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L'ombra della cosca di Barcellona Pozzo di Gotto e di quei "soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra"

Sono tanti gli spunti che si possono trovare all'interno della relazione sulla morte di Attilio Manca redatta dalla commissione parlamentare antimafia.
Tra questi vi sono certamente le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, i quali tirano in ballo anche figure eccellenti che in qualche maniera si incrociano con questa vicenda.
Partiamo da un dato.
Per la commissione, l'omicidio di Attilio Manca "non appare essere stato il classico assassinio mafioso, ma il frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra".
Il sospetto che dietro la morte di Manca vi sia stata la mano pesante di apparati deviati, così come è avvenuto in altri delitti eccellenti, si accresce proprio leggendo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia barcellonese Carmelo D'Amico, forse il più attendibile collaboratore di giustizia della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. "Sulla genuinità della sua collaborazione - si legge - si erano espressi, da ultimi, i giudici della Corte d'appello che il 7 ottobre 2021 hanno condannato il barcellonese Rosario Pio Cattafi (un "criminale sui generis" come definito dalla commissione) per il reato di associazione mafiosa".
Il 13 ottobre 2015 il collaboratore aveva dichiarato che "poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti. Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché 'aveva fatto ammazzare' Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della 'Corda fratres', aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto".
Inoltre il 28 aprile 2015, davanti ai pm messinesi Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, aveva riferito ciò che aveva saputo da "Antonino Rotolo, noto esponente di Cosa Nostra palermitana, in un periodo di comune detenzione presso il carcere di Milano Opera. D'Amico spiegava come il Rotolo gli avesse confidato che Attilio Manca era stato ucciso dai Servizi segreti per coprire la latitanza di Bernardo Provenzano, della cui operazione alla prostata si era 'interessato' il Manca”: "Rotolo Antonino mi confidò che erano stati i 'Servizi segreti' ad individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano" aveva detto D'Amico. "Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni". "In quella circostanza Rotolo mi aggiunse che di quell'omicidio si era occupato, in particolare, un soggetto che egli definì 'u calabrisi'; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del “Direttore del SISDE”, che egli chiamava 'U Diretturi'".
"Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del 'calabrese' e del 'Direttore del SISDE', né io glielo chiesi espressamente.  In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come 'U Bruttu', ma non so dire il motivo, e che era 'un curnutu', nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi".
Di un killer calabrese “brutto” al servizio di mafia e apparati deviati dello Stato, con il soprannome di “Faccia da mostro”, avevano già parlato innumerevoli collaboratori di giustizia, come "Luigi Ilardo, Vito Lo Forte, Francesco Marullo, Vito Galatolo, Giovanna Galatolo, Giuseppe Maria Di Giacomo, Antonino Lo Giudice e Consolato Villani”. "Venne identificato nella persona di Giovanni Aiello - hanno scritto i commissari - ex poliziotto, già in servizio alla Squadra Mobile di Palermo fino al 1977 e poi ufficialmente posto in quiescenza per motivi fisici".
Da ultimo Carmelo D'Amico, in occasione di una testimonianza in un processo a suo carico, aveva rivelato inquietanti collegamenti tra "Rosario Cattafi e la massoneria deviata italiana: 'Ho saputo da Sem Di Salvo che praticamente questo gruppo massonico operante in tutta la Sicilia era guidato dal...sia da Cattafi e sia del Senatore Nania, Vicepresidente del Senato. Era un gruppo che faceva parte...comprendeva tutta la Sicilia e gran parte della Calabria, stiamo parlando di un gruppo di oltre 1.000 persone, centinaia di persone comunque'".


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© Imagoeconomica


Le dichiarazioni di Giuseppe Setola e Nunziato Siracusa
Il camorrista Giuseppe Setola era stato sentito il 4 luglio 2014 dai Sostituti procuratori Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia.
In quell'occasione il casalese aveva spiegato ai magistrati "di avere trascorso nel carcere di Cuneo, nel 2007, un periodo di comune detenzione con il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto Giuseppe Gullotti, il quale gli aveva confidato che un oncologo aveva visitato (per quel che disse all’estero) Bernardo Provenzano per problemi alla prostata e che successivamente il medico era stato ucciso con una iniezione di eroina nel braccio sinistro, perché lo ‘aveva visto in faccia’. Secondo il collaboratore, il Gullotti precisava, senza farne il nome, che l’autore dell’omicidio era un suo affiliato".
Nella relazione della commissione sono state riportate anche le dichiarazioni di Nunziato Siracusa, anch'egli collaboratore di giustizia ed ex mafioso della famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto, nonché referente del boss Giuseppe Gullotti per il territorio di Terme Vigliatore.
L'8 giugno 2015 era stato sentito a verbale dai magistrati Michele Prestipino e Maria Cristina Palaia. "In quell'occasione Siracusa dichiarava di non aver mai conosciuto Attilio Manca ma di averne sentito parlare intorno al 2007 nel carcere di Messina da Angelo Porcino, detenuto assieme a lui. A Porcino era arrivata una carta processuale dall'A.g. di Viterbo per l'indagine sulla morte di Manca, nella quale era stato coinvolto, e aveva confidato a Siracusa che una volta era andato a fare una visita urologica a Barcellona con un suo parente e ricollegava a tale contatto il fatto di essere rimasto coinvolto a Viterbo in quell’indagine, aggiungendo di non sapere niente della vicenda".
Queste dichiarazioni hanno offerto "un importante elemento di riscontro alle dichiarazioni dei genitori del medico, i quali avevano riferito già nel 2004 che, pochi giorni prima di morire, il figlio li avrebbe chiamati per chiedere loro notizie su 'tale Angelo Porcino', che di lì a poco lo avrebbe raggiunto a Viterbo per una visita, preannunciatagli dal cugino Ugo Manca".

In attesa della riapertura del Caso Manca
C’è chi molto probabilmente non vorrà mai che la verità sulla morte di Attilio venga alla luce.
Gli investigatori della prima ora avevano puntato immediatamente sulla tesi del suicidio, concentrandosi nel documentare i rapporti tra Attilio Manca e una donna romana con precedenti per droga, tale Monica Mileti che, nel pomeriggio del 10 febbraio 2004, aveva effettivamente incontrato Manca a Roma.
Secondo la loro tesi la donna aveva ceduto l'eroina che ha ucciso Attilio, ma dopo la condanna in primo grado, l'anno scorso Monica Mileti è stata assolta "perché il fatto non sussiste" e nelle motivazioni dei giudici si parla di "indizi fragili e equivoci senza elementi concreti".
Un processo assurdo se si pensa che proprio la famiglia Manca non fu ammessa dal giudice come parte civile.
Al di là di questo aspetto ad esser ancor più scandalose sono le prove non considerate, le omissioni, i depistaggi, gli spunti investigativi messi da parte in maniera quantomeno superficiale.
Eppure già le foto della morte di Attilio raccontavano di un uomo che è stato ucciso.
Basta vedere la sua immagine mentre è adagiato sul piumone del letto matrimoniale. Addosso ha solo una maglietta, mentre il resto è nudo. Il corpo è pieno di ecchimosi, il setto nasale appare deviato, il volto tumefatto, le labbra gonfie e poi ci sono quei due buchi al braccio sinistro quando è noto che Attilio Manca fosse un "mancino puro".
No, non è stato un suicidio.
Tutti i sospetti, i dubbi e “lacune investigative” nelle indagini sulla morte del giovane urologo sono stati riportati con dovizia dalla commissione parlamentare antimafia.
Ma perché si è fatta così tanta fatica ad approfondire certi elementi, facendo finta di nulla o nella peggiore delle ipotesi nascondendo i fatti sotto al tappeto delle archiviazioni? Dobbiamo pensare che anche una certa magistratura, per opportunità o compiacenza, sia complice di quel sistema di potere che non vuole la verità?
Le prove raccolte in questi anni sono più che sufficienti affinché non più quella di Viterbo, ma la Procura di Roma, oggi diretta da Francesco Lo Voi, possa aprire un fascicolo sull'omicidio di Attilio Manca.
Attendiamo fiduciosi.

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