Tremila pagine per spiegare perché sono state assolte le istituzioni e condannati solo i mafiosi
Dopo quasi un anno dalla sentenza emessa lo scorso 23 settembre 2021 dalla Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Angelo Pellino e da Vittorio Anania, questa mattina sono state depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Trattativa Stato-mafia.
La sentenza emessa dalla Corte d’Appello aveva disposto l'assoluzione dell'ex senatore Marcello Dell'Utri (“per non aver commesso il fatto”), dell'ex capo del Ros, il generale Mario Mori, del generale Antonio Subranni e dell'ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato, con la formula “il fatto non costituisce reato”. Inoltre, aveva anche ridotto la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella e confermato quella per il medico-boss Antonino Cinà. Con la sentenza di settembre, la Corte dunque ha ribaltato il giudizio del maggio 2018 con cui in primo grado (cinquemila pagine) erano stati condannati a 28 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella, a 12 anni Dell'Utri, Mori, Subranni e Cinà.
È noto che ci fu una trattativa tra uomini delle istituzioni ed esponenti di vertice di Cosa nostra, come confermano entrambe le sentenze. Ora non resta che capire perché per la Corte d’assise d’Appello costituisca reato solo per i mafiosi e non per gli uomini di Stato. E quindi leggere come sono stati ricostruiti i fatti nelle tremila pagine depositate questa mattina.
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