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Sentiti anche i giornalisti Cavallaro e Mignosi, il dirigente di Polizia Cucchiara

I giorni successivi alla morte del poliziotto Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, in alcuni articoli di giornale e in delle agenzie non mancavano riferimenti all'ipotesi che il poliziotto fosse stato eliminato dalla mafia “perché era arrivato molto vicino al nascondiglio di uno dei grandi latitanti della mafia”. Nessuno dei giornalisti sentiti ieri al processo sul duplice omicidio che vede imputati davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo (presidente Sergio Gulotta e Monica Sammartino, giudice a latere) il boss Gaetano Scotto (in qualità di killer) e Francesco Paolo Rizzuto (accusato di favoreggiamento aggravato), ha saputo spiegare la fonte da cui fu tratto tale informazione. Tanto Vincenzo Mignosi (che all'epoca scriveva sia sul Giornale di Sicilia che sul Corriere della Sera) quanto Felice Cavallaro (Corriere della Sera) sono riusciti a dare un'indicazione precisa sul punto.
Mignosi ha ricordato come emerse la notizia sulla stampa dell'impegno del poliziotto Agostino sulla ricerca dei latitanti, confermando ciò che disse il 15 marzo 2017, quando fu sentito alla Procura generale. Al tempo spiegò che “la fonte primaria era un lancio di agenzia” e che in ogni caso il collega Giorgio Mulé ad aver avuto per primo la notizia” aggiungendo che lo stesso fosse amico di Arnaldo La Barbera, all'epoca capo della squadra mobile.
Articoli all'epoca furono scritti anche da Cavallaro che addirittura  l'11 agosto del 1989 scrisse che Agostino era impegnato nella ricerca dei boss mafiosi ed in particolare sull'allora latitante Salvatore Riina. Anche lui non ha saputo dire da chi avesse appreso il dato: “Certamente avrò avuto contatti con personalità del mondo investigativo e giudiziario ma francamente non ricordo nemmeno i magistrati che più si impegnarono in quel momento. Poi andai più volte da Vincenzo Agostino. E parlammo di un'incursione e di soggetti un po' strani che si presentarono come colleghi; di dirigenti di polizia che aprirono l'armadio e portarono via qualcosa, forse una busta”.
Altro argomento affrontato quello delle “menti raffinatissime” di cui Giovanni Falcone parlò dopo il fallito attentato all'Addaura, il 21 giugno '89.
Tutti ricordano che fu quella l'espressione usata nell'intervista rilasciata a Saverio Lodato, sulle “menti raffinatissime”.
Ma anche in un'altra intervista, rilasciata al giornalista Paolo Graldi del “Corriere della Sera”, usò toni simili. In quell'occasione Falcone avanzava due ipotesi molto precise sull'agguato. In primo luogo individuava uno dei possibili moventi le sue indagini sul riciclaggio del denaro sporco, che aveva in Svizzera il teatro principale.
Quindi affermava in maniera quasi perentoria che che una talpa molto addentro alle vicende giudiziarie, aveva segnalato a chi di dovere che quel giorno lui avrebbe pranzato con gli svizzeri proprio nella villa dell'Addaura.
A salire sul pretorio per primo è stato Felice Cavallaro che ebbe occasione di interloquire con Falcone dopo l'attentato. “Di menti raffinatissime si parlava - ha detto - io sicuramente colsi una certa inquietudine da parte di Falcone, sin dai primi momenti dopo l'Addaura. Telefonai e mi fece capire che era preoccupato. Quel riferimento alle 'menti raffinatissime' era molto inquietante e faceva capire che si andava ben oltre al mondo criminale di Cosa Nostra. Quindi scattò un interesse generale e giornalistico su questa affermazione”.


agostino nino e ilda casteluccio

L'agente Nino Agostino insieme a sua moglie Ida Castelluccio


De Gennaro e quelle indagini americane
A salire sul pretorio è stato anche il Prefetto Giovanni De Gennaro, che al tempo era in servizio presso la Criminalpol e che stilò un rapporto sui traffici delle famiglie Bono, Fidanzati, Rizzuto, Caruana, che portò all'individuazione di diversi soggetti mafiosi che parteciparono al noto matrimonio tra Giuseppe Bono e Antonia Albino, che si tenne presso l'Hotel Pierre di New York.
Quindi ha riferito anche dei contatti avuti con Giovanni Falcone, nell'estate del 1989.
“Giovanni Falcone - ha detto - aveva la percezione, più che una presa di coscienza, delle attività investigative che portavano a personaggi che non erano appartenenti a Cosa nostra, ma che erano funzionali ad essa. Persone colluse, funzionali per la loro attività, per muovere i denari, personaggi di livello, finanzieri, faccendieri. In quel preciso momento, dell'Addaura, quel tipo di realtà che era fuori dallo stretto ambito di Cosa nostra, ma colluso e funzionale alle sue attività, poteva essere uno dei motivi di preoccupazione”.
De Gennaro ha poi asserito di non essere mai stato a conoscenza di un “prezziario” per la ricerca di latitanti all'interno degli ambiti investigativi e dei servizi di sicurezza. “Non ho mai avuto notizia di una loro attività, di un prezziario o di taglie - ha riferito - ma ritengo verosimile che i nostri servizi svolgessero attività a fini di ricerca di latitanti. Che agenti di servizi di informazione cerchino di avere fonti diversificate, anche in polizia, per un'attività istituzionale non è normale, ma può rientrare nella loro attività".

Quando Guiglia disse...
Altro teste audito è stato Paolo Cucchiara, funzionario di polizia ed in passato in servizio presso la Squadra mobile di Palermo. Nel luglio 2008 fu autore di una nota di servizio rispetto ad un particolare episodio che lo vide protagonista quando era Vicario del Questore di Palermo. “Una mattina mi venne a trovare l'ispettore Ignazio Guiglia (ex poliziotto del gruppo antirapine della Mobile di Palermo, che assieme a Guido Paolilli e l'ispettore Di Bella si occupò della famosa perquisizione in casa Agostino nei giorni immediatamente successivi alla morte del poliziotto, Nino, e della moglie Ida Castelluccio, ndr) che conoscevo in quanto lavorava alla Mobile di Palermo negli stessi anni dove avevo svolto attività come vice dirigente e capo della Sezione antimafia”. “Io - ha detto rispondendo alle domande dell'avvocato Fabio Repici - non capivo bene cosa volesse da me e venne a raccontarmi che quando era alla mobile fu mandato a fare un'ulteriore perquisizione a casa di Agostino, e che fu trovata una documentazione. Mi riferì dell'esito di un'intercettazione ambientale che riguardava un altro personaggio che riferiva al figlio di aver distrutto delle carte rinvenute in casa di Agostino (il riferimento era a Paolilli, ndr). E Guiglia mi disse questo ragionamento: 'Non capisco come è possibile. La Barbera, quando andò a fare la relazione per la commissione, mi chiese il fascicolo su Agostino e se avesse visto che mancavano carte se ne sarebbe accorto'. Io ascoltai e chiesi perché mi diceva quelle cose, ma non ricordo cosa rispose e il ragionamento rimase tronco perché poi dovemmo interrompere. Di questo relazionai al mio superiore gerarchico con una relazione. Era tutto molto strano perché prima di questo incontro con Guiglia mai avevamo parlato del caso Agostino e non lo vedevo da anni. Questa cosa la commentai anche con il capo della Polizia, il Prefetto Manganelli”.


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La corte presieduta dal giudice, Sergio Gulotta, e dal giudice a latere, Monica Sammartino © ACFB


Le vedove di Giovanni Aiello e Alberto Volo
Ultime due ad essere sentite sono state Ivana Orlando e Aurelia Veneziano Broccia rispettivamente mogli di Giovanni Aiello, anche noto come “Faccia da mostro”, e quella dell'ex estremista nero Alberto Volo.
Se non fosse morto, Aiello, sarebbe sicuramente stato uno degli imputati di questo processo ed anche per questo motivo la testimonianza della Orlando è stata abbastanza delicata.
La donna, come era facile aspettarsi, ha sminuito ogni tipo di accusa contro il marito: “Le nostre ricchezze? Ho avuto un'eredità. Le ricevute di deposito che trovarono in casa nella perquisizione erano di mio fratello. Mio marito percepiva la pensione ed aveva questa attività di rimessaggio delle barche a Montauro. L'auto Rang Rover? Gliela comprai io nel 1991. La gip che aveva al rimessaggio neanche poteva muoversi. In delle intercettazioni si parla di lui nei servizi? Si faceva grosso con gli amici. In Sicilia ci andavamo assieme per andare a Sciacca, dal 1994 al 2011, nella casa che ci fu lasciata. I cappelli? Glieli tingevo io. Lui ha sempre avuto capelli neri e da giovane aveva i baffi”. E su quelle intercettazioni in cui il marito, con un amico, fa riferimento ai Servizi di sicurezza ha affermato: “Lui era un bullo. Dice cose per vantarsi con gli amici”. In realtà, quando fu sentita in passato sul punto agli inquirenti aveva escluso che il marito potesse aver detto per vantarsi certe frasi sui servizi. Quando l'avvocato Repici ed il Presidente Gulotta hanno chiesto il perché di questa incongruenza ha risposto perentoria: “Non poteva essere dei Servizi, perché una moglie queste cose le sa”.
Successivamente è stata la volta della moglie di Alberto Volo. Più volte ha detto che quest'ultimo “gli raccontava la sua  versione delle cose, ma se avesse fatto parte dei servizi ci metto quattro punti interrogativi”. Il marito le avrebbe confidato che era stato membro di Gladio, che aveva avuto una collaborazione con Giovanni Falcone. “E' stato sentito dal magistrato almeno un paio di volte. Una volta, per esempio, si ritirò tardissimo a casa. Lui (Alberto Volo, ndr) mi faceva intendere che lui parlava con Falcone e mi disse che quello che raccontava era 'tutta la verità' o quantomeno quello che riteneva fosse la verità”. Quando l'avvocato Monastra ha chiesto di approfondire il senso di quella collaborazione con Falcone, per un attimo la donna si è lasciata sfuggire questa frase: “Faceva quello che faceva il signor Agostino, come lo chiama? Un infiltrato, il confidente. Salvo poi tornare sui propri passi e ridimensionare: “Confidente e collaboratore non ci metterei la mano sul fuoco. E' stato interrogato da Falcone. Il periodo è quello in cui c'era Antinoro al Commissariato San Lorenzo”.
Prima di concludere l'esame la moglie di Volo, rispondendo alle domande della Procuratrice generale Lia Sava (in aula assieme ai sostituti Umberto De Giglio e Domenico Gozzo), ha anche ricordato le simpatie per la destra del marito e gli episodi che l'hanno visto coinvolto con Francesco Mangiameli.
Il processo è stato quindi rinviato al prossimo primo dicembre sempre con le audizioni dei teste di parte civile.

Foto di copertina © ACFB

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