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Il consigliere togato al Csm commenta l’assenza della questione carceraria in politica

Credo che la legge sull’ergastolo ostativo debba essere scritta con molta attenzione perché il testo che era stato preparato, ma successivamente non varato, in realtà conteneva delle ambiguità molto pericolose”. Così il consigliere togato Sebastiano Ardita, intervistato dalla nostra Marta Capaccioni, al termine della presentazione del suo ultimo libro - “Al di sopra della legge” (Ed. Solferino) - svoltasi ieri sera presso la Sala Marchesi di Palazzo Platamone a Catania. “Un argomento abbastanza complesso”, ha commentato Ardita, che si è detto preoccupato rispetto alla volontà di terminare la legislatura con il voto sul "Decreto Aiuti" affossando definitivamente la riforma dell’ergastolo ostativo per mafiosi e terroristi detenuti che non hanno collaborato. Una legge di riforma affossata in Senato da tutti i partiti - ad eccezione del M5Stelle - che, ad ogni modo, aveva cercato di porre degli argini alla incostituzionalità dichiarata dalla Corte costituzionale lo scorso anno, evitando così che venissero aperte le celle a mafiosi e terroristi senza collaborazione. La legge sull’ergastolo ostativo “accanto al requisito indicato dalla Corte, cioè la prova provata che non ci sia più il rapporto con l’organizzazione criminale, e che quindi questo rapporto sia cessato (prova che deve essere fornita dal detenuto), conteneva anche altri indici di molto più semplice conseguimento che rischiavano di annacquare e inquinare la capacità di dare un giudizio completo sul primo requisito - ha spiegato Sebastiano Ardita -. Credo che occorra ripensare bene al testo di questa legge e fare una legge molto snella e stringata, ma al tempo stesso molto precisa che indichi un unico importante requisito e non un unico requisito e poi tanti altri in misura additiva, perché non si tratta di un’addizione ma di una sottrazione. Se accanto al requisito fondamentale se ne mettono altri facilmente perseguibili qualcuno potrà ritenere che induttivamente o deduttivamente il primo requisito sia stato conseguito. Questo è il rischio che si corre. Non si può essere così ingenui da non comprendere che c’è questa possibilità”.
Altro argomento trattato dal consigliere togato al Csm è stato quello delle carceri: argomento assente in ogni programma politico - o quasi - presentato alle recenti elezioni nazionali. L’esperienza quasi decennale all’interno del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di cui è stato anche il direttore, ha portato Ardita a considerare “il vuoto e il silenzio” sulla questione carceraria una “conseguenza del fatto che non si conoscono le dinamiche carcerarie”. “Quando qualcosa non si conosce è inevitabile che non si sia in grado di articolare nulla che possa servire a migliorare le condizioni del sistema penitenziario - ha continuato rispondendo alle domande di Marta Capaccioni -. Credo che la società stessa abbia dimenticato il carcere e non sappia neanche ciò che avviene in carcere. E, dunque, dalla società è tratta la classe istituzionale, la classe politica che dovrebbe far fronte a questi problemi, ma replica lo stesso momento di dimenticanza e assoluta incoerenza rispetto al bisogno di costruire nelle carceri una condizione di civiltà ma anche di sicurezza che metta al riparo i cittadini dalla possibilità che si torni a delinquere”.

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