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Il graffito è apparso il giorno prima del trentennale della strage di via d’Amelio. 26 i 41 bis reclusi nel carcere umbro

A Terni, in Umbria, è apparsa qualche giorno fa una scritta che ha dell’inquietante per il mondo dell’antimafia: “No 41bis”. Il graffito, di un vivo arancione, è stato fatto su un muro nei pressi di Corso del Popolo, nel centro della città che ospita una delle carceri di massima sicurezza più importanti d’Italia e che dal Corso dista solo qualche minuto in macchina. Le prime segnalazioni sui social network, sono state rilanciate dal gruppo consigliare del Movimento 5 Stelle che ha chiesto la rimozione immediata. Allertata la questura, la digos sta indagando e pare non sia l’unica scritta.
La notizia, al momento, è apparsa solo in qualche tabloid umbro come Terni Today ma vale la pena riproporla perché di estrema gravità. La scritta, infatti, più che una goliardata, per una serie di coincidenze, sembra essere un serio messaggio contro il regime di carcere speciale a cui sono sottoposti i mafiosi o comunque un gesto in loro solidarietà. Nulla va lasciato al caso. Nel mondo della mafia le coincidenze non esistono e in questa vicenda ce n’è una costellazione. La prima coincidenza è la data: il graffito è apparso a Terni la mattina del 18 luglio, il giorno prima del trentesimo anniversario della strage di via d’Amelio in cui Cosa nostra uccise Paolo Borsellino e la sua scorta. La seconda coincidenza è il contesto territoriale della città: a Terni, negli ultimi anni, il territorio della città dell’acciaio è risultato essere sempre più permeabile alle ingerenze e all’influenza dei clan, come segnala il Movimento 5 Stelle. A incidere su questa permeabilità, oltre alla crisi economica che ha colpito le grandi industrie della provincia, è soprattutto la presenza dei familiari dei mafiosi detenuti al carcere di vocabolo Sabbione. Del resto, in questa casa circondariale hanno scontato la loro pena personaggi come il boss corleonese Bernardo Provenzano o l’ex capo della nuova camorra organizzata Raffaele Cutulo (entrambi deceduti). Attualmente, e qui cade la coincidenza più inquietante, dei 527 detenuti, ci sono 26 boss che si trovano al 41bis. E tra questi c’è anche il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, anche lui condannato per le stragi del 1992 e del 1993, nonché depositario, insieme a Matteo Messina Denaro, dei segreti su quella campagna terroristica di Cosa nostra. Campagna che, va ricordato, aveva precisi fini politici tra i quali spiccava proprio l’abolizione del regime di carcere duro per i boss. Uno strumento voluto e pensato da Giovanni Falcone e divenuto legge solo su spinta dell’onda emotiva della strage di via d’Amelio. A Terni, Graviano è arrivato nel 2017 dopo essere stato trasferito dal carcere di Ascoli Piceno perché gli avevano trovato un coltello nell’intercapedine della branda. Da Terni “la bestia” ha lanciato messaggi di ogni tipo, anche in riferimento al suo desiderio di uscire dalla patrie galere, magari con qualche provvedimento politico, a partire dalla famosa lettera alla ministra della giustizia Marta Cartabia, spedita - coincidenza non da poco - dieci giorni dopo il suo insediamento. Una lettera dal contenuto ignoto che la ministra ancora non ha voluto divulgare e della quale si è interessata la Dda di Firenze con i magistrati Luca Tescaroli e Luca Turco. Anni prima, nel 2013, un’altra lettera era stata spedita dalla sua cella (ma da Ascoli) a un’altra ministra, Beatrice Lorenzin (che però negò ogni circostanza). “Madre natura”, tra le altre cose, auspicava nel coraggio di qualche politico per “abolire la pena dell’ergastolo”. Richieste ascoltate a detta sua, come affermò al processo ‘Ndrangheta Stragista:Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto”, aveva detto al pm Giuseppe Lombardo. Non solo. Sempre da Terni il capo mafia ha inviato di recente un’altra lettera. Anche questa intercettata dal tribunale Sorveglianza. Nella missiva, destinata alla mamma Vincenza Quartararo, Graviano parlava di pizza, bonifici, studi del figlio, Dna e batteri. Si trattava di messaggi in codice secondo i giudici della Corte di Cassazione ai quali si era rivolto, invano, il legale del boss di Brancaccio. Nella lettera il capo mafia “intendeva suggerire o far recepire al destinatario, sia con lo strumento grafico che con gli intricati contenuti, qualcosa di pericoloso per l’ordine e la sicurezza”, affermano i giudici. Non è dato sapere se anche in quei messaggi criptati Graviano volesse lanciare suggerimenti o messaggi rispetto alla questione del carcere duro. Di certo c’è, però, che “madre natura” scalpita. In fondo, i tempi corrono a suo favore. Negli ultimi due anni la CEDU e la Consulta hanno espresso sentenze-grimaldello che definivano incostituzionale l’ergastolo ostativo, chiedendo quindi una riforma al legislatore. La Camera, in aprile, ha approvato la riforma, dopo alcuni ritocchi, che però presenta ancora rischi e criticità in tema di 41bis e permessi premio. La palla era passata al Senato che però a maggio ha chiesto e ottenuto dalla Consulta altri sei mesi (scadenza 8 novembre) “per consentire al Parlamento di completare i lavori”.
Intanto Filippo Graviano si è mosso per tempo dissociandosi da Cosa Nostra già oltre un anno fa con la speranza di usufruire presto della nuova normativa. Speranza che cova anche il fratello Giuseppe che, come detto, nel frattempo lancia messaggi all’esterno del carcere da far arrivare a chi di dovere in pieno linguaggio mafioso. Un po’ come quel “No 41bis” a Terni, che, si segnala, è rimasto ancora lì.

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