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L’Urss cadde. Ma poteva essere riformato

"Questa notte, dopo una grave e prolungata malattia, Mikhail Sergeyevich Gorbaciov è morto". Così il Central Clinical Hospital della Russia ha annunciato la dipartita, all'età di 91 anni, del primo, vero e ultimo presidente dell'Unione Sovietica.

Il leader 'riformatore' sarà sepolto nel cimitero di Novodevichy a Mosca, in una tomba accanto alle spoglie della moglie Raísa, ha riferito l'agenzia Tass, citando una fonte vicina ai parenti del defunto.

Amico del compianto giornalista Giulietto Chiesa e uomo di grande intelligenza, Gorbaciov aveva contribuito alla trasformazione dell'intero panorama politico internazionale.

Appena salito al potere (11 marzo 1985) aveva annunciato che il suo obiettivo principale erano le riforme, un concetto che in poco tempo aveva fatto il giro del mondo e che aveva preso il nome di "perestrojka". Il termine, letteralmente significa 'ricostruzione' ed era pensato dal leader sovietico come la "continuazione della Rivoluzione d'Ottobre", che però aveva finito per porre fine a un esperimento sociale senza precedenti: l'utopico progetto comunista.

La rivoluzione politica della perestroika lanciata da Gorbaciov ha senza dubbio trasformato radicalmente la società sovietica, lasciato la sua impronta sull'evoluzione globale successiva e permettendo alla Russia di rientrare nella storia mondiale, abbattendo i muri della fortezza assediata eretti da un regime repressivo.

Ma oltre a questo a lui vanno sicuramente riconosciuti altri meriti: la firma dei primi trattati sul disarmo nucleare (8 dicembre 1987 e 31 luglio 1991), la fine della campagna sovietica in Afganistan (15 febbraio 1989), la decisione di non interferire nei paesi del Patto di Varsavia a seguito della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e la fine della Guerra Fredda (26 dicembre 1991).

Non mancarono i tradimenti sia interni che esterni all'Unione Sovietica.

Dopo sei anni di cambiamenti, la gente era impaziente di raccogliere i "dividendi" della democrazia anche nella vita di tutti i giorni, ma la crisi economica aveva aggravato lo scontro tra riformisti radicali e conservatori. All'apice di quella transizione i partner occidentali di Gorbaciov non avevano voluto condividere con l'Urss i "dividendi di pace" che dovevano alla perestroika e all'inattesa fine della Guerra Fredda. Gorbaciov aveva supplicato due volte i leader del G7, ai vertici di Houston e Londra, di aiutare l'economia russa nella fase di radicale trasformazione, ma le sue richieste erano state respinte, in quanto non "redditizie".

Il 17 marzo 1991, in un referendum, il 76,4% di tutti gli elettori votarono per il mantenimento dell'Unione Sovietica in una forma riformata. Paesi baltici, Armenia, Georgia e Moldavia boicottarono il referendum.

I nemici interni nel mentre, avevano iniziato a muoversi. Dopo un fallito colpo di Stato ad opera dei conservatori, l'8 dicembre 1991, Boris Nikolaevič El'cin e le sue controparti ucraine e bielorusse si erano incontrati alle spalle di Gorbaciov nella foresta di Belovezha (Bielorussia): qui avevano firmato un trattato che certificava la loro scissione dall'Urss e che istituiva al suo posto la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).

Il 25 dicembre 1991, Mikhail Gorbaciov si era dimesso ufficialmente dalla carica di Presidente dell'Unione Sovietica.

Dopo di ciò la Bandiera Rossa era stata abbassata, in un lugubre silenzio, dall'asta della bandiera del Cremlino.

Al suo posto, il tricolore della Federazione Russa. Un Paese ora in guerra con il vicino Stato ucraino e che potrebbe portare a quel confitto finale di cui il defunto presidente sovietico, assieme e Giulietto Chiesa, avevano parlato diverse volte.

Foto © Imagoeconomica

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