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Ieri conclusa la deposizione di Michelangelo Di Stefano, commissario capo della Dia di Reggio Calabria

Dopo continue "istanze" e "balletti" sull'impossibilità di sentire le intercettazioni registrate nel carcere mentre era detenuto ad Ascoli Piceno tra il 2016 ed il 2017, finalmente Giuseppe Graviano avrà un pc adeguato all'ascolto. 
Il presidente della Corte d’Assise d’Appello, Bruno Muscolo, ha autorizzato il Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo (che rappresenta l'accusa nel processo d'appello 'Ndrangheta stragista, che vede lo stesso Graviano imputato assieme a Rocco Santo Filippone per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo) a far recapitare il computer, attraverso la Direzione investigativa antimafia, alla casa circondariale di Terni dove Graviano è detenuto al 41 bis.
Questa vicenda ha accompagnato il processo dal primo grado, in particolare nella fase in cui aveva deciso di rispondere alle domande del pm, fino al ritorno al silenzio nel maggio 2020.

Tema delicato
Un tema delicato, in particolare se si considera che in quelle conversazioni Graviano faceva riferimento a Silvio Berlusconi: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”. E ancora: “Nel ’93 ci sono state le stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”.
E nel corso del processo di primo grado aveva provato a dare una spiegazione a quelle parole dette durante il passeggio. 
Sono agli atti del processo le dichiarazioni del boss di Brancaccio sui rapporti che la sua famiglia avrebbe avuto con l'allora imprenditore Berlusconi, sugli incontri che avrebbe avuto con quest'ultimo mentre era latitante, sugli strali contro il 41 bis. Aveva anche fatto riferimento a "un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero". 
Resta scolpito il "per il momento non lo ricordo" alla domanda dell'avvocato Ingroia se Berlusconi fosse il mandante delle stragi, così come l'accenno all'ex senatore Marcello Dell'Utri (condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa) come soggetto "tradito" e "danneggiato" dall'ex Premier.
Sempre nel corso delle deposizioni aveva lanciato anche un messaggio chiaro ai suoi interlocutori esterni: "Io qui non sto facendo niente, sto solo dicendo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose. Io non voglio né soldi né altro. Ho solo dato confidenza a un carissimo amico. Ma se sentissi tutte le intercettazioni potrei dire tanto altro".
Chissà cosa accadrà ora che, finalmente, potrà sentire quelle conversazioni. 

Conclusa la deposizione di Di Stefano, fissati gli esami dei pentiti
Nell'udienza di ieri del processo è continuata l'audizione del commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano che ha riferito sull'informativa presentata in aula nelle settimane scorse sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gerardo D'Urzo (deceduto nel 2014), Marcello Fondacaro e Girolamo Bruzzese. 
Tra gli argomenti affrontati proprio gli accertamenti sulle dichiarazioni di Bruzzese su un incontro che sarebbe avvenuto nel 1978-1979, comunque dopo l'omicidio Moro, in un agrumeto, dove sarebbero sopraggiunti anche Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. 
Dagli investigatori è stato verificato che già nel 1968 il boss della 'Ndrangheta Mommo Piromalli, quando nel 1968 era al soggiorno obbligato nel piccolo comune marsicano sui Piani della Renga a Capistrello (Aq), era solito incontrare personaggi politici importanti e che tornava in Calabria con un elicottero.
Il dato emerge anche su fonti aperte come un articolo del giornalista Dante Capaldi, del quotidiano "il Centro", che nel 1968 era insegnante elementare nel piccolo comune della Marsica, dove aveva conosciuto Piromalli, appena giunto dalla Calabria.
"Piromalli si mostrava persona distinta - scrive Capaldi il 25 giugno del 2017 sul quotidiano abbruzzese - disponibile persino a far da padrino ai neonati locali quando gli veniva richiesto, consegnando ai genitori un regalo di 500mila lire, una cifra consistente, rispetto al mio stipendio di insegnante di 48mila lire, e disse anche di potermi aiutare nella mia carriera professionale". "Capaldi - all'epoca collaboratore del quotidiano Gazzetta del Sud per la cronaca sportiva da l'Aquila - ricorda nel suo scritto la richiesta di Mommo Piromalli di avere una copia del giornale, "non per seguire la cronaca sportiva, ma per leggere le notizie relative al processo ai 116 mafiosi in corso in quel periodo dinanzi ai giudici di Catanzaro". Addirittura Piromalli era così importante e potente che "veniva imbarcato su un elicottero sui Piani di Renga, con destinazione Gioia Tauro, per poi ritornare a Capistrello la sera di domenica". 
Sempre Di Stefano ha anche parlato dei riscontri che hanno riguardato la figura di Nino Gangemi, soggetto che partecipò all'incontro in cui i boss palermitani chiesero aiuto contro i corleonesi, che aveva un ruolo di particolare rilievo all'interno dell'organizzazione criminale. Di lui, infatti, ha parlato anche il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio.
Altro argomento ha riguardato la ricostruzione delle possibili influenze americane nel periodo del 1992, quando in Italia scoppio il caso Tangentopoli che portò anche all'emissione di un avviso di garanzia contro il leader socialista. "In quel contesto - ha raccontato Di Stefano - vi fu una cena, la sera stessa della consegna dell'avviso di garanzia, a cui parteciparono Di Pietro, il vice capo del Sisde Bruno Contrada, Fausto Del Vecchio (appartenente sempre ai servizi, e Rocco Maria Mediati, dell'ambasciata americana, con genitori originari di Platì". 
Dopo il controesame delle difese sono state stabilite le date delle udienze in cui saranno sentiti i collaboratori. Il processo riprenderà il prossimo 14 novembre, quando sarà interrogato il collaboratore di giustizia Marcello Fondacaro, originario di Gioia Tauro.

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