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I fratelli, sorelle, figli, cugini, cognati, suoceri, generi, nuore, nonni, nipoti, zii,compari, padrini, figliocci d’Italia non sono certo la maggioranza del paese, neanche con i leghisti e i forzisti: messi assieme non vanno molto lontani dai numeri offerti dagli altri partiti che non si definiscono di centrodestra, ai quali vanno aggiunti anche gli astensionisti, che rappresentano circa il 50% degli elettori. E tuttavia, grazie a una legge elettorale incostituzionale che solo dal cervello malato di Renzi poteva venir fuori, e al premio di maggioranza, potremmo dire che sono diventati maggioranza senza esserlo.
Come già detto, queste elezioni sono state la “cronaca di un risultato annunciato”. I sondaggi, sia pure con lievi differenze, hanno sbandierato già da molto tempo percentuali e maggioranze che poi sono state confermate dal voto. La causa di tutto ciò è stata attribuita alla decisione di Conte di ritirare la fiducia al governo Draghi e all’opportunismo del centrodestra che, avendo valutato l’incapacità della sinistra di trovare alleanze elettorali e usando la legge elettorale in modo intelligente, ha scelto la via delle elezioni, affondando quello stesso Draghi che avevano sostenuto, a parte la finta opposizione di Fratelli, cugini ecc. d’Italia. Invece bisogna fare un passo indietro e partire dall’affondamento del governo Conti due. E’ lì che sta la spiegazione di tutto, o almeno di tutto quel che si riesce a intuire. Ci sono state diverse anomalie in quella decisione:
1) Renzi ha ritirato il suo appoggio, avviando di fatto una crisi che, malgrado la sua defezione, avrebbe potuto essere evitata. Cosa nascondeva la vigliaccata del serpentello fiorentino? Indubbiamente quella di cercare un po’ di spazio politico, con una vaga speranza di alleanza con i resti dei berluscones, sempre nella ostinata idea di dare vita a un centro di ispirazione democristiana e spingere nell’angolo i cinque stelle, sino alla loro scomparsa.


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L'ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Camera © Imagoeconomica


2) Conte aveva chiesto e ottenuto, nonostante la ventilata crisi, la fiducia alla Camera. Che cosa lo ha convinto a presentare le dimissioni? Si può ipotizzare un invito-ricatto del PD, con la minaccia del ritiro dell’appoggio. Dietro l’invito ci saranno state le spinte dei filo-renziani che, ancora oggi sono una forte corrente interna al partito. Ma perché il PD avrebbe affondato se stesso, oltre che il suo alleato, con il quale aveva governato bene, sia nei confronti della pandemia, sia nell’ottenimento dei fondi del PNRR, con la somma più rilevante rispetto agli altri stati? Qua la risposta si fa più difficile:accanto ai filorenziani si può pensare a una longa manus di Gentiloni, che, su pressione dell’establishment europeo, ma anche americano, abbia posto le dimissioni di Conte e di un governo giudicato troppo a sinistra, per concedere i fondi PNRR: ipotesi improbabile, poiché proprio al governo Conte sono stati dati i fondi, a meno che la cosa non sia stata concordata prima con Letta, portavoce di Gentiloni. A Conte sarà stato prospettato un governo di unità nazionale, con il coinvolgimento dei vecchi alleati della lega e dei berluscones, e quindi con una navigazione più sicura, benedetta da Mattarella, regista dell’operazione, affidata all’uomo gradito all’Europa e all’America, Draghi. In realtà bisogna anche ipotizzare il maligno disegno, non solo del PD, di accaparrarsi le spoglie dei Cinque Stelle, ridimensionati al governo rispetto alla loro rappresentanza parlamentare, costantemente in crisi con una serie di defezioni, sino ad arrivare all’ultima, quella di Di Maio, alla quale potrebbe non essere estranea la spinta del PD. Secondo i calcoli dell’establishment europeo e dello stesso PD il governo Draghi avrebbe dovuto durare sino alla normale scadenza della legislatura e, magari, succedere a se stesso. In un certo momento Conte si è accorto della trappola che lo stava stritolando e si è defilato. Si noti bene che Draghi avrebbe potuto continuare, avendo i numeri, ma, dopo il risveglio dell’ala di centrodestra governativo e dopo il ripristino dell’alleanza di destra, ha gettato la spugna. Si può credere che la spallata sia stata determinata da motivi di opportunismo politico, oppure che tutto era già scritto sin dall’avvento dell’ultimo governo e che il PD è caduto nella trappola, grazie anche all’incapacità di Letta di cucire un’alleanza con prospettive vincenti.


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La presidentessa di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, nel comizio conclusivo a Palermo © Deb Photo


C’è infine un’ultima ipotesi: Che il PD si sia defilato dal ruolo di guida delle decisioni governative in un momento in cui queste sono in preda alla difficoltà di sapere amministrare a causa dell’aumento dei prezzi, della materia prima, dei mezzi di rifornimento energetico e abbia deciso di lasciare tutto in mano alla destra, in attesa di raccogliere i frutti di un fallimento a suo parere sicuro. Il PD è stato sempre chiamato a rimediare ai danni e alle falle di bilancio del centro destra e non si esclude che possa continuare in questo ruolo se il centrodestra si dovesse rivelare inadeguato. Magari attraverso qualche ribaltamento di palazzo, come già successo in passato. Conclusione: Letta è stato la prosecuzione della linea equivoca del PD, pronto a infilarsi dietro ogni ipotesi governativa, ma alcune scelte avrebbero dovuto essere ponderate più attentamente, dalla costituzione del governo giallorosso, a quello di Draghi, al rapporto con i Cinquestelle, ai doppiogiochismi di Calenda e Renzi, all’apertura di un dialogo con i cespugli della estrema sinistra, non rappresentata solo da Fratoianni e Speranza. E soprattutto, proprio guardando a quest’ultima mancata apertura, al recupero di un’identità di sinistra ormai da tempo perduta. Solo che da questo orecchio ormai il PD non vuole più sentire niente. Come al solito il futuro congresso si concluderà con la scelta di un uomo e non con l’individuazione di temi sui quali orientare il lavoro politico e riconquistare il consenso della gente. Sullo sfondo la frase che il pittore Stefano Venuti dice a Peppino Impastato nel film “I cento passi”: “Noi siamo condannati a perdere perché ci piace essere divisi”.

Foto di copertina © Deb Photo

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