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Continuano gli scontri tra le forze di occupazione sionista e i resistenti palestinesi. Sale la tensione

Sei palestinesi sono morti altri 20 sono rimasti feriti, tre dei quali in modo grave, nella notte più violenta dell'anno in Territori occupati palestinesi. È il “bollettino di guerra” dell’operazione che questa notte le forze di occupazione israeliane hano avviato a Nablus, città situata a Nord dei territori occupati. Violenti scontri a fuoco sono scoppiati quando le truppe israeliane hanno distrutto un edificio utilizzato - secondo un portavoce dell'esercito (notizia ancora non certificata) -, come fabbrica di bombe e quartier generale dal gruppo di resistenti palestinesi "Areen Al Asood” (‘Tana dei leoni’), una nuova milizia molto popolare tra i più giovani nel Nord della Palestina, i cui ranghi stanno crescendo rapidamente anche grazie ai social network. Un gruppo che non ha chiare gerarchie di comando e che, per il momento, non ha particolari inclinazioni religiose o politiche. Nei giorni scorsi la “Tana dei leoni” ha rivendicato una serie di attacchi contro le forze di occupazione israeliane - incluso quello in cui è morto un militare dell’Idf, Ido Baruch - in risposta ai quotidiani attacchi armati e violenti ai danni dei palestinesi compiuti sia dai militari israeliani sia dei coloni israeliani che vivono nei trecento (circa) insediamenti illegali in Palestina. Dall'inizio dell'anno, solo in Cisgiordania 132 palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano, alcuni a causa degli scontri armati, molti altri senza motivazione. Un dato che fa del 2022 l'anno più sanguinoso dal 2015, quando scoppiò l'Intifada dei coltelli. Inoltre, 51 palestinesi sono stati uccisi nei tre giorni di escalation di agosto contro il partito paramilitare Jihad Islam. "Una forza congiunta di soldati dell'esercito, agenti dello Shin Bet (Agenzia di sicurezza israeliana, ndr) e unità antiterrorismo ha fatto irruzione in un appartamento nella città vecchia di Nablus che veniva utilizzato anche come laboratorio e nascondiglio di esplosivi da membri senior della ‘Tana dei leoni’”, riferisce l'esercito israeliano. Il ministero della Salute palestinese ha identificato i cinque morti a Nablus. Si tratta di Hamdi Ramzy Qaim, 30 anni; Ali Khaled Omar Antar, 26; Hamdi Mohamed Sabry Hamed Sharaf, 35; Wadih Sobeih Houh, 31; e Mashaal Zahi Baghdadi, 27. Sempre il ministero ha identificato in Qusai Al-Tamimi la sesta vittima che viveva nel villaggio di Nabi Saleh, a nord di Ramallah. Almeno tre delle cinque vittime a Nablus erano partigiani della resistenza palestinese, tra cui Wadih Sobeih Houh, indicato dalle forze di occupazione israeliane come uno del leader della “Tana dei leoni”. Intorno all'1:00 un convoglio dell'esercito è entrato a Nablus. Poco dopo sono state udite forti esplosioni e spari durati più di un'ora. "Le nostre forze hanno fatto saltare in aria la fabbrica di bombe", ha affermato l'esercito, secondo cui i palestinesi hanno sparato, bruciato pneumatici e lanciato pietre contro i militari, i quali hanno risposto sparando un'infinità di proiettili veri ad altezza uomo e anche un missile anticarro, riferiscono i media palestinesi. Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen ha stabilito all'alba "contatti urgenti per fermare questa aggressione contro il nostro popolo" e ha elogiato "la fermezza dei palestinesi nel difendere la loro terra", secondo quanto riferito da un portavoce. Domenica scorsa Tamer Al-Kilani, un palestinese di 33 anni considerato uno dei leader della “Tana dei leoni”, è stato assassinato in un attentato provocato da un ordigno esplosivo piazzato all’interno di uno scooter posizionato da un soggetto probabilmente appartenente ai servizi segreti israeliani nella città vecchia di Nablus. L’obiettivo dell’esercito israeliano, e del Primo ministro israeliano Yair Lapid, è quello di stanare la “Tana dei leoni” e sterminare i suoi “giovani terroristi”, come li ha più volte definiti, uno dopo l’altro. Avendo riscontrato difficoltà in questa operazione militare offensiva - motivo per il quale si sono intensificati nelle ultime due settimane gli scontri tra forze di occupazione e forze di resistenza palestinesi nelle città di Nablus e Jenin in particolare -, Israele ha bloccato il traffico da e verso la città di Nablus fino al 13 novembre, paralizzando così i 200mila palestinesi che vivono al suo interno e un’importante area di traffico tra i villaggi della provincia (quasi 400mila abitanti). I militari israeliani, infatti, perquisiscono e controllano capillarmente ogni veicolo ed ogni persona che entra ed esce dalla città creando così code di traffico chilometriche. Il blitz militare condotto questa notte nella città vecchia è stato definito un "crimine di guerra" da Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell'Autorità palestinese. “Il governo israeliano ha la piena responsabilità delle sue conseguenze”, ha aggiunto.

Una bolla destinata a scoppiare
Gli scontri che si stanno verificando in Palestina sono causati, in modo particolare, dalle politiche espansionistiche e coloniali con cui Israele aumenta e tutela gli insediamenti illegali dei coloni israeliani nei territori occupati infrangendo sia i trattati di Oslo del 1993 che alcune convenzioni delle Nazioni Unite che hanno condannato lo Stato ebraico per queste politiche. Complice di tutto ciò, ancora una volta, è l’omertà più totale della comunità internazionale preoccupata esclusivamente a risolvere - zoppicando - il conflitto in corso in Ucraina, costringendo di fatto i palestinesi a rispondere all’oppressione con scioperi, manifestazioni pacifiche e proteste contro le forze di occupazione lanciando quasi sempre pietre o molotov (che in Palestina, a differenza dell’Ucraina, vengono tacciate come “armi terroristiche” a causa del “Double Standard”) e a volte, come accaduto questa notte, rispondendo alle armi con le armi. Leggere ciò che sta accadendo solo alla luce dell’attualità è un errore. Bisogna andare all’origine del problema. La gente è esasperata dalle continue provocazioni del governo israeliano e dei coloni che occupano le terre dei palestinesi e, soprattutto, dalle operazioni militari israeliane nei territori palestinesi che ogni giorno causano vittime innocenti. Le forze di occupazione israeliane dall’inizio di questo mese ha mietuto decine di vittime, molte delle quali minorenni: il 18enne Fayez Damdoum assassinato nella città di Ezareyah a Gerusalemme (01.10.2022); Rayan Suliman (7anni ) morto di infarto per la paura mentre era inseguito dai soldati di occupazione israeliani nel villaggio di Tuqu vicino a Betlemme (02.10.2022); Khaled Anbar e Basil Dabbas (minorenne) uccisi durante un raid militare nel campo profughi di Jalazoun vicino alla città di Ramallah (03.10.2022); il giovane palestinese Alaa Zaghal è morto per le gravi ferite causate dagli spari delle forze israeliane nel villaggio di Deir Al Hatab nella città di Nablus (05.10.2022); Mahdi Ladadwah (19 anni) ucciso nel villaggio di Al Mazra'a al-Gharbiyah, a nord della città di Ramallah (08.10.2022); Adel Dawoud (14 anni) assassinato nella città di Qalqilya (08.10.2022); Mahmoud Sous e Ahmad Daraghmah, uccisi a colpi di arma da fuoco dalle forze di occupazione israeliane mentre faceva irruzione nel campo profughi di Jenin (08.10.2022); Mahmoud Muhammad Khalil Samoudi (12 anni) morto per le ferite riportate dai colpi d’arma da fuoco nella città di Jenin (10.10.2022); Osama Adawi (18 anni) morto anche lui per le ferite riportate in seguito a un blitz israeliano nel campo profughi di Arroub, a nord di Hebron (10.10.2022); Mateen Dabaya ucciso nel campo profughi di Jenin (14.10.2022); il dottor Abdullah Al Ahmad assassinato davanti all'ospedale di Jenin (14.10.2022); il giovane Qais Sheja'ya morto vicino all'insediamento illegale di Beit, a nord di Ramallah City (15.10.2022); Mujahid Dawoud (30 anni) ucciso nel villaggio di Qarawa Bani Hassan, a ovest della città di Salfit (15.10.2022); il giovane Uday Al-Tamimi, che ha sparato al posto di blocco militare di Shuafat, è stato ucciso in un conflitto armato all'ingresso dell'insediamento di Ma'ale Adumim (19.10.2022); il 16enne Mohammad Nouri morto in ospedale per le ferite riportate in seguito ad un blitz delle forze di occupazione israeliane all'ingresso della città di Al Berih il mese scorso (20.10.2022); Salah Briki (19 anni), ucciso durante l'assalto alla città di Jenin da parte delle forze di occupazione (21.10.2022); Arafa Rabi, 32 anni, morto dopo esser stato colpito alla testa dai soldati di occupazione al Checkpoint 109 a Qalqilya (22.10.2022); il16enne, Mohammed Rajab Abu Qtaish, colpito a colpi di arma da fuoco dai soldati di occupazione a Sheikh Jarrah, perché accusato di aver compiuto un attacco a coltellate nella città di Gerusalemme come rappresaglia per il martire Uday Al-Tamimi (22.10.2022). E a concludere questa disumana lista di vittime ci sono i morti del blitz di questa notte nella città di Nablus.

La situazione politica
Il filo rosso che collega queste morti sono le manifestazioni di protesta che ormai da settimane attraversano varie località della West Bank e in particolare i campi profughi, anche sull'onda lunga della repressione che si è registrata anche quest'anno a Gerusalemme nel mese di Ramadan. Sono ormai oltre 120 i morti che da inizio anno sono avvenuti tra Striscia di Gaza, i territori occupati nel ’67 secondo stime dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Una situazione di tensione innescata dalle richieste di diritti e servizi provenienti dalla popolazione palestinese rivolta sia all'Autorità nazionale palestinese che al governo di Israele, accusato di eccessivo uso della forza dalle organizzazioni per i diritti umani come Amnesty international e Human Rights Watch, che denunciano anche una situazione di apartheid sulla popolazione palestinese. Così, i campi profughi stanno diventando "una polveriera", come afferma la giornalista Romana Rubeo, caporedattrice del The Palestine Chronicle, testata specializzata sui Territori palestinesi in lingua inglese. Rubeo sottolinea: "In questi giorni la situazione è molto tesa, soprattutto nei campi profughi della Cisgiordania occupata. Il punto caldo è Jenin, che purtroppo abbiamo imparato a conoscere per l'uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh (l'11 maggio scorso, ndr), che era lì per raccontare tensioni che stanno raggiungendo un punto di non ritorno. C'è una vera e proprio polveriera a Jenin, Nablus e Ramallah e nei campi profughi della zona di Betlemme" e Gerusalemme. Dopo l'arresto di Musab Shtayyeh leader della lotta armata che reggeva le azioni di resistenza nei campi profughi - eseguito da parte dalle forze di sicurezza dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) - si sono generati scontri molto forti. Rubeo riferisce che "l'Intifada dell'unità, quel grande movimento che nel maggio del 2021 aveva messo insieme le fazioni palestinesi superando le divisioni interne nel nome della resistenza sul campo, andando oltre anche un certo immobilismo dell'Anp, continua, tanto che sappiamo che Shtayyeh collaborava a stretto giro con An-Naboulsy, leader delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa e quindi legato a Fatah", il partito alla guida dell'Anp. “È come se sul campo ci fosse un movimento trasversale che supera l'inerzia dell'Anp”, aggiunge. In questo quadro "le autorità israeliane sono molto imbarazzate. Qualche settimana fa il capo delle forze armate israeliane, infatti, “ha ammesso che sono state arrestati almeno 1.500 palestinesi collegati a potenziali attacchi. Sui media sono circolati video che hanno creato forte imbarazzo tra le istituzioni di Tel Aviv, che, come sappiamo, pongono un forte accento sulla questione della sicurezza". La difficoltà deriva anche dall'aver "perso un interlocutore privilegiato come l'Anp, con cui sussiste un rapporto di coordinamento di sicurezza nei Territori. È come se l'autorità del leader dell'Anp, l'87enne Mahmoud Abbas, fosse in declino, al punto che più volte le autorità israeliane hanno sostenuto che Abbas non sta tenendo il controllo della situazione e hanno anche paventato di sostituirlo con una figura, Al-Sheikh, che è uno dei fautori dell'accordo sul coordinamento per la sicurezza e che quindi andrebbe a rafforzare questa collaborazione - dice Rubeo -. Tale risultato avrebbe un effetto dirompente sul campo, perché il popolo chiede esattamente il contrario e di superare quell'immobilismo che invece ha portato alla situazione che osserviamo oggi". Questo panorama si fa ancora più sensibile in vista delle elezioni palestinesi del 2023 (in attesa di conferma) e di quelle israeliane fissate al 1° novembre. L'ennesimo sondaggio, a una settimana dal voto, ha certificato di nuovo lo stallo politico in Israele: nessuno dei due blocchi ha la maggioranza alla Knesset per formare un governo stabile. Secondo l'ultima ricerca effettuata da Kan tv, infatti, la coalizione di destra di Benyamin Netanyahu si fermerebbe a 60 seggi (su 120) mentre quella composita di centro sinistra guidata da Yair Lapid sarebbe a 56. Il Likud si conferma tuttavia il primo partito con 31 seggi seguito da quello di Lapid con 24. Confermato l'exploit della destra radicale sionista religiosa di Itamar Bne-Gvir accreditata di 13/14 seggi. Si tratta del deputato israeliano che la settimana scorsa, nel quartiere Sheikh Jarrah (Gerusalemme occupata), estraendo la sua pistola diede ordine ai coloni israeliani: “Se i palestinesi lanciano pietre, sparategli”.

Foto: it.depositphotos.com

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