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Surovikin: “Truppe ritirate su una nuova linea difensiva”. Maria Zakharova parla di disponibilità di Mosca ai negoziati, ma per Kiev non ci sono le condizioni sufficienti

Un nuovo imponente movimento di uomini e mezzi segna un altro punto di svolta nella guerra. Nella giornata di mercoledì, come annunciato dal comandante Sergei Surovikin in un rapporto al ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, le truppe di Mosca sono state ritirate a sud del fiume Dnepr, nella regione di Kherson. Una manovra in realtà preparata da diverso tempo, con oltre 115.000 civili già evacuati nelle scorse settimane, assieme ad imprese, organizzazioni, istituzioni statali trasferite in località turistiche sulle rive del Mar Nero e del Mar d'Azov. Un ritiro simbolico che assume un duplice significato nello scenario post elezioni di medio termine americane, che hanno segnato una parziale rimonta dell’onda rossa repubblicana: da un lato una porta aperta ad un cessate il fuoco, rievocato nelle ultime ore dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. “La Russia non ha mai rifiutato di condurre negoziati con l’Ucraina ed è ancora pronta, tenendo in considerazione la realtà emergente”, ha dichiarato la diplomatica nel merito. Da un altro punto di vista, tutto sembra configurarsi come un riassetto strategico funzionale a sopportare l’onda d’urto di una nuova possibile offensiva di Kiev, a dispetto della quale, la difesa ad oltranza della città di Kherson avrebbe rappresentato per l’alto comando russo, un inutile bagno di sangue. Questo senza contare che il fiume Dnepr rappresenta una linea difensiva molto più efficace in caso di attacco nemico.
Kiev teme addirittura che la mossa rappresenti una trappola per la sua avanzata: “la Russia sta minando Kherson per trasformarla in una "città di morte", ha accusato il consigliere del presidente ucraino Zelensky, Mykhailo Podolyak”, che ha poi sostenuto come, dopo aver distrutto i ponti, i russi starebbero "minando tutto quello che possono, dagli appartamenti alle fogne”.
Secondo Podolyak, il presidente Zelensky si sta muovendo "con molta attenzione" sull'annuncio del ritiro russo, poiché "il nemico non fa regali", anzi. Sul fronte negoziale, il consigliere dell’ufficio presidenziale ucraino, in un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, è stato lapidario: "Considereremo come partner colui che accetta di negoziare alle nostre condizioni preliminari".
Condizioni chiarite martedì dal presidente Volodymyr Zelensky, a seguito di indiscrezioni trapelate dai media su possibili aperture di dialogo con la Russia: "il ripristino dell'integrità territoriale, il rispetto della Carta delle Nazioni Unite, il risarcimento di tutte le perdite, la punizione di ogni criminale di guerra e la garanzia che ciò non accada di nuovo". Condizioni inammissibili per Mosca che molto difficilmente cederà le regioni annesse di Donetsk e Lugansk, a maggioranza russa, martoriate già da otto anni di guerra con l’esercito ucraino.  Ancora più difficile possa aprirsi la via negoziale, senza la garanzia di non neutralità di Kiev, che rappresenterebbe una minaccia geostrategica rilevante per la Russia, qualora entrasse nella Nato. Condizioni già espresse da Mosca nelle trattative sulla sicurezza avviate a dicembre 2021, in cui il Cremlino chiedeva appunto la non ulteriore espansione dell’Alleanza ad est ed il ritiro delle infrastrutture militari alle posizioni del 1997.
Che le condizioni negoziali paventate dall’Occidente siano poste sulla base di una sconfitta strategica della Russia è stato chiarito dal Ministro della Difesa del Regno Unito Ben Wallace cha ha affermato come spettasse all'Ucraina decidere se avesse intenzioni di portare avanti trattative di pace e che spettava alle potenze occidentali aiutare l'Ucraina a "combattere per il suo diritto di scelta". “Vogliamo che l'Ucraina sia in grado di discutere o risolvere questo problema da una posizione di forza, non di debolezza. E questa è l'attuale direzione di marcia", ha aggiunto Wallace, che ha poi citato una recente valutazione degli Stati Uniti secondo cui 100.000 soldati russi erano stati uccisi o feriti in Ucraina da una forza di invasione iniziale di 130.000-140.000.
Pochi giorni prima il ministro della Difesa del Regno Unito aveva visitato il campo militare di Lydd nel Kent, dove aveva ribadito l’incrollabile sostegno militare a Kiev:
“Continueremo a sostenere l'Ucraina, a difendere il suo territorio sovrano da un'invasione illegale e continueremo a farlo.
La Gran Bretagna rappresenta più di un piccolo momento nel tempo, la Gran Bretagna rappresenta coloro che perseverano nei diritti umani".


Foto © Imagoeconomica

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