Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

L'intervista all'ex procuratore generale di Palermo su 'Il Fatto Nisseno'

Giustizia, pnrr, politica che si occupi del sociale, lavoro e prospettive per i giovani. Sono questi alcuni degli argomenti trattati dall'ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato in un’intervista di Fiorella Falci su 'Il Fatto Nisseno'.

Scarpinato aveva già detto che uno dei motivi della sua candidatura era per opporsi al "ritorno della politica dei clan".

"Ho accettato la candidatura per dare il mio contributo su questi temi di rilevanza nazionale che sono strettamente connessi alla questione sociale. Sino a quando non ci libereremo dell’azione e dell’alleanza nefasta di clan mafiosi, di comitati di affari, di lobbies di potere e di malapolitica, non riusciremo a tirare fuori l’isola dalle secche in cui è precipitata, e a riprendere in mano il nostro destino". "Come ho già detto in altre occasioni - ha continuato - tanti studiosi concordano nel diagnosticare che siamo entrati in una fase recessiva della democrazia. Alcuni parlano di un fenomeno di progressivo e sotterraneo ritorno alla politica dei clan. Venuti meno i grandi progetti collettivi, prevalgono gli egoismi personali e di gruppo". Al fine di opporsi a questo occorre dare "piena attuazione al patto sociale indicato dalla Costituzione del 1948. Una Costituzione che per il suo impianto democratico antioligarchico e antiautoritario, è entrata da tempo nel mirino delle forze più reazionarie del paese che la vivono come un ostacolo ai loro progetti di ritornare al passato precostituzionale, ridando vita ad una società piramidale nella quale tutto il potere politico ed economico si concentra nelle mani di ristrette oligarchie e il popolo torna ad essere soggetto passivo della storia, come era ai primi del Novecento". "La contesa politica reale si va riducendo ad una competizione tra clan sociali, cordate di potere, gruppi di interessi, ristrette oligarchie legali, illegali, spesso una via di mezzo – interessati solo a spartirsi in un modo o in un altro le risorse collettive. Insomma un gioco tutto interno ai palazzi del potere nei quali vince l’una o l’altra cordata, ma comunque il cittadino comune perde sempre perché è fuori dai giochi.

In questo contesto i clan sociali di più antica esperienza e più spregiudicati come le mafie, le massonerie occulte, i comitati di affari trovano modo di compenetrarsi nel sistema, normalizzandosi".

Mafia e corruzione
"Mafia e corruzione sono due forme di parassitismo sociale corresponsabili del declino economico del paese e del rischio di una cronicizzazione del sottosviluppo in Sicilia. Sono entrambe manifestazioni criminali che chiamano in causa la responsabilità di significativi settori delle classi dirigenti. La lezione della storia e gli esiti di tanti processi dimostrano che l’asse portante del sistema di potere mafioso è sempre stata la c.d. borghesia mafiosa e paramafiosa. Si tratta di un variegato campionario di colletti bianchi appartenenti ai mondi della politica, dell’economia, delle professioni che grazie, al metodo mafioso, hanno costruito carriere politiche, fortune economiche e posizioni di privilegio, arricchendosi sulle spalle dei cittadini onesti. La corruzione – che non a caso va a braccetto con la mafia – ha sottratto e continua a bruciare ogni anno miliardi di euro di risorse pubbliche che invece di essere destinate ai servizi sociali essenziali, vengono dirottati nelle tasche di tanti disonesti. Miliardi di euro divorati dalla corruzione equivalgono a tagli di posti letto negli ospedali, delle aule scolastiche, a tagli delle pensioni etc".

A ciò si aggiunge la depenalizzazione di quei reati proprio legati ai colletti bianchi: "dopo la stagione di Tangentopoli e di Mafiopoli che ha portato alla condanna di tanti 'intoccabili', è iniziata una stagione di regolamenti di conti del mondo del potere nei confronti della magistratura. In questi ultimi anni si stanno facendo molti passi indietro. Da una parte si smantella progressivamente la legislazione antimafia introdotta dopo le stragi del 1992 e del 1993 che aveva consentito allo Stato di ottenere straordinari successi, dall’altra si approvano e si annunciano nuove leggi finalizzate a sottoporre la magistratura al controllo del mondo politico e garantire così l’impunità di coloro che occupano i piani alti della piramide sociale".

Il tema del lavoro e della disoccupazione giovanile
"I giovani tra i 15 e i 34 anni - ha detto Scarpinato - le donne, gli abitanti del sud sono quelli più penalizzati da una serie di riforme adottate dalla metà degli anni ’90 il cui scopo era di introdurre flessibilità nel mercato del lavoro per portare maggiore occupazione e aumento della produttività: dal pacchetto Treu del 1996 al Jobs Act del 2015, passando per la legge 30/2003, la riforma Fornero, il decreto Poletti. Queste riforme non solo hanno fallito i loro obiettivi perché la produttività è rimasta stagnante e gli investimenti non sono aumentati, ma hanno avuto gravi ricadute sociali negative. Hanno trasformato la flessibilità in precarietà lavorativa ed esistenziale, hanno svuotato progressivamente le tutele dei lavoratori ed hanno contribuito all’aumento delle disuguaglianze di reddito. Il lavoro a tempo indeterminato retribuito con paghe dignitose è stato sostituito da lavoretti precari sottopagati privi di tutele".

Lavoro precario, ha continuato "significa che i nostri giovani non possono elaborare un progetto di vita sicura, avere una sicurezza economica che consenta di avere figli e creare una famiglia, attivare un mutuo per la casa, avere la certezza di una pensione. Il futuro invece di essere una promessa diventa una minaccia e il presente una gara sfibrante di sopravvivenza".

È necessario quindi "modificare il Jobs Act, partendo dalla revisione del regime generale del licenziamento sia individuale che collettivo recependo i principi garantisti fissati dalla Corte costituzionale". "Occorre progettare un sistema in grado di offrire più opportunità, nuove tutele, più sicurezza, migliorando l’efficienza dei servizi di istruzione, orientamento, formazione e professionalizzazione; offrendo un congruo sostegno al reddito, ai tempi della formazione e ai tempi della professionalizzazione; dando vita ad un welfare pubblico adeguato alle nuove esigenze".

La Sicilia
Secondo il magistrato "vi è una grave responsabilità della classe politica isolana. Durante tutto il lungo periodo della c.d Prima Repubblica migliaia di miliardi di fondi statali invece di essere investiti per promuovere lo sviluppo economico e creare occupazione, sono stati in parte oggetto di sistematica predazione spartitoria da parte di cordate di potere, di gruppi di interesse e di lobbies, come è stato accertato in tanti processi penali. E in parte sono finiti nel buco nero dello sperpero clientelare e del voto di scambio, sono stati cioè utilizzati per finanziare enormi clientele che offrivano la propria fedeltà elettorale in cambio di favoritismi della più diversa specie. Ad un certo punto 'la festa è finita' - si legge su 'Il Fatto Nisseno' - A seguito dell’adesione dell’Italia al Trattato di Maastricht che ha imposto rigorosi vincoli di bilancio, e alle politiche di austerity che hanno determinato una rilevante riduzione della quota di fondi pubblici destinati al Sud, la vecchia classe politica ha perduto la sua “bacchetta magica” e, incapace di rinnovarsi, ha progressivamente perduto significative quote di consenso non essendo più in grado di dare risposte ai problemi dell’isola".

"Dall’ultimo rapporto Eurostat, risulta che la Sicilia, con un tasso di occupazione del 41 per cento, è tra le cinque regioni europee che registrano i dati peggiori insieme a Campania, Calabria, Puglia e alla Guyana francese. Nel 2021 il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno è cresciuto di 196 mila unità, pari al 12 per cento della popolazione. In Sicilia le persone a rischio povertà sono il 38 per cento, ponendo l’Isola sul podio delle regioni più in sofferenza".

Fonte: ilfattonisseno.it

Foto © Paolo Bassani

ARTICOLI CORRELATI

Elezioni 2022: contro la ''clanizzazione'' della politica si candida Roberto Scarpinato

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos