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L’attivista John Mpaliza: "Video documentano delitti atroci"

Lo scorso martedì 9 agosto il segretario di Stato Americano Antony Blinken ha dichiarato che Washington è “molto preoccupata” per i rapporti “credibili” secondo cui il Ruanda avrebbe fornito sostegno ai ribelli dell’M23 (gruppo ribelle Movimento 23 Marzo, ndr) nella vicina Repubblica Democratica del Congo.
Le dichiarazioni di Blinken, riprese dall’agenzia Reuters, si aggiungono a quelle del ministro degli Esteri Christophe Lutundula che, nei giorni precedenti, ha chiesto che “il portavoce della Monusco Mathias Gillmann lasci il territorio congolese il prima possibile. La presenza di questo funzionario sul territorio nazionale non favorisce un clima di reciproca fiducia e di serenità così indispensabile tra le istituzioni congolesi e la Monusco”.
Sempre nei giorni scorsi, tramite Radio France Internationale Gillmann fa sapere che MONUSCO (missione dell’ONU volta alla stabilizzazione del Congo dal ’99, ndr) “non dispone di mezzi militari adeguati a far fronte al gruppo armato M23”; questo mentre il 26 Luglio a Goma e il 31 Luglio a Kasindi, i militari dell’ONU aprivano il fuoco ad altezza uomo colpendo i manifestanti che organizzavano una rappresaglia contro gli stessi militari. Al momento le vittime degli scontri sarebbero 32 manifestanti e quattro Caschi Blu.

Ombre sulla missione ONU in Congo
Secondo alcune indiscrezioni rese note dal quotidiano TPI, in un articolo a firma della giornalista Cecilia Capanna, tra i motivi che avrebbero scatenato la rappresaglia avvenuta a Kasindi ci sarebbe il rifiuto dei Caschi Blu di registrarsi alla frontiera. Un tentativo, forse, di nascondere qualcosa o qualcuno presente all’interno dei loro mezzi blindati.
A conferma del malcontento popolare dovuto alla presenza dei militari dell’ONU sul territorio congolese, la giornalista ha raccolto le dichiarazioni di John Mpaliza, ingegnere informatico e attivista italo-congolese presente in Italia da 28 anni.
Ho dovuto chiedere una tregua a chi mi manda i video che documentano delitti sempre più sanguinosi e atroci nel mio paese. Molti non posso neanche mostrarli alla mia compagna. È assurdo che la stampa generalista non parli di quello che succede in Congo. Ma è abbastanza eloquente che la RAI non abbia più inviati nel sud del mondo, soprattutto nell’Africa subsahariana - ha sottolineato Mpaliza -. Per avere informazioni bisogna passare da Al Jazeera e pochi altri. Molti vescovi continuano a denunciare le occupazioni dei territori del Congo orientale da parte di gruppi ruandofoni che tentano di sostituirsi alle popolazioni originarie. Ne denunciano i massacri, le case bruciate, gli stupri come arma di guerra. Ma nessuno li ferma”. Nonostante gli scontri che vedono i Caschi Blu sparare proiettili veri contro i manifestanti, i principali finanziatori dell’ONU – gli Stati Uniti -, hanno ribadito la necessità della presenza dei militari delle Nazioni Unite sul territorio congolese garantendo per questo altri stanziamenti per i prossimi 15 anni.

Gli interessi in gioco
I teatri degli scontri avvenuti tra la popolazione di Goma, Kasindi, Butembo, Kanyabaonga (Nord Kivu) e Uvira (Sud Kivu) e le forze militari dell’ONU, hanno tutti un unico comune denominatore, la presenza di risorse quali: oro, diamanti, petrolio, gas naturale, coltan (utilizzato per la produzione dei chip di nuova generazione) e uranio, con il quale gli Stati Uniti hanno prodotto la prima bomba atomica lanciata sulla popolazione di Hiroshima e Nagasaki in un momento dove, è bene ricordare, il Giappone era militarmente sconfitto.
A questo, come ha sottolineato il giornalista Roberto Savio all’interno dell’editoriale di TPI, si aggiunge un altro problema di cui purtroppo si parla veramente poco: “Non tutti i Paesi aderenti all’ONU hanno ratificato gli accordi per cui il Tribunale dell’Aia ha autorità nel loro territorio. Si parla moltissimo dei crimini di guerra di Putin in Ucraina - ha precisato Savio -. Lo stesso Biden punta il dito ma, né Russia, né Ucraina e tantomeno gli Stati Uniti riconoscono il Tribunale dell’Aia; nemmeno la Cina. In pratica tre su cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, oltretutto, i più influenti”.
Una circostanza anomala che potrebbe spiegare i motivi dei conflitti mai risolti nella Repubblica Democratica del Congo e del perché, nonostante i crimini perpetrati dalle forze dell’ONU contro la popolazione locale, queste debbano rimanere sul territorio ed essere finanziate.

L’albero della morte
Pierre Kabeza
, rifugiato politico congolese in Italia, ai microfoni della giornalista Cecilia Capanna, ha spiegato in modo chiaro ed esaustivo la crisi del Congo. “Possiamo rappresentare questa guerra come un albero nella foresta - ha detto -. Le radici sono nascoste, sono sottoterra, non si possono vedere, sono le multinazionali e dietro di loro i grandi paesi come USA, Israele, Inghilterra, Europa. Le radici alimentano il tronco che è visibile da vicino e comprende tutti i paesi vicini al Congo: Ruanda, Uganda, Burundi, Angola. I rami e le foglie si vedono anche da lontano e sono i gruppi armati che si fanno la guerra tra di loro e vengono alimentati dal tronco. Tutte le parti poi sono nutrite dalla linfa: gli interessi economici”.
Come dicevamo, l’uranio delle bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki fu prelevato dagli Stati Uniti nella Repubblica Democratica del Congo, precisamente nella provincia del Katanga. L’attività è proseguita con il dittatore Mobutu Sese Seko, successore del primo ministro assassinato Patrice Lumumba, questa volta per cercare il coltan che, come ha precisato John Mpaliza nell’intervista con la giornalista Capanna, sarebbe “fondamentale per la tecnologia e strategico per il Pentagono”. In questo scenario di sfruttamento del territorio e della popolazione che vi abita, la globalizzazione ha fatto il resto. “Nelle miniere sono stati impiegati i bambini, almeno quelli che non sono diventati ‘Kadogo’ (in swhaili “i piccolissimi”, ndr) ovvero i bambini-soldato - ha spiegato Mpaliza -. Da quel momento è iniziato lo sfruttamento del sottosuolo e il tentativo di balcanizzazione del Paese”. “Per questo noi congolesi pensiamo che l’invasione del Congo da parte del Ruanda con Uganda e Burundi non sia stato un fatto casuale. Si è trattato di un qualcosa di pianificato che ha compreso i massacri in Ruanda e anche quelli in Congo. Si stima che i congolesi uccisi ad oggi siano 10 milioni”, ha proseguito.
In questo scenario fatto di violenze e saccheggi perpetrati dall’occidente ai danni della Repubblica Democratica del Congo, alle Nazioni Unite era stato affidato il compito di salvaguardare e monitorare le attività di sopraffazione e sfruttamento, raccogliendo il tutto all’interno di un dossier, il cosiddetto “Mapping dell’ONU”, da sempre rimasto inutilizzato dai paesi occidentali che, per interesse, favoriscono una giustizia formale e mai sostanziale.

L’embargo di parte e la schizofrenia europea
Proprio nei territori in cui hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, da molti anni soggetti all’embargo sulle armi per meglio contrastare i conflitti in corso, approdano notevoli quantitativi di armi occidentali, probabilmente compatibili con quelle utilizzate dall’M23. Tra i paesi che si fanno beffa dell'embargo anche l’Italia che, attraverso l’azienda Leonardo, il cui maggiore azionista è il Ministero dell'Economia e delle Finanze italiano, avrebbe venduto elicotteri militari all’esercito dell’Uganda. Si tratta di vicende non rare, finite anche al centro di un’interrogazione parlamentare europea del 2006. La stessa Europa che, con 1,2 miliardi di euro, ha finanziato ben 19 progetti della stessa Leonardo per i settori relativi all’elettronica, ai velivoli, alla cyber security e, ovviamente, agli elicotteri. Infatti, come ha sottolineato la stessa azienda: “I progetti a cui Leonardo partecipa si sono aggiudicati oltre il 50% dei fondi europei per il WP 21 - prosegue - con 36 progetti finanziati, l'Italia si posiziona subito dopo Francia, Spagna e Germania”. Un dato, quello dell’export militare italiano, evidenziato anche da Rete Italiana Pace e Disarmo che sottolinea come, in 30 anni, l’Italia sia stata protagonista indiscussa nella vendita di armi per quasi 100 miliardi, la maggior parte delle quali vendute in territori esterni sia all'Unione Europea che alla Nato. Insomma, in barba alla Costituzione Italiana, il profitto viene prima di tutto. Un concetto triste che si spiega bene citando Mastrota: “L’Italia ripudia la guerra ma non gli affari”.
(Prima pubblicazione: 11 Agosto 2022)

Foto: it.depositphotos.com

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