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E sull’ascesa in capo di Cuffaro e Dell’Utri: “Dobbiamo chiedere conto alla Politica”

Ci sarà mai un pentito di stato? Io penso che, non restandomi molta vita davanti, sarà un po’ difficile per me essere testimone di una cosa del genere. Chissà cosa potrà succedere in futuro”. A parlare è l’ex magistrato, già membro del pool antimafia di Palermo, Leonardo Guarnotta, intervenuto stamane durante la presentazione del libro di Francesca Bommarito “Albicocche e sangue” (Ed. Iod) presso Villa Trabia a Palermo. Oltre alla storia dell’appuntato dei Carabinieri Giuseppe Bommarito, fratello dell’autrice, assassinato il 13 giugno 1983 nella strage di via Scobar assieme al capitano Mario D’Aleo e al carabiniere scelto Pietro Morici, l’incontro è stato anche un’occasione per fare il punto sulla lotta alla mafia di oggi, sull’omertà di Stato e sull’avanzamento a piè sospinto della borghesia mafiosa soprattutto all’interno della politica. “Un pentito di Stato… ma sapete che significa se dovesse venire fuori un pentito di Stato? - ha domandato Guarnotta - Significa che verrebbe scoperchiato il vaso di Pandora che da tantissimi anni nasconde interessi così importanti che se conosciuti potrebbero minare dalle fondamenta tutte le nostre istituzioni”. Una risposta lapidaria che ha gelato il giovane pubblico, rimasto attonito dalle parole dell'ex magistrato. Questo passo, ha continuato, “deve essere fatto dal potere politico, anche se mi viene da sorridere se non da ridere”. “Vi rendete conto che nelle ultime elezioni comunali di Palermo per nominare un sindaco le carte le hanno date due condannati per mafia dei quali uno da me? Ovvero Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri? - ha aggiunto con rammarico - Dobbiamo chiedere conto al potere politico. Se non si cambia questo stato delle cose noi non ne usciremo. E mi dispiace perché quando penso al punto in cui siamo arrivati mi domando: ‘Per cosa sono morti quei due amici ammazzati (Falcone e Borsellino, ndr) se ancora le cose stanno così?’” Una domanda che a volte non trova risposta ha commentato Guarnotta, “loro lo hanno fatto perché credevano in quei valori fondamentali, fondanti e non negoziabili che si chiamano giustizia, parità sociale, condivisione sui quali hanno sempre improntato le loro attività e per i quali sono morti. Sono quegli stessi valori che noi che abbiamo avuto l’onore e il privilegio di lavorare con loro fianco a fianco continuiamo a diffondere. Io nel mio piccolo continuo a comunicarlo ai giovani andando nelle scuole parlando di legalità”. Ed è proprio ai giovani che Leonardo Guarnotta si rivolge quando ha detto che “dopo le stragi del ’92 niente è stato più come prima. Basti pensare che prima neppure i parenti delle vittime di mafia si costituivano parte civile per paura di ritorsioni. Ora per fortuna non è più così. Però molte volte sento dire che la mafia non è più come prima, non è cattiva perché non commette più omicidi, attentati dinamitardi, non spara più come prima tranne che per piccole lotte su questioni che riguardano alcune famiglie ma che non preoccupano più l’opinione pubblica. La mafia ha semplicemente cambiato strategia. È passata da una strategia stragista, non appagante dato che tutti sono finiti in galera - salvo uno (Mateo Messina Denaro, ndr) -, a una strategia di immersione perché in questo modo non attira l’attenzione né delle forze dell’ordine né della magistratura”.  E allora che fare? “Occorre innanzitutto suscitare la sensibilità di tutti noi e dei giovani in particolare che sono la società di domani. La cosa fondamentale è il rispetto delle regole e che ognuno di noi si comporti secondo un principio fondante, fondamentale e non negoziabile che si chiama legalità. Principi non negoziabili sui quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno improntato la loro attività quotidiana e per i quali hanno perso il bene supremo della vita”. “A voi giovani va il mio affettuoso abbraccio - ha concluso Leonardo Guarnotta -, augurandovi un lungo cammino e soprattutto buona fortuna”.

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