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Il massacro interno a Cosa nostra svoltosi in Sicilia tra il 1981 e il 1984 fu slegato dall’approvazione dei pezzi grossi della Commissione e continuò a pieno regime senza subire alcun tipo di frenata.
Poco prima avvenne l’omicidio dell’ufficiale dei Carabinieri Giuseppe Russo, uomo di fiducia di Carlo Alberto dalla Chiesa e comandante del nucleo investigativo di Palermo, nei boschi della Ficuzza, nei pressi di Corleone, il 20 Agosto del 1977. "Un sanguinoso crescendo, sottovalutato da uno Stato che troppe connivenze ha tollerato e, forse, favorito" ha scritto il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli su 'il Fatto Quotidiano'. L'omicidio fu organizzato da Totò Riina, contrariamente al volere della maggioranza della Cupola. Anche Giuseppe Di Cristina importante boss di Riesi (comune in provincia di Caltanissetta) si era fortemente opposto. Di Cristina fu un capo mafia molto vicino alla Democrazia Cristiana e reagì violentemente contro il clan di Riina, cercando un appoggio negli altri membri della Cupola che, però, non vollero prendere provvedimenti contro i corleonesi.

“Il 21 novembre 1977, intorno alle 7:45, una Fiat 127, mentre transitava nel tratto di strada Riesi-Sommatino, simulò un incidente, speronando frontalmente una Bmw su cui viaggiavano Giuseppe Di Fede e Carlo Napolitano, costringendoli a fermarsi. Subito dopo l’urto violento, scendevano dalla 127 Antonino Marchese e Leoluca Bagarella, che esplosero numerosi colpi di fucile da caccia e di rivoltella calibro 38 contro i malcapitati Di Fede e Napolitano. L’obiettivo reale era il boss di Riesi, Giuseppe Di Cristina”.

“Quel mattino – ha scritto il magistrato - però, dopo essere salito sulla Bmw, Di Cristina era sceso per trattenersi nella propria abitazione: apparteneva alla mafia per tradizione familiare, aveva stretto patti e alleanze, era conosciuto come ‘l’elettore’ di Calogero Volpe della Dc; il fratello del boss, Antonio, era sindaco di Riesi. Egli sfuggì all’agguato - voluto da Riina e Brusca, d’intesa con Ferro, Di Caro e Provenzano, all’insaputa del vertice di Cosa Nostra - ma capì di essere un uomo morto”.

Spaventato dalle possibili conseguenze delle sue azioni, Di Cristina, sull’onda della paura, si recò dai Carabinieri per informarli riguardo all’ascesa dei corleonesi, arrivando perfino a delineare davanti a loro la struttura della Commissione e illustrando quali erano i rapporti di forza interni ad essa.

"Come ha ricordato l’allora capitano dei carabinieri Alfio Pettinato" - ha scritto Tescaroli sul 'Fatto' - "egli iniziò a fornire al brigadiere Pietro De Salvo una serie di confidenze di straordinaria importanza, dirette a svelare responsabilità e basi di appoggio del gruppo dei corleonesi o, comunque, a fornire indicazioni utili per orientare le indagini e catturare latitanti di quel gruppo. Un gruppo riconducibile a Luciano Liggio, di cui facevano parte, fra gli altri, Riina, Provenzano, Brusca e Bagarella. Di Cristina spiegò che era stato Liggio a uccidere il procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione (5 maggio 1971) e si dilungò sui progetti futuri delle cosche, sottolineando, fra l’altro, che sarebbe stato ucciso Cesare Terranova, che puntualmente si verificò (25 settembre 1979)".

"Il rapporto contenente le confidenze di Di Cristina venne depositato negli uffici giudiziari di Palermo il 25 agosto 1978". Ma "le sue indicazioni furono sottovalutate dagli inquirenti, nonostante l’assassinio di Terranova e dello stesso Di Cristina, a Palermo, alla fermata di un autobus, in via Leonardo da Vinci. Un omicidio che appariva come il frutto di una vendetta e della necessità di eliminare un componente dell’associazione divenuto scomodo. L’avvio di un’articolata investigazione (e, ancor più, l’inizio di una sua formale collaborazione con la giustizia, ove si fosse concretizzata) avrebbe prodotto effetti dirompenti in seno a Cosa Nostra. Le sue indicazioni vennero, poi, nel 1984, in larga parte convalidate, nei limiti delle loro conoscenze, da Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, che possedevano un rango mafioso decisamente inferiore rispetto a Di Cristina in seno a Cosa Nostra. Se le sue indicazioni non fossero state accantonate e le piste indicate verificate, tutta la storia successiva sarebbe stata diversa e, forse, non avremmo assistito alle stragi degli anni ‘80 e ‘90 a opera dei corleonesi, guidati da Riina".

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconimica

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