte devi avere almeno un documento in cui sono riportati i vari spostamenti. Questo documento non c’è. E la cosa grave è che è sparita tutta la documentazione dalla fine degli anni 70’ a tutto il 1980. Non esiste. Cioè è scomparsa la documentazione coeva alle stragi in Italia nell’archivio del ministero dei Trasporti e nessuno paga per questo nonostante ci sia una responsabilità penale. Per esempio non esistono i registri navali e aerei, che sono delle carte in gergo archivistico “non sottoposte allo scarto”, a differenza di altri documenti che lo Stato può buttare ad un certo punto dopo decenni. I registri navali, aerei ed altri documenti del genere non possono mai essere buttati, eppure sono scomparsi. Nel caso della strage di Ustica, per esempio, non c’è niente del ministero dei Trasporti che riguarda il 1980 (anno della tragedia, ndr). I primi documenti disponibili sono del 1984, e sono documenti assolutamente inutili. E anche questa è una cosa gravissima, come è gravissimo che nessuno si faccia carico e se ne assuma le responsabilità di questa scomparsa che è a tutti gli effetti una sottrazione.
Archivio Flamigni a Roma © Imagoeconomica
Veniamo al comitato consultivo, di che si tratta?
E’ un organo che nasce nel 2016, due anni dopo l’emanazione della direttiva Renzi, pensato proprio per sopperire ai buchi di questa direttiva nata male. Il comitato consultivo viene creato infatti su pressione delle associazioni e dell’Archivio Flamigni con l’obiettivo di vigilare e fare proposte, anche se effettivamente senza poteri. Al suo interno ci sono rappresentanti delle associazioni, noi dell’Archivio Flamigni, storici e archivisti. Tutti coinvolti a più livelli, anche in sottogruppi, che si sono adoperati per far sì che questi versamenti da una parte avvenissero in maniera corretta e dall’altra si capisse cosa potesse mancare, perché in realtà di cose che mancavano, come abbiamo detto, ce n’erano tantissime.
Infatti nella prima relazione del comitato del mese scorso si segnala che molta della documentazione sulle stragi è andata perduta a causa delle “trasformazioni istituzionali che hanno comportato accorpamenti di Ministeri e di Direzioni Generali, soppressione di strutture, attribuzioni di funzioni e competenze statali ad altri soggetti pubblici di nuova o recente costituzione". Un danno enorme…
Beh il problema è che non c’è una cultura degli archivi purtroppo. Dal punto di vista culturale l’Italia potrebbe perfino esportare buone pratiche ma in realtà per quanto riguarda la conservazione delle carte c’è una sciatteria diffusa che non può non far pensare al dolo. Le carte sono un po’ le fondamenta della nostra memoria, della nostra storia e invece ci siamo dovuti trovare di fronte a funzionari che non sapevano dov’erano gli archivi. C’è una mancanza di responsabilità che si accompagna alla conservazione della storia che fa rabbia, perché comunque sia sottrazioni, spostamenti, omissioni, si fanno consapevolmente, non si fanno in maniera superficiale. Non puoi pensare che le carte non sono importanti, soprattutto se sei un funzionario dello Stato.
Nella relazione il comitato consultivo si è concentrato anche sulla direttiva Draghi del 2021 in cui è stato dato un forte impulso alla desecretazione su altre stragi della prima Repubblica ma soprattutto sulla loggia P2 e Gladio.
Sì, non ci si poteva soffermare, come avevamo detto anche noi, al periodo delle stragi nominate dalla direttiva Renzi, cioè fino al 1984, come se Gladio e P2 non fossero mai esistiti o come se argomenti correlati a questo non esistessero. Quindi il governo Draghi ha esteso la direttiva, ma è ancora troppo presto per capire se ci sono dei buchi anche qui perché ancora la documentazione non è ordinata e non è disponibile per il pubblico in quanto i documenti, una volta versati all’archivio centrale dello Stato e negli archivi territoriali, non sono immediatamente consultabili perché vanno prima ordinati, digitalizzati e inseriti in una banca dati. Quindi adesso noi non sappiamo realmente che cosa è stato versato. E sono molto curiosa anche perché ho visto tanti versamenti in questi anni per le direttive e non vorrei che anche questi siano “omissati”, come si dice in gergo, ossia, aventi cancellazioni di nomi, luoghi e via dicendo. Cioè documenti neri dove non puoi leggere nulla. A onor del vero devo dire che dalla direttiva Draghi si sono di molto accelerate le riunioni del Comitato consultivo che sono state semestrali, cosa che prima non erano. Si è accentrata la gestione del comitato presso la presidenza del Consiglio. Quindi devo dire che Draghi e le persone che ha delegato a rappresentare il tavolo hanno fatto molto bene, poi ovviamente sarà da vedere il risultato, perché si può spingere dal punto di vista politico ma poi dipende da ciò che versano le varie amministrazioni.
La strage di Piazza Fontana a Milano
Cosa ti aspetti dal governo Meloni?
Spero che il nuovo governo riconfermi questa volontà di trasparenza e continui a fare pressione affinché le amministrazioni delle Stato attuino davvero la total disclosure nostro paese, tutto, ha diritto alla verità.
Cosa chiede il comitato consultivo riguardo agli eventuali omissis?
Il comitato consultivo ha chiesto di limitarli ai soli nomi sensibili, quindi ad agenti in attività o che hanno ragione di temere per loro o per le loro famiglie. Ma quelli che non ci sono più, o non hanno più ruoli, chiediamo di rimuoverli. Altrimenti la trasparenza su che cosa la facciamo?
Il comitato farà ispezioni in via Nomentana e in via Caraci, sedi del Ministero dei Trasporti?
Si, così dovrebbe essere, però ripeto, siccome il Comitato Consultivo fa capo alla presidenza del Consiglio, mi auguro fortemente che questo governo prosegua quest’opera.
Che cos’è per voi la memoria storica? E quanto è importante?
La memoria oggi credo essere un concetto molto abusato, purtroppo. Si usa parlare di memoria nelle commemorazioni per rappresentare, diciamo, quanto lo Stato è vicino ai familiari delle vittime di mafia o terrorismo. C’è una retorica degli anniversari. A me piace più usare il termine memorie, perché anche il concetto unico di memoria come se ci fosse qualcosa che può raccogliere tutto, secondo me non è corretto. Le memorie sono tante, sono diverse, spesso sono divise. Il problema è che il nostro Paese è stato colpito, siamo stati colpiti anche noi come cittadini e cittadine che siamo venuti dopo questa stagione del terrorismo, della mafia e della criminalità che ha minato la Democrazia dell’Italia. Io mi sono stupita che il presidente del consiglio Draghi abbia fatto una direttiva dicendo di versare le carte sulla loggia P2 e su Gladio. E’ come dire che lo Stato ne ha ammesso la loro esistenza, cioè l’esistenza di frange extra-costituzionali che hanno agito per sovvertire lo Stato democratico. Gladio e P2 hanno agito contro la Costituzione. Ma perché non si fa un dibattito pubblico di nessun genere su questo? Nessuno ne parla. Ma non si può ignorare, non si può prescindere da questo. Io credo che la storia, come la memoria, si costruiscono anche sul dibattito pubblico e su questi temi il dibattito pubblico è indietro, mentre quello politico è ancora più indietro.
Come si esce da questa situazione?
Bisognerebbe parlarne in maniera più seria ed anche con meno retorica dei cosidetti misteri. Spesso sento dire “non sappiamo niente”. Non è vero, sappiamo tantissime cose: sappiamo che molte stragi sono di matrice neo-fascista, e che terroristi di diversa matrice erano infiltrati, come sappiamo che la mafia è dentro i gangli dello Stato. Quindi sappiamo tanto e dovremmo iniziare a dirlo. Esistono tante carte, per fortuna, che ci raccontano pezzi della nostra storia ed è per quello che è importante conservare.
Tutti noi abbiamo delle radici, siamo i cittadini e le cittadine del Paese in cui siamo nati e vissuti e cresciuti. Non possiamo ignorare quello che è successo nel bene, come nel male, perché ci serve per essere e creare un Paese migliore.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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