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Uno strano e inquietante spettacolo è andato in scena a Venezia 79, nella sala delle conferenze stampa della Mostra del Cinema: Oliver Stone, regista statunitense di fama mondiale, ha presentato fuori concorso, il documentario Nuclear, con lo scopo di convincere il pubblico della bontà dell’energia nucleare, ritenuta da lui l’unica opzione per combattere il cambiamento climatico grazie alla possibilità di sostituire i combustibili fossili. Il suo film, più che una visione complessa su uno dei temi che segnerà gli anni a venire, sembra più una grande farsa pubblicitaria, in cui il prodotto è presentato come ‘la cura per tutti i mali’, mentre chi lo contesta viene bollato come imbecille o 'manipolato'.
Il regista è arrivato a sostenere che i movimenti ambientalisti che dagli anni ’70 si stanno battendo contro il nucleare sono in realtà finanziati dalle compagnie petrolifere. Certamente alcune implicazioni possono essere accadute, ma non è motivo sufficiente per ridicolizzare l'impegno sociale di molti e lanciarsi in becere accuse e giudizi gratuiti.
Ma ad apparire ancora più raccapricciante è stata la soddisfazione con la quale Stone ha parlato delle nuove centrali nucleari in costruzione in giro per il mondo (Cina, India, Asia, America Latina e Africa) omettendo, volutamente, di parlare della forte preoccupazione per la centrale di Zaporizhzhia (la centrale nucleare con più elevata produzione elettrica in Europa e tra gli impianti di produzione di energia più grandi del mondo), al centro del conflitto tra Russia e Ucraina.
Ricordiamo che dopo giorni di attesa per l’esito della missione dell’AIEA alla centrale nucleare era finalmente stato pubblicato il rapporto finale delle ispezioni, avvenute sotto l’incalzare di bombardamenti giornalieri, che avrebbero potuto generare una catastrofe da un momento all’altro.
Il documento è tranciante: secondo il rapporto, i continui attacchi alle strutture sensibili della centrale potrebbero “danneggiare altri sistemi e apparecchiature critiche della stazione e portare a conseguenze più gravi, compreso il rilascio illimitato di materiali radioattivi nell'ambiente”.
Il regista ha continuato a sostenere la sua tesi, omettendo i punti più oscuri e puntando i riflettori sugli effetti "positivi" di chi il nucleare non l'ha mai abbandonato. Uno Stato su tutti la Francia con i suoi 56 reattori. Tuttavia è noto come la rete televisiva Artè abbia scoperto, con un documentario-inchiesta intitolato "Déchets: le cauchemar du nucléaire", dove andavano a finire delle grosse quantità di scarti nucleari transalpini. L'inchiesta, ripresa dal quotidiano Libération, aveva riportato che la Francia aveva stoccato in modo totalmente abusivo degli elevati quantitativi di scorie nucleari in Siberia. Ma ora, con la guerra in Ucraina, dove andranno a finire tutti quei rifiuti? E chi li smaltirà? La società a minor costo ovviamente, come le mafie, le quali sicuramente si presteranno a questo sporco affare.
Basti ricordare le ‘navi dei veleni’: ovvero navi cariche di rifiuti tossici affondate deliberatamente dalla criminalità organizzata per smaltire rifiuti pericolosi o radioattivi, per un periodo durato almeno dal 1979 al 2000, nelle acque italiane. Cosa nostra, ’Ndrangheta e camorra ne avevano organizzato e gestito il carico e l’affondamento.
Documenti desecretati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Alessandro Bratti, parlano di circa 90 affondamenti indicati con relative coordinate, carico, dati dell’armatore, percorso e motivi apparenti del naufragio. Monitorando il mare calabrese (il più colpito nella vicenda), la Capitaneria di Porto nel 2011 aveva invece censito 288 relitti. Agli affondamenti vengono poi collegati i casi di alcune morti “eccellenti”, come quelli della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin e di Natale De Grazia, un ufficiale della Capitaneria di porto morto in circostanze misteriose mentre era in viaggio verso La Spezia per vicende collegate alla nave “Rigel”.
Ci sono poi i documenti della commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, quella presieduta da Gaetano Pecorella, con numerosi dossier dei servizi esterni: un buon numero di fascicoli riguarda il rapporto tra il collaboratore di giustizia Francesco Fonti (il pentito di ‘Ndrangheta che aveva raccontato di aver affondato almeno tre navi cariche di rifiuti al largo delle coste calabresi) e i servizi segreti o “soggetti in rapporto coi servizi”.
Ma questi sono solo alcuni degli elementi che Stone, o chi per lui, ha preferito omettere dalla sua favoletta impregnata di negazionismo e minimizzazione anche su Chernobyl, Fukushima e altri disastri nucleari.
Per lui ci sono stati solo qualche decina di morti in Russia, nessuno in Giappone (furono terremoto e tsunami a provocare vittime) e negli Stati Uniti (lì gli impianti di sicurezza funzionarono come a Fukushima). Forse chi ha scritto il copione ha pensato bene di non mettersi contro le versioni ufficiali dei governi, i quali hanno sempre preferito minimizzare i danni. Del resto a Chernobyl si continua a morire, anche se non lo si può dire. Ufficiosamente si parla di 25 mila-30 mila morti, poi a mezza bocca si arriva a 65 mila. Il risultato degli studi di Gior Beliavski, ecologo che studia i problemi di Chernobyl, portano ad una stima di 150 mila vite perdute. Soprattutto giovani vite, una generazione di bambini e ragazzi nell’età dello sviluppo che sono stati raggiunti dal vento di Chernobyl.
Ma anche per Fukushima la situazione è drammatica: il Giappone ha territori in cui sarà impossibile vivere per oltre 100 anni. Inoltre le zone più vicine alla centrale stanno vivendo una pandemia di cancro e la popolazione adulta, fortemente radicata nelle proprie tradizioni, sta cercando di tornare alle proprie case nonostante le conseguenze. Pertanto, c'è da aspettarsi che la situazione sanitaria, a causa della mancanza di controlli sulla popolazione e sul cibo in Giappone, peggiori.
Come se non bastasse l’azienda che gestisce l’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), nel 2017 aveva annunciato che le rilevazioni atmosferiche avevano raggiunto l’incredibile soglia di 530 sievert (unità di misura per le radiazioni) per ora. I dati sono stati registrati all’interno del guscio di contenimento del reattore numero 2 e avevano superato di gran lunga qualsiasi rilevazione precedente, tanto che alcuni esperti li hanno definiti “inimmaginabili”. Immediatamente dopo il disastro, le radiazioni era state valutate in 73 sievert per ora. Una dose di 4 sievert è mortale nel 50% dei casi, mentre una di 6 sievert uccide qualsiasi essere vivente nel giro di poche settimane.
E poi ancora: è falso affermare che non c’è stato nessun incidente nucleare negli Stati Uniti. L’incidente di Three Mile Island, avvenuto nel marzo 1979, è considerato ancora oggi il peggiore della storia americana. E a pagarne le conseguenze è sempre stata la Terra: 189 tonnellate di acqua contaminata anche da prodotti di fissione, sono state rilasciate nell’edificio ausiliario della centrale, che era in contatto con l’ambiente esterno.
Sono fatti incontrovertibili, scritti nero su bianco.
In sostanza, invece di sfruttare questa occasione per far riflettere e ripensare il sistema produttivo che ha dato vita alle scorie radioattive per migliaia di anni, Oliver Stone, un tempo grande regista, ha fatto poi un'affermazione in pieno stile yankee: "Le leadership politiche sono codarde perché seguono il volere dei cittadini, che spesso non sanno molto in materia".
Che fine ha fatto la democrazia? Dov'è finito il rispetto della volontà popolare?
Non è necessario ribadire che è ovvia la necessità di un cambiamento nel campo della produzione di energia, ma è altrettanto ovvio che esso non può passare per il nucleare, poiché a farne le spese, alla fine, sono sempre i popoli più deboli. Quelli che, per essere chiari, 'accolgono' le nostre scorie.
Ma di certi temi, del resto, non si deve parlare. Forse su quel palco non c’era veramente Oliver Stone, ma le tante aziende del nucleare (come la francese Areva, le americane General Electrics e Westinghouse, le giapponesi Toshiba e Hitachi) che stanno spingendo per colmare il vuoto energetico provocato dalla crisi del gas. C’è poco da aggiungere: se c’è un ‘pupo’ (Oliver), deve esservi anche un ‘puparo’.

Foto: it.depositphotos.com

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