Sale il rischio di estinzione della pena per mancata esecuzione
A marzo era stato estradato il narcotrafficante Raffele Imperiale. Poi, a luglio, è stata la volta di pericolosi criminali come Rocco Morabito e Raffaele Mauriello.
Risultati importanti ottenuti dopo anni di attesa e lunghe trattative.
Un tira e molla che ha visto l'Italia interloquire con il Brasile (dove Morabito è stato arrestato dopo la fuga dall'Uruguay) e, per i due camorristi, con gli Emirati Arabi.
Un Paese, quest'ultimo che per lungo tempo è stato 'zona franca' per i delinquenti italiani che vogliano sottrarsi alla giustizia del nostro a Paese.
Ma lo Stato non può certo gioire o accontentarsi perché sono ancora molti i latitanti che girano liberi. E non parliamo solo del boss superlatitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, o del capomafia di Pagliarelli, Giovanni Motisi.
Ci riferiamo all'ex parlamentare Amedeo Matacena, figlio dell'omonimo imprenditore calabrese noto per aver dato inizio al traghettamento degli scafi nello Stretto di Messina.
Nonostante sia ancora ricercato dalla giustizia italiana, condannato in via definitiva nel 2013 a cinque anni e quattro mesi (ridotti in Cassazione a tre anni nel 2014) di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, Matacena gira ancora per le strade di Dubai da uomo libero, sebbene tra i nostri Paesi siano stati firmati accordi bilaterali di estradizione e di assistenza giudiziaria, firmati ad Abu Dhabi nel 2015 ed entrati in vigore nell'aprile 2019.
Accordi, quelli Italia ed Emirati, che consentono l'estradizione solo per reati riconducibili all'associazione mafiosa, agli omicidi e al traffico di droga, non prevedendo invece altre fattispecie, a cominciare dall'associazione esterna in concorso mafioso.
Uno scandalo indecente per un Governo che da anni tace ed evidentemente acconsente sul punto.
Sappiamo che l'ultima richiesta di estradizione ufficiale, dopo le firme dell'accordo, sarebbe quella del novembre 2020, ovvero il giorno dopo una videoconferenza “tecnica” tra i due Paesi per la “verifica dell'andamento della cooperazione giudiziaria bilaterale”.
Nulla più. Eppure quello di Matacena non è un nome di poco conto non solo perché eletto per due volte in Parlamento, tra il 1994 ed il 2001, nelle file di Forza Italia.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna i giudici di Cassazione evidenziavano come "evidentemente non si può stringere un 'accordo' con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal “pizzo”)". Del suo ruolo hanno riferito diversi collaboratori di giustizia. Addirittura c'è stato chi, come Pasquale Nucera, legato alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, ha descritto una riunione svoltasi al santuario della Madonna di Polsi il 28 Settembre del 1991, in cui erano presenti rappresentanti delle mafie e anche di altre organizzazioni. Una testimonianza agli atti del processo 'Ndrangheta stragista. Ebbene in quell'incontro si sarebbe discusso della necessità di azzerare la classe politica italiana che non dava più affidamento, e si sarebbe pianificata la strategia stragista oltre all'evocazione del “partito degli uomini” come nuova forza politica prossima ventura. E tra i presenti vi sarebbe stato proprio il giovane Matacena.
Accuse estremamente gravi.
Dopo la sentenza di condanna, è noto che Matacena è scappato negli Emirati Arabi Uniti.
Inchieste successive, condotte dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, evidenziarono l'esistenza di una rete internazionale che si mosse per agevolare quella fuga.
Secondo la Dda di Reggio Calabria la stessa rete internazionale che aveva aiutato l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, a rifugiarsi in Libano nel 2014, dopo la condanna di quest’ultimo a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. A differenza dello storico fondatore di Forza Italia, però, Matacena è riuscito a restare libero.
Tra i personaggi accusati di avere favorito la fuga dell’ex forzista c’è anche l’ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola che è stato condannato a due anni, in primo grado, proprio per questa vicenda nell’ambito del processo Breakfast.
E in quel procedimento anche la ex moglie di Matacena, Chiara Rizzo, è stata condannata ad un anno (escluse le aggravanti e riconosciuta l'attenuante), mentre è stata riconosciuta l'intervenuta prescrizione per un altro capo di imputazione.
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo © Emanuele Di Stefano
Il tris 'antiestradizione'
Ad oggi, nei confronti di Matacena, secondo la Dda di Reggio, sussistono ancora i presupposti per l’arresto e l’estradizione del latitante. A darne notizia è stato nei giorni scorsi L'Espresso.
Ovviamente i legali difensori della famiglia Matacena, così come riportato nell'articolo, parlano dell'avvicinarsi della prescrizione, come se la stessa possa cancellare con il “bianchetto” fatti ed evidenze emerse.
L'avvocato Enzo Caccavari, ha replicato per iscritto su il settimanale che è ancora pendente il ricorso di Matacena contor la condanna nei suoi riguardi, alla Corte europea di Strasburgo.
Nel frattempo l'ex parlamentare passeggia liberamente. E con una certa arroganza ogni tanto appare in qualche trasmissione televisiva, non solo dichiarandosi innocente, ma anche annunciando l'ormai prossima assoluta libertà.
Perché è proprio questo il rischio più grande. Secondo i calcoli fatti dallo stesso Matacena, sarebbe già “libero” dal giugno di quest'anno.
Secondo altri calcoli, però, la pena sarà estinta solo nel 2023, ovvero dopo 10 anni di mancata esecuzione.
Certo è che il caso Matacena, ad oggi, è un vero scandalo per la Giustizia italiana e la Ministra Cartabia non appare affatto imbarazzata.
Nel maggio 2021, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare presentata dai deputati Pd Bazoli e Varini, senza entrare nel merito nonostante l'esplicito riferimento ai condannati per concorso esterno fatto dai due onorevoli, si era giustificata addossando le colpe più alla controparte emiratina parlando in maniera generica di “difetti dal punto di vista formale” come “l'incompletezza della traduzione in arabo dei documenti di estradizione, oppure la mancanza, su una parte di questa documentazione, dell'apposizione di timbri in conformità delle copie originali”. O ancora la “richiesta, che a noi appare spesso pretestuosa, di informazioni supplementari, di approfondimenti, di dati identificativi ulteriori rispetto a quelli già forniti”.
L'estradizione che non s’ha da fare
In soldoni più passa il tempo e più aumenta rischio che la giustizia italiana venga beffata.
Lo scorso novembre, intervistato da Report, Matacena aveva affermato trionfante: “Se lo Stato italiano non riesce a farmi espletare la pena entro giugno 2022, decade la pena. Ma non tornerò a vivere in Italia, non vi preoccupate, non è mio interesse”.
Se davvero dovesse estinguersi la pena sarà davvero una sconfitta per l'Italia onesta. E la responsabilità dovrà essere condivisa da tutti i governi che sono stati incapaci di far valere in maniera chiara e netta il proprio diritto.
Per molti anni la questione degli accordi sull’estradizione con gli Emirati Arabi è stata sui tavoli dei ministri della Giustizia, anche su quello dei 'migliori'.
Ma il risultato è stato sempre lo stesso: un nulla di fatto.
Rielaborazione grafica by Paolo Bassani
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