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Ospite alla festa del Fatto Quotidiano, l’ex magistrato ha raccontato i motivi che lo hanno condotto a candidarsi per il Senato

Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo, oggi in pensione, candidato al Senato alle prossime politiche con il Movimento 5 stelle ha spiegato le ragioni che lo hanno portato a questa scelta. “Se non ti occupi della politica, la politica si occupa comunque di te”. Il magistrato è intervenuto durante l’evento “La restaurazione a 30 anni dalle stragi” organizzato da “Il Fatto Quotidiano”, nel quale ha risposto alle domande del giornalista di mafia e giustizia Giuseppe Pipitone e a quelle di Gianni Barbacetto, giornalista d’inchiesta e autore di diversi libri come Mani sporche (2007) e Mani pulite (2012).
Per coerenza con il mio passato ho intenzione di fare con altri mezzi e in altri luoghi, la stessa cosa che ho fatto da magistrato: ‘difendere la democrazia e la legalità costituzionale in questo Paese’”, ha esordito Scarpinato, tra gli applausi del pubblico presente, inaugurando il dibattito sul palco della Casa del Jazz di Roma.
Ho deciso di accettare perché siamo in una situazione drammatica. Non avrei mai immaginato che saremmo arrivati al punto di dover ‘normalizzare’ il fascismo e la mafia - ha precisato l’ex magistrato -. Oggi in vetta ai sondaggi c’è un partito, Fratelli d’Italia, che ha tra le sue figure di riferimento Pino Rauti, un convinto e dichiarato fascista per tutta la sua vita, ha partecipato nel ‘65 al convegno sulla ‘strategia della tensione’, è stato tra i fondatori di ‘Ordine Nuovo’, di cui molti aderenti sono stati condannati con sentenza definitiva; tra questi, Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di Brescia.” - prosegue - “Come se non bastasse, è un partito (Fratelli d’Italia, ndr) che l’anno scorso ha dedicato all’interno dell’aula del Senato una commemorazione al Generale Gianadelio Maletti; al vertice dei servizi segreti e condannato con sentenza definitiva per aver depistato le indagini sulla strage di Milano. Inoltre - ha rimarcato Scarpinato -, Giorgia Meloni ha proposto di abolire la legge Mancino, legge che punisce l’istigazione al fascismo”.

Legittimare la cultura dell’omertà
Finalmente “libero” dai vincoli deontologici imposti dal precedente impiego, Scarpinato, con grande eleganza e profonda conoscenza delle vicissitudini relazionali tra lo Stato e la mafia, ha illustrato i vari indicatori che dimostrano la normalizzazione della mafia nel Bel Paese.
In Sicilia le candidature politiche vengono scelte da personaggi come Dell’Utri, condannato per essere stato il mediatore storico tra i tutti i capi della mafia e Berlusconi - ha sottolineato Scarpinato -; tra Cuffaro, condannato per favoreggiamento aggravato, Schifani e altri personaggi espressione di una borghesia mafiosa che ha condizionato gli equilibri politici nazionali”. Una normalizzazione che passa anche da segnali chiari di rassicurazione ai boss stragisti che, come i Graviano, “conoscono i nomi dei mandanti esterni delle stragi” oltre ai nomi di chi “ha preso l’agenda rossa di Paolo Borsellino”.
Uomini chiave che, oggi, in barba al lavoro e al sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pur non avendo fornito questo tipo di informazioni, grazie ad un nuovo “concept” della giustizia, possono nuovamente sperare di uscire dal carcere. Il tutto, grazie ad una classe dirigente che “non sopporta la Costituzione. Gli sta proprio sullo stomaco - ha sottolineato l’ex Procuratore -. Una classe dirigente che, avendo subito questa Costituzione fin dall’inizio, ha immediatamente iniziato la sua restaurazione”.

Una storia fatta di depistaggi
Tutta la storia italiana, dalla Strage di Portella della Ginestra a quelle del ‘92 e del ‘93 è segnata da stragi, e tutte hanno un unico denominatore: i depistaggi. Noi non possiamo conoscere la verità sulle stragi perché ci sono apparati dello Stato che hanno nascosto le prove e protetto i latitanti”. Con queste parole, Roberto Scarpinato, ha proseguito il suo intervento durante la “Festa del Fatto Quotidiano” a Roma.
Ad elisione di ogni dubbio, l’ex magistrato ha spiegato le analogie tra i depistaggi attuati nelle stragi degli anni ‘70 e ‘80 con quelli attuati nelle stragi del ‘92 e del ‘93. “La stessa tecnica, lo stesso protocollo operativo - ha spiegato Scarpinato -, sono stati riscontrati in tutte le stragi. Lo svuotamento della casa di Riina. Immagine che informazioni erano presenti”. E ancora: “Il furto dell’agenda di Borsellino. Esplode l’autobomba, arrivano gli uomini dei servizi che non guardano i feriti e nemmeno i morti perché devono prendere l’agenda rossa prima di creare il falso collaboratore”.
Una democrazia malata che, a beneficio di “qualcuno che da lassù vuole che si faccia rumore (parole emerse durante un’intercettazione telefonica a Leoluca Bagarella, ndr)”, ha utilizzato la mafia come strumento di governo, ha condizionato l’evoluzione della democrazia in Italia e, soprattutto, ha evitato che personaggi scomodi come Giovanni Falcone rivelassero segreti indicibili oltre che sconvenienti; anche a costo di sacrificare gli stessi operai della morte che, attraverso l’attentato a Paolo Borsellino a soli 57 giorni di distanza da quello consumato a Capaci, hanno prodotto un condizionamento legislativo tale da incentivare l’attuazione di misure concrete per il contrasto all’organizzazione mafiosa.

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