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E intanto Merlino, killer condannato, ai pm dice: “Sono carcerato innocente

Niente da fare. La verità completa sull'omicidio del giornalista Beppe Alfano, ucciso da Cosa nostra  a Barcellona Pozzo di Gotto l’8 gennaio del 1993 rischia davvero di rimanere avvolta nel mistero. 
La Procura di Messina, lo scorso mese, ha avanzato l'ennesima richiesta di archiviazione per l'inchiesta “Ter” a conclusione degli accertamenti disposti dal Gip per "l'individuazione di possibili ulteriori mandanti dell'omicidio".
Quella decisione fu assunta dopo l'opposizione della famiglia, al tempo rappresentata dall'avvocato Fabio Repici
La nuova richiesta porta la firma del Procuratore aggiunto Vito Di Gregorio e dal sostituto Antonio Carchietti, con il visto dell'allora Procuratore Capo Maurizio de Lucia insediatosi la scorsa settimana alla guida della Procura di Palermo
Va ricordato che per il delitto sono già stati condannati in via definitiva un mandante e un killer, il boss Giuseppe Gullotti e il camionista Antonino Merlino
Quello stesso Merlino che secondo il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico, sarebbe innocente. Il pentito aveva dunque indicato Stefano Genovese e Basilio Condipodero, come sicario basista dell'omicidio. 
Nei confronti di entrambi, però, per i pm non ci sono prove sufficienti per dire che siano gli esecutori materiali dell'omicidio del giornalista. 
Il concetto è stato ribadito dopo le ulteriori indagini in cui è stato sentito lo stesso Antonio Merlino
La verbalizzazione è del 30 novembre 2021 e il killer, che ha chiesto senza successo la revisione del processo a suo carico, ha semplicemente ribadito la propria innocenza. 
Il fatto nuovo che aveva portato a sentire Merlino erano le dichiarazioni del pentito milazzese Biagio Grasso. Quest'ultimo, in un vecchio processo satellite dell’omicidio Alfano per false dichiarazioni di due testi durante il procedimento di primo grado per l’uccisione del giornalista, rispondendo alle domande di Fabio Repici, aveva fatto alcune dichiarazioni clamorose. In sintesi Grasso, aveva dichiarato che raccolse le confidenze proprio di Antonino Merlino, con cui era molto amico che gli confessò di non aver ucciso Alfano e di conoscere anche il “vero” killer, pronunciando poi il nome di Stefano Genovese
Purtroppo però, quando è stato sentito dai magistrati, Merlino, pur confermando di conoscere Biagio Grasso, non ha permesso di andare oltre. 
Scrivono i magistrati della Dda nella richiesta di archiviazione che nel momento in cui sono state fatte domande precise (“Ha mai parlato con Grasso Biagio dell’omicidio del giornalista Alfano, avvenuto a Barcellona Pozzo di Gotto? Se sì, cosa vi siete detti?”) il Merlino si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ed è lì che Merlino è tornato nel suo silenzio. “Subito dopo, il propalante - scrivono i magistrati -, ha inteso rilasciare spontanee dichiarazioni per come segue: “ringrazio per la vostra presenza a livello umano, voglio solo dire che sono un carcerato innocente ma, sul resto, come anticipato e come consentitomi dalle norme vigenti, chiedo di poter non rispondere. Per favore, non mettetemi in difficoltà”. 
Nel precedente provvedimento il Gip aveva disposto una serie di accertamenti specifici come la consulenza tecnica su un revolver calibro 22 della "North American Arms", mai sottoposto ad accertamento balistico le cui tracce erano state scoperte proprio dall'avvocato Repici che ha sempre descritto il delitto Alfano come un "connubio di alta mafia e apparati". 
I supplementi di indagine, però, non hanno portato a nessuno sbocco rispetto alle richieste di approfondimento formulate a suo tempo dalla famiglia tramite il legale. 
“Si tratta, infatti, - scrivono i magistrati messinesi -, di prospettazioni coerenti con l’assunto ricostruttivo desumibile dal tenore della memoria citata – incentrato sulla rilevanza investigativa della figura di Cattafi Rosario Pio, sulla correlazione tra l’omicidio dell’Alfano e l’interesse giornalistico coltivato dalla vittima nei confronti della presenza a Barcellona P.G. del latitante “Nitto” Santapaola, e sui “canoni di opacità molto più che sorprendenti” connotanti l’operato delle forze dell’ordine e del Sisde) – ma radicate, appunto, in un incedere interpretativo che - per quanto possa ritenersi qualificato da intrinseca coerenza e persino “laicamente” suggestivo - appare destinato ad impattare, senza rimedio alcuno, contro le evidenze “in negativo” (o, se si preferisce, i limiti) derivanti dal necessario e doveroso ossequio alla cultura della prova”.
A quanto pare il caso dell'omicidio Alfano rimarrà confinato alla sentenza che ha appurato le responsabilità di Merlino e, per l'appunto, del boss Giuseppe Gulotti per il quale è stata rigettata di recente a Reggio Calabria la richiesta di revisione del processo. L'ennesima morte di “sola mafia” con tante questioni "irrisolte" come la sparizione di documenti sul traffico d'armi e di uranio di cui ha sempre parlato la figlia di Alfano, Sonia. “Quegli appunti - ha ricordato in più occasioni - sono spariti da casa la sera stessa dell’omicidio, dopo la perquisizione delle forze dell’ordine. Alle 22.45 dell’8 gennaio 1993 piombarono a casa nostra oltre 50 agenti di vari corpi che portarono via numerose carte ed effetti personali, ma non tutto ci è stato restituito. Tante cose, anzi, non sono state neanche verbalizzate”. Ma su tutto questo, ormai, c'è il rischio che venga messa sopra una pietra tombale.

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