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"Requisiti stringenti ma benefici possibili. Da verificare gli effetti della nuova legge"

La Corte Costituzionale, dopo due rinvii disposti per concedere al legislatore il tempo necessario al fine di intervenire sulla materia (ordinanze n. 97 del 2021 e n. 122 del 2022), ha nuovamente esaminato oggi, in camera di consiglio, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di Cassazione, sulla disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo. Secondo la Consulta il nuovo decreto sull'ergastolo ostativo, emanato dal governo il 31 ottobre, trasforma da "assoluta" in "relativa" la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici e delle misure alternative a favore di tutti i condannati (anche all'ergastolo) per reati cosiddetti "ostativi", che non hanno collaborato con la giustizia. "Costoro sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo". Sono questi alcuni passaggi della nota della Consulta (in attesa delle motivazioni dell'ordinanza) con cui si restituiscono gli atti alla Cassazione.
Ora quindi sarà la Suprema Corte, davanti alla quale pende il processo che ha dato origine al giudizio costituzionale, a decidere se sollevare un’altra questione di legittimità: nella nota si legge che alla Cassazione “spetta verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza”.
Di fatto, dunque, resta da verificare se siano ancora presenti o meno i profili di incostituzionalità che avevano dato origine al ricorso. Se i giudici di Cassazione optassero per portare di nuovo la questione alla Corte costituzionale, questa dovrebbe valutare la conformità anche della nuova normativa, su cui in questa occasione non è entrata nel merito.
Questa mattina l'avvocato dello Stato, Ettore Figliolia, aveva affermato in udienza: “Credo che il legislatore governativo sia stato pedissequo con quanto richiesto dall’ordinanza della Consulta con la sua ordinanza del 2021”.
Va ricordato che l'ergastolo ostativo è la disciplina espressa nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario con cui si vieta di liberare i boss mafiosi (alcuni anche stragisti) e terroristi condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia. Secondo Figliola il nuovo decreto-legge approvato dal Governo Meloni per mettere una pezza sull’ergastolo è “legittimo”. Ci sono, dunque, i presupposti per la remissione degli atti del procedimento alla Corte di Cassazione, che aveva sollevato la questione davanti alla Consulta. Quello odierno è soltanto l’ultimo passaggio di un lungo iter legislativo iniziato un anno e mezzo fa quando la Consulta dichiarò l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario "in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo" passando così la palla alla politica. La trattazione delle questioni fu poi rinviata a maggio 2022 "per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”. Infine, il 31 marzo 2022, la Camera aveva approvato la proposta di legge di riforma dell'art.4 bis dell'ordinamento penitenziario con 285 voti favorevoli, 1 contrario e 47 astenuti. Un tentativo annacquato per evitare il peggio, che però non è arrivato in Senato a causa della fine della scorsa legislatura.

Bene l’approvazione, ora servono migliorie
Secondo questo dl, per accedere ai benefici penitenziari, cioè al lavoro all'esterno, i permessi premio e alle misure alternative alla detenzione, i condannati per reati di mafia e terrorismo che non collaborano con la giustizia dovranno allegare l’esistenza di “elementi specifici che consentano di escludere (…) sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”. Inoltre, dovranno dimostrare "l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento", cioè di aver riparato il danno alle loro vittime. E non potranno chiedere la liberazione condizionale prima di aver scontato trent’anni di pena carceraria. Gli elementi da portare di fronte al giudice di Sorveglianza per ottenere l’accesso ai benefici, inoltre, “dovranno essere diversi e ulteriori rispetto (…) alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale”. Il magistrato, per decidere se accogliere o meno la richiesta, dovrà “tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile”; nonché “accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa”. Nella relazione del testo, infine si legge che il giudice, prima di rispondere all’istanza, “ha l’obbligo di chiedere il parere (…) del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo”, nonché di acquisire informazioni dalla direzione del carcere in cui è detenuto e di disporre nei suoi confronti “accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali”. Questo decreto, come aveva sottolineato qualche giorno fa il Consigliere togato al Csm Sebastiano Ardita, ferma una potenziale emorragia in tema di lotta alla mafia ma “contiene alcuni aspetti che vanno migliorati e di cui si auspica ci sia tempo di discutere in sede di conversione”. "L'avere infatti mantenuto la competenza dei singoli tribunali di sorveglianza sparsi sul territorio comporterà la necessità di confrontarsi con decisioni diverse e la concreta possibilità di una applicazione eterogenea di norme incidenti sulla prevenzione antimafia che andrebbero applicate in modo uniforme - avvertiva il magistrato -. Sul punto sarebbe bastato guardare alla specifica esperienza già vissuta nel 2002 dopo l'introduzione della legge sul 41bis, il cui presupposto di applicazione - collegamento con organizzazioni mafiose operanti all'esterno - è analogo rispetto alla regola di accesso ai benefici della legge che si vuole approvare". "Questi rischi di eterogeneità - segnalava - saranno accresciuti dalla farraginosità della disposizione che pone lo sbarramento ai benefici, la quale accanto all'inversione dell'onere della prova valorizza altri elementi di dubbia utilità, quando non controproducenti, rispetto alla esigenza di un contrasto del fenomeno mafioso che tenga conto della sua organicità e gravità".

Foto © Imagoeconomica

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