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Il magistrato a commento della sentenza d’Appello del processo sulla trattativa Stato-mafia

Con la mafia è impensabile che lo Stato possa ammettere di coabitare. E’ inaccettabile, qualunque sia la dimensione dalla quale essa espleta la sua attività principale”. A dirlo è il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, intervistato da Alberto Castiglione in merito alla recente pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo sulla trattativa Stato-mafia nella quale i giudici hanno accertato l’esistenza della trattativa del Ros con i boss di Cosa nostra precisando che fu un’iniziativa “improvvida” ma a fin di bene “per sventare una minaccia in atto”. Una conclusione che ha trovato non poche contestazioni da parte dei magistrati che hanno seguito il dibattimento, ma anche da parte dei parenti di vittime di mafia, giornalisti e società civile. Lo stesso Nino Di Matteo, membro del pool di pm del processo di primo grado e collega di Ardita a Palazzo dei Marescialli, ha detto giorni fa che la sentenza potrebbe “essere letta come una legittimazione a dialogare con la mafia, che faccia passare l’idea che con la mafia si può convivere". Una posizione che coincide con quella del magistrato catanese. “Il concetto di coabitazione con la realtà mafiosa, che è l’espressione che più ha fatto discutere in questi giorni, è un concetto molto rischioso”, ha detto Ardita sottolineando che “le sentenze hanno lo scopo fondamentale di orientare i comportamenti dei cittadini”. “Dal punto di vista sociale e culturale - ha continuato Ardita - la mafia è un fenomeno diffusissimo nella realtà del territorio ma prima di essere un reato è un modo di intendere i rapporti fra pubblico e privato, è un modo di intendere la funzione pubblica medesima fra le persone, il rispetto delle regole. La mafia è una realtà con cui facciamo i conti tutti, ci conviviamo con questo mondo, ma noi conviviamo con la realtà sociale e sub-culturale della mafia”, ha precisato il consigliere togato. “Ci conviviamo perché sentiamo il bisogno di combatterla, di contrastarla, di superare la dimensione reale di cacciare fuori dai nostri ambienti la cultura mafiosa. Lì siamo costretti a coabitare con la cultura mafiosa. Ma quando noi parliamo di un’organizzazione di tipo militare che però ha un atteggiamento meno violento nei confronti dello Stato, noi non possiamo conviverci”, ha affermato. “Perché è una realtà - ha aggiunto - che per poter esistere e svolgere la sua funzione, viola i diritti dei cittadini, sparge sangue, provoca dolore e morte o comunque inquina i rapporti sociali. Noi non possiamo coabitare con una realtà criminale organizzata, possiamo e dobbiamo convivere combattendo con la cultura mafiosa perché purtroppo fa parte di questi territori, ma fa parte in questo momento di un costume nazionale. In ogni realtà istituzionale ci sono comportamenti di tipo mafioso purtroppo, perché c’è gente che non comprende il senso della democrazia e abusa dei propri strumenti, incluso chi vorrebbe affermare verità e giustizia in certe situazioni”, ha concluso.

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