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Israele sempre più a destra. Svetta l’oltranzista Ben Gvir con il suo “Morte agli arabi”

Pensavamo fosse finita, ma sbagliavamo. Il nome di “Re Bibi” è tornato alla ribalta in Israele. Ieri la coalizione di destra guidata dall'ex premier israeliano e leader del Likud, Benjamin Netanyahu, ha ottenuto un’importante vittoria alle elezioni legislative, le quinte dal 2019. Martedì 1° novembre i cittadini israeliani sono stati chiamati alle urne e alla fine del conteggio dei voti, tra cui circa 500.000 schede degli elettori che non votano in un seggio specifico - militari, diplomatici e persone impossibilitate a recarsi alle urne - la coalizione guidata dal Likud ha ottenuto 65 seggi su 120, superando la soglia di maggioranza di 61 seggi necessaria per ottenere l'incarico di formare un governo. Maggioranza assoluta alla Knesset, dunque. Il Likud di Netanyahu, il premier più longevo nella storia dello Stato di Israele, si conferma così il primo partito con 32 seggi nel parlamento, mentre gli alleati della coalizione “Sionismo religioso”, “Shas” e “Giudaismo della Torà unita” si attestano rispettivamente per ora a 14, undici e otto seggi. Il partito capofila della coalizione di centrosinistra, Yesh Atid, del primo ministro uscente, Yair Lapid, conta 24 seggi. “Unità nazionale”, guidato dagli ex ministri del governo Lapid - Benny Gantz (Difesa) e Gideon Sa'ar (Giustizia) e dall'ex capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot - ha ottenuto 12 seggi, mentre Yisrael Beytenu dell'ex alleato di Netanyahu, Avigdor Lieberman, cinque seggi. I partiti espressione dell'elettorato arabo-israeliano, divenuti di fatto parte dell'alleanza anti-Netanyahu alle elezioni del 2021, Ra'am (primo partito arabo a far parte di una coalizione di governo) e Hadash Ta'al avrebbero cinque seggi ciascuno, mentre il partito Laborista quattro. Non hanno invece superato la soglia di sbarramento al 3,25% il partito di sinistra Meretz e la formazione politica arabo-israeliana Balad, che tuttavia ha ottenuto un risultato storico, raccogliendo circa il 3% delle preferenze. Stravince l’ultradestra, dunque, motivo per il quale il futuro governo israeliano desta fortissime preoccupazioni anche alla comunità internazionale oltre che ai palestinesi. In una dichiarazione rilasciata all'emittente "Channel 12", infatti, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Martin Indyk, prevede che ci sarà una strada in salita da percorrere per le relazioni Israele-Usa se Netanyahu formerà un governo con Sionismo religioso. "L'amministrazione Biden non ha una buona storia di relazioni con Netanyahu, e se assume questi estremisti di estrema destra nel suo governo e nel suo gabinetto, allora penso che siamo su una strada 'rocciosa'", ha affermato il diplomatico riferendosi alle ultime dichiarazioni della coalizione di estrema destra che si è detta contraria all'accordo per la demarcazione del confine marittimo con il Libano, mediato dagli Stati Uniti e firmato lo scorso 27 ottobre a Naqoura (ultimo atto in politica internazionale del governo ad interim di Yair Lapid). Alla luce dell’esito di questa elezione è bene ricordare che Israele è stato fondato sulla promessa problematica di essere la patria di tutti gli ebrei, ovunque - non degli abitanti nativi della Palestina - e su una base sanguinosa, quella della Nakba e della distruzione della Palestina storica e dell’espulsione del suo popolo. E Benjamin Netanyahu è il leader ideale per portare a compimento questa politica di pulizia etnica e di “apartheid”.


palestina israele gianluca fogliazza

Vignetta di Gianluca “Foglia” Fogliazza



Bibi Netanyahu: un “Re Folle” già visto al comando
Sotto processo per tre vicende di corruzione
, Bibi Netanyahu si è sempre detto innocente e ha rifiutato di dimettersi dai suoi incarichi. Abile e spregiudicato, Netanyahu è riuscito negli anni a relegare ai margini gli altri leader politici che hanno cercato di scalzarlo alla guida della destra, come Lieberman il cui partito è ridotto a 5 seggi e Naftali Bennett che ha lasciato la politica a luglio e il cui partito Focolare Ebraico è rimasto fuori dalla Knesset. Il partito dei dissidenti del Likud Nuova Speranza è fallito, mentre leader moderati che in passato si sono alleati al governo con Netanyahu - compresi gli avversari di oggi Yair Lapid e Benny Gantz - hanno rotto ogni rapporto con lui. Nel giugno 2021, un'ampia coalizione di otto partiti di destra, centro e sinistra, compreso per la prima volta un partito arabo, ha scalzato "King Bibi' formando il "governo del cambiamento". Ma la coalizione era troppo eterogenea e si è sfaldata lo scorso luglio. E poi ci sono le elezioni del 1° novembre, in cui la frammentata opposizione anti-Netanyahu non è stata in grado di unirsi.
Il successo di Netanyahu in questa tornata elettorale è dovuto ad una serie di fattori. Innanzitutto, grazie all’alleanza con il partito Otzma Yehudit (“Potere ebraico”) di Itamar Ben Gvir: tra i più controversi e pericolosi soggetti politici dentro la Knesset (segue approfondimento). Inoltre, è dovuto al fallimento dei governi israeliani di transizione che si sono alternati negli ultimi 4 anni, caratterizzati da un lungo stallo politico iniziato nel 2018, quando l'alleato Avigdor Lieberman (del partito nazionalista della destra laica) ruppe proprio con Netanyahu sulla questione del servizio militare per gli ultraortodossi. Da allora è stato un susseguirsi di elezioni senza un risultato chiaro, con l'impossibilità di formare un governo stabile con o senza Netanyahu, che nel frattempo è riuscito a rimanere premier con alleanze fragili o mantenendo l'interim.


polizia israelana palestinesi dep

Foto: it.depositphotos.com


A contribuire al successo ottenuto da Netanyahu c’è anche l’immagine e la fama di cui gode Bibi dovuta, ad esempio, agli “Accordi di Abramo” stipulati con gli ex nemici arabi del Golfo. Tali accordi hanno consentito al leader del Likud di mostrare il pugno di ferro e scompaginare gli assetti politici interni quando gli è stato più congeniale - sabotando senza sforzo il tentativo di dare a Israele una nuova leadership - a suo piacimento. Infine, tra i fattori che hanno portato a questa vittoria, vi è la volontà di colpire i palestinesi: obiettivo “strategico” indiscusso di ogni leader israeliano. È noto, infatti, che la politica israeliana si fa sul sangue dei palestinesi, spesso usati come carne da macello per spostare gli equilibri dell’elettorato da un partito ad un altro attraverso i bombardamenti nella Striscia di Gaza e le sistematiche operazioni militari nei Territori Occupati (come quelle attualmente in corso). E Netanyahu, il “Re Folle”, non esiterà un istante. Questa volta, però, dovrà fare i conti con quel grande movimento che nel maggio del 2021 - durante l'Intifada dell'unità -, aveva messo insieme le fazioni palestinesi superando le divisioni interne nel nome della resistenza sul campo, andando oltre anche un certo immobilismo dell'Anp (Autorità nazionale palestinese) e che tutt’ora continua a incoraggiare i giovani palestinesi. Tutto ciò non rappresenta una novità per Netanyahu, essendo già stato Primo Ministro israeliano, così come non saranno nuove le sue politiche. L’impronta di “Re Bibi” in veste di premier è ben nota. La sua figura sarà quella di un capo di Stato eslege (che non riconosce alcuna legge), che non rispetta i trattati internazionali, che si fa beffe da oltre mezzo secolo delle risoluzioni dell’Onu, che contribuisce con la sua protervia sempre più estremistica a rendere il Medio Oriente un focolaio permanente di conflitti e di pericoli anche per l’Europa mediterranea, e che non si fa problemi a macchiarsi le mani di sangue palestinese come dimostra il suo coinvolgimento nei massacri-genocidi commessi durante le operazioni militari eseguite nella Striscia di Gaza: “Piombo Fuso” nel 2008 (1500 morti, molti dei quali bambini, e circa 5000 feriti); “Pilastro di Difesa” del 2012 (quasi 200 morti); e “Margine di Protezione” del 2014 (2.310 morti e 11.100 feriti). Per quest’ultima l’Aja sta indagando Netanyahu per crimini di guerra. Ad aggravare il quadro già disastroso c’è il “meschino silenzio” dell’Unione Europea, come lo ha più volte definito il giornalista Michele Giorgio fra le colonne de “Il Manifesto” e “Pagine Esteri” (per cui è corrispondente da Gerusalemme), “un gigante economico con piedi politici di argilla, avrà effetti perversi sui problemi di quell’area. Conferma il proprio disinteresse per una causa rilevantissima e suona incoraggiamento alla politica di Israele. Se neanche dalla società civile si leva qualche voce di condanna, capace di mostrare che esistono altri organi di arbitrato internazionale, in grado di giudicare i crimini contro l’umanità, altri massacri seguiranno, autorizzati dal nostro silenzio, inteso come certezza d’impunità”.





Gli oltranzisti al comando: sangue all’orizzonte
Vera rivelazione di queste elezioni è Itamar Ben Gvir. Il leader del gruppo Otzma Yehudit (“Potere ebraico”) nonché leader con “Sionismo Religioso” assieme a Bezalel Smotrich, ha conquistato 14 seggi, il doppio di quelli nella precedente legislatura. Il secondo partito della possibile coalizione di governo sostiene il rafforzamento dell'identità ebraica e promuove l'ebraismo ortodosso, oltre che l'annessione della Cisgiordania. Ben Gvir non fa mistero di volere la poltrona di ministro della Sicurezza Interna, che controlla la polizia, e potrebbe quindi trovarsi a gestire l'ordine pubblico a Gerusalemme. Per comprendere i pericoli che questo potrebbe comportare è bene ricordare alcuni aspetti di questo soggetto politico. Ben Gvir è la star della ultradestra, talmente acclamato da fare ombra a Netanyahu. “È stato infaticabile anche nel giorno delle elezioni - afferma Michele Giorgio -. Non si è fermato un attimo, si è spostato in auto o in elicottero ovunque per esortare i suoi sostenitori, in gran parte giovani, ad aiutare a dare vita al governo di cui intende far parte come ministro della sicurezza pubblica, incarico che gli permetterà di approvare misure senza precedenti contro i ‘nemici’, i palestinesi in Israele e nei Territori occupati. E anche di proporre leggi e provvedimenti per limitare i diritti civili e delle minoranze e l’autonomia dei giudici”. Avvocato noto per le provocazioni e i toni incendiari, che vive nell'insediamento di Kiryat Arba alla periferia di “Al Khalil” (Hebron), Ben Gvir è un deputato israeliano noto per le sue ideologie razziste, nazionaliste, reazionarie e oltranziste. A causa di quest’ultime è stato esentato dal servizio militare in un Paese - Israele - dove è rigorosamente obbligatorio (non farlo rappresenta un serio limite alla carriera professionale) proprio a causa delle sue opinioni di estrema destra. È stato anche accusato quasi 50 volte per reati, tra cui fomentazione di disordini, vandalismo, istigazione al razzismo o sostegno a un’organizzazione terroristica e condannato otto volte. Ben Gvir, inoltre, propugnava di espellere tutti gli arabi e sogna ancora oggi di far emigrare "coloro che non ci vogliono qui”, in riferimento ai palestinesi, ma anche gli ebrei che non sono "leali a Israele". Il suo programma è incentrato sul pugno duro contro arabo-israeliani e palestinesi, la pena di morte per i terroristi e misure volte ad aumentare il senso di sicurezza per gli ebrei israeliani. Tra queste, anche l'immunità per i soldati e l'allentamento delle regole d'ingaggio che permettano ad agenti e militari di aprire il fuoco con munizioni vere contro chi tira pietre o molotov (considerati ipocritamente armi terroristiche se utilizzate dai palestinesi, mentre sono “strumenti di difesa” se utilizzate dagli ucraini contro l’esercito russo). Inoltre, Itamar Ben Gvir, così come Bezalel Smotrich, ha più volte partecipato a manifestazioni razziste in Israele. Come la “Marcia delle bandiere” che nel mese di giugno 2021 ha visto migliaia di israeliani manifestare in un corteo dell’estrema destra davanti alla Porta di Damasco (luogo simbolo della Gerusalemme araba, e nella città vecchia) al grido di “morte agli arabi”. Infine, una delle ultime azioni razziste poste in essere da Ben Gvir è avvenuta a metà ottobre quando, nel quartiere di Sheikh Jarrah (Gerusalemme occupata), brandendo la sua pistola ordinò ai coloni israeliani scesi in strada per aggredire i palestinesi del villaggio: “Se i palestinesi lanciano pietre, dovete sparargli”. Non resta che vedere quanto riuscirà a influire in un futuro governo guidato da Netanyahu, alla luce anche delle preoccupazioni già espresse da Emirati e Usa per la sua presenza in un qualsiasi esecutivo. Ma i seggi di “Sionismo Religioso” sono numerosi e necessari per il leader del Likud che ha sempre la spada di Damocle dei processi per corruzione, frode e abuso d'ufficio che gli pende sulla testa. Ed è ovvio che con fascisti, oltranzisti, razzisti e reazionari di questo calibro un accordo di pace fra Israele e Palestina è impossibile. O addirittura impensabile.


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Un bambino palestinese con i mano delle pietre (Foto: it.depositphotos.com)


Con Netanyahu al governo si teme un aumento della violenza in Palestina
"Il circolo vizioso di violenza che si osserva nei territori palestinesi occupati non si fermerà a meno che Israele non metta fine alla sua occupazione, ma i risultati elettorali lasciano intravedere, al contrario, la formazione di un governo che mira a mantenere in modo permanente il controllo sulla Palestina". A denunciarlo in una nota è il segretario generale del Norwegian Refugee Council (Nrc) Jan Egeland, di ritorno da un viaggio nella regione che si è svolto la scorsa settimana. "Sono allarmato dall'aumento delle tensioni nei territori palestinesi occupati a cui ho assistito in prima persona in questi giorni", afferma Egeland nel comunicato. "Quando guardo la vita quotidiana dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania vedo che semplicemente non hanno tregua. Le loro speranze per un futuro normale diminuiscono ogni giorno di più sotto un'occupazione prolungata e repressiva. Abbiamo bisogno di un'azione internazionale determinata per garantire che ciò non si intensifichi ulteriormente", ha aggiunto il segretario. Nella nota si denuncia inoltre che "Israele, in quanto potenza occupante, ha la responsabilità del benessere dei palestinesi, ma invece distribuisce discriminazioni e oppressioni sistematiche e istituzionalizzate che lasciano i palestinesi espropriati e indigenti". "L'occupazione significa che gli adolescenti di Gaza hanno passato tutta la loro vita sotto assedio e che non hanno conosciuto nessun'altra realtà perché non possono uscire. Significa che gli abitanti dei villaggi della Cisgiordania rischiano di essere detenuti senza accusa o che la loro casa venga abbattuta. Significa che la violenza dei coloni è in costante aumento, spesso nella totale impunità e sotto la protezione delle forze israeliane", afferma Egeland. Attualmente, informa il comunicato, Nrc "sta supportando oltre 4mila famiglie con cause legali per demolizioni, sgomberi forzati o revoca della residenza. Questi episodi rappresentano solo una parte del numero crescente di che si verificano nei territori, mentre le autorità israeliane continuano con le loro pratiche illegali". "Israele e i suoi alleati negli Stati Uniti, in Europa e nel mondo arabo continuano a liquidare le sofferenze di milioni di palestinesi", scandisce il segretario generale, che poi lancia un appello: "Il nostro messaggio a Israele è chiaro: ponete fine alla vostra ingiustificata occupazione del territorio palestinese. Come ogni trasgressore dei diritti umani e del diritto internazionale, Israele deve essere ritenuto responsabile dei suoi atti. Senza giustizia non ci può essere soluzione".


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Foto: it.depositphotos.com


La nota fornisce anche alcuni dati sul contesto in cui si è svolto il voto. "Le elezioni israeliane di martedì - si legge - sono arrivate nel pieno di un'ondata di violenza. Nella Cisgiordania occupata, 118 palestinesi sono stati uccisi da quando l'esercito israeliano ha lanciato la sua nuova operazione il 31 marzo, inclusi 29 bambini di età inferiore ai 18 anni. Questo numero indica che il 2022 sarà l'anno più mortale mai registrato per i palestinesi della Cisgiordania". Le autorità israeliane, continua il comunicato, "hanno anche demolito 697 edifici in Cisgiordania nei primi dieci mesi del 2022, comprese case, infrastrutture civili e strutture agricole. Un dato questo, che farà del 2022, probabilmente, l'anno peggiore dell'ultimo quinquennio. Questi atti costituiscono delle violazioni del diritto internazionale. A Gaza, che è sotto l'assedio israeliano da 15 anni - aggiunge la nota -, almeno 48 palestinesi sono stati uccisi nel corso di tre giorni di escalation di ostilità tra le forze israeliane e la Jihad islamica palestinese (Pij) ad agosto". "Questa settimana ho incontrato delle madri a Gaza. Mi hanno raccontato di come avevano perso la casa che avevano costruito con la loro famiglia dopo che era stata colpita da attacchi missilistici. Di come i loro figli non sappiano che aspetto ha il mondo esterno. Di come non possano viaggiare per più di un'ora in macchina a causa dell'assedio imposto da Israele", riferisce Egeland. Nrc, si legge quindi nel comunicato, "esorta il governo israeliano a revocare le sue restrizioni alla circolazione di persone e merci in linea con gli obblighi legali internazionali per consentire una ripresa e uno sviluppo economico sostenibili. La comunità internazionale deve spingere le autorità israeliane a cessare immediatamente il trasferimento forzato delle comunità nell'Area C della Cisgiordania, dove si continua ad assistere a un uso eccessivo della forza, distruzione di proprietà e violenza dei coloni. L'Nrc incoraggia ulteriormente il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres a dare la priorità a una visita urgente nella zona e ad esortare le parti, in primo luogo Israele, la potenza occupante, a prevenire ulteriori perdite di vite umane, ulteriori sofferenze e lesioni a palestinesi e israeliani". "Nrc continua a sostenere migliaia di famiglie palestinesi nel tentativo di riprendersi da tutta una serie di shock, come la violenza, gli sfratti, il tracollo economico e l'occupazione", afferma Egeland. "Ma questo non è né sufficiente né sostenibile se Israele continua la sua brutale occupazione".

Foto di copertina © Imagoeconomica

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